La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) rafforza i nostri diritti e ci protegge dalle decisioni arbitrarie degli Stati. È la custode della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.
La stragrande maggioranza della popolazione sostiene questa importante istituzione: nel 2018, l’iniziativa per l’autodeterminazione, che mirava alla CEDU, è stata chiaramente respinta. Oggi, la CEDU è di nuovo sotto attacco – dal Parlamento – a causa di una sentenza che non piace a certi parlamentari. Siamo costernati.
In una lettera aperta, chiediamo al Parlamento e al Consiglio federale di agire responsabilmente.
Firma subito la lettera aperta
Read MorePrevista dall’Onu e voluta dal Parlamento federale, metterà in rete rappresentanti della società civile per sorvegliare sugli abusi in Svizzera 23 Maggio 2023, di Red.Svizzera È stato un cammino lungo e accidentato, quello che oggi ha portato alla nascita dell’Istituzione nazionale per i diritti umani (Indu). L’introduzione di tale organismo indipendente è infatti prevista da principi Onu adottati nel 1993; in Svizzera era stata approvata dal Parlamento federale nel 2019, mentre un progetto pilota, il Centro svizzero di competenza per i diritti umani, era già attivo dal 2011. Ora, dopo lunghe discussioni su competenze e budget, come altri 120 Paesi «anche la Svizzera potrà fare affidamento su un ente capace di vigilare concretamente sul rispetto dei diritti umani, mettendo in rete le competenze delle organizzazioni non governative e della società civile che vi parteciperanno e coordinandosi con le istituzioni», spiega Gabriela Giuria Tasville, responsabile dello sviluppo progetti presso la Fondazione Diritti Umani di Lugano. Denunciare, promuovere, proteggere Scopi dell’Indu: «Denunciare, promuovere, proteggere». Ovvero individuare sul nostro territorio «situazioni in cui a oggi i diritti umani non sono pienamente rispettati oppure esistono zone d’ombra, così da ovviare al problema suggerendo soluzioni organizzative e legislative». Il Consiglio federale precisa in un comunicato che le funzioni dell’Indu “comprenderanno l’informazione e la documentazione, la ricerca, la consulenza, l’educazione e la sensibilizzazione in materia di diritti umani nonché lo scambio internazionale. Il mandato affidatole coprirà sia questioni interne riguardanti i diritti umani sia questioni relative all’attuazione degli obblighi internazionali in materia di diritti umani in Svizzera. L’Indu non svolgerà mansioni amministrative, non fungerà da mediatrice e non si occuperà di singoli casi”. Un cantiere con un budget limitato a un milione di franchi annui, che però potrebbe a sua volta stimolare lo sviluppo di nuovi strumenti a livello cantonale. Prima la collaborazione A chi obietterà che certi organismi servono solo a mettere i bastoni tra le ruote alla polizia, alla Segreteria di Stato della migrazione (Sem) e affini, Giuria risponde che «si tratta piuttosto di collaborare e di trovare soluzioni comuni a problemi reali che investono l’intera società, aiutandosi a vicenda». L’approccio mette dunque in primo piano «la condivisione, non lo scontro. Ad esempio, dall’ultimo rapporto delle Nazioni unite emergono anche in Svizzera problemi importanti di razzismo strutturale, problemi che è nell’interesse di tutti risolvere in modo costruttivo e duraturo. Quello che auspichiamo è uno sforzo comune di garantismo e legalità per le molte categorie vulnerabili, che peraltro si intrecciano in maniera intersezionale: migranti, donne, bambini…». Da parte sua, anche il Consiglio federale spiega che “l’indipendenza di questa nuova istituzione le consentirà di cooperare non solo con le autorità a tutti i livelli statali, ma anche con le organizzazioni non governative, l’economia privata, il settore della ricerca e le organizzazioni internazionali”. Dovrebbero essere inizialmente sette le persone impiegate dall’Indu su casi e dossier diversi, mantenendo sedi e relazioni in più università. Fonte: https://www.laregione.ch/svizzera/svizzera/1670211/diritti-svizzera-federale-istituzione-nazionale
Read MoreL’Istituzione Svizzera per i Diritti Umani (ISDU) ha espresso preoccupazione per la risposta del Consiglio Federale alla sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo sul caso “Anziane per il Clima”. Sebbene la Svizzera ribadisca la sua adesione alla Corte, non riconosce esplicitamente il carattere vincolante delle sue sentenze, mettendo a rischio la protezione dei diritti umani in relazione alla crisi climatica. L’ISDU teme che questa posizione possa indebolire ulteriormente la fiducia nella Corte in Svizzera.
Read MoreSabato 8 giugno 2024 – 18.00
Asilo Ciani, Viale Carlo Cattaneo 5, Lugano
Marcello Flores, Francesca Gori.
Modera/ Dialoga con: Paolo Bernasconi
(avvocato, Fondazione Diritti Umani)
La Fondazione Federica Spitzer organizza un evento per capire gli estremismi violenti presenti in Europa la cui espansione rappresenta una grave minaccia per i valori dello Stato di diritto e la convivenza pacifica di popoli diversi nelle nostre società.
Franco Gabrielli e Paolo Bernasconi
8 giugno – 11:00
Sala degli Specchi di Villa Ciani
Piazza Indipendenza 4, Lugano
La Fondazione Diritti Umani organizza una rassegna di eventi dalla prospettiva dei Diritti Umani, con un focus sulle relazioni fra la Svizzera e la Cina.
#TIVEDO
SHARP EYES ON CHINA
#TIVEDO si pone il compito di informare, sensibilizzare e mobilitare la comunità internazionale sulle violazioni dei Diritti Fondamentali
Rassegna #TIVEDO 2024 – Sharp Eyes on China
dal 18 al 24 febbraio 2024 a Lugano all’Asilo Ciani con ingresso gratuito.
10 dicembre 2023 Giornata Internazionale dei Diritti Umani Poetry Slam per i 75 anni della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani ex-Asilo Ciani, Lugano, dalle 15.00 presenta Marko Miladinovic stacchiere musicale originale Flavio Calaon poetano per noi Lia GalliRodolfo CerèFranco BarbatoMarco Jäggli Simone SavoginFrancesca PelsEugenia Giancaspro
Read MoreAi media ticinesi:COMUNICATO STAMPA CONCERNE:Domenico Quirico, Michela Trisconi e Furio Bednarzgiovedì 30 novembre 2023, ore 18, al Centro Cittadella di Lugano, Corso Elvezia 35. Conferenza / laboratorio: Frontiere: città e migrazione oggi Per questioni di “frontiere” e “migrazioni”, ancora oggi nel mondo sono attivi decine di conflitti armati. La drammatica cronaca di queste settimane in Israele e Gaza è purtroppo solo un esempio tra molti. Il tema inoltre segna regolarmente il dibattito politico, il clima sociale e le competizioni elettorali e tra chi fa leva sulle paure e chi scommette sull’apertura il dialogo è difficile. Ma che cosa si nasconde dietro le frontiere e le migrazioni? È possibile viverle come una risorsa e non come un problema? Se ne parlerà a Lugano in un evento pubblico, nella forma dinamica del “laboratorio”, dove il pubblico potrà intrattenersi liberamente con gli ospiti, in un momento di aperitivo iniziale. L’incontro è promosso della rinata Associazione Cittadella, nel suo nuovo Centro di Corso Elvezia 35, progettato da Mario Botta al posto dell’indimenticabile Teatro Cinema Cittadella. IL CICLO “LABORATORIO CITTADELLA” L’Associazione Cittadella gestisce il Centro culturale Cittadella, che ospita le attività formative e aggregative della vicina Basilica del Sacro Cuore, e offre i suoi spazi anche a chi li richiede per attività in linea con i suoi scopi associativi. Il Centro si trova al piano terreno della Residenza Cittadella, il nuovo complesso abitativo progettato da Mari Botta sul terreno in cui sorgeva il Cinema Teatro Cittadella, per oltre mezzo secolo punto di riferimento della scena culturale luganese. Memore di questo retaggio storico ancora vivo, l’Associazione intende tornare ad agire nella realtà culturale luganese e contribuire alla vita sociale e aggregativa sia del quartiere sia della regione. Tra le varie iniziative, l’Associazione vuole ora attivare il “Laboratorio Cittadella”, un ciclo di incontri che, attraverso spunti e voci di autorevoli esperti, mira a riflettere, assieme alla cittadinanza, su questioni e nodi di quotidiana attualità sulla città e le forme e modalità di convivenza che la caratterizzano. L’incontro con Domenico Quirico come ospite principale, tra le più stimate voci del giornalismo italiano, è il primo di una serie con cui l’Associazione Cittadella desidera coinvolgere un vasto pubblico. L’Associazione Cittadella si è profondamente rinnovata la scorsa primavera, con l’arrivo di nuovi soci e l’elezione di un nuovo Ufficio amministrativo, composto da Stefano Izzi (presidente), Linda Fornara Bertona (vicepresidente), e i membri Filippo Bignami, Carlo Regondi, Yasmine Caluzzi, Fausto Leidi, don Italo Molinaro. L’INCONTRO Frontiere: città e migrazione oggi Il primo incontro del Laboratorio Cittadella si pone l’obiettivo di riflettere sull’idea di frontiera, su come essa sia pluriforme, su come gli spazi urbani dove viviamo contengano frontiere spesso invisibili agli occhi e come assuma diversi significati. La frontiera configura un limite che circoscrive uno spazio, materiale e immateriale. Identifica una o più collettività, differenzia tra un dentro e un fuori. La frontiera è sempre al contempo riconoscimento e misconoscimento: integra, distingue, esclude. La porosità o meno di una frontiera dipende spesso della percezione di un rischio. Più è considerato minaccioso ciò che sta al di fuori di essa, minore è la disponibilità ad allentarne le maglie. All’opposto, più è forte la percezione dell’opportunità di trarre vantaggi da ciò che risiede altrove, minore è la spinta alla chiusura. Come dire che la trasformazione o meno di una frontiera in una soglia dipende sempre dalle circostanze. La città rappresenta la frontiera più concreta, vicina a noi, dove pratiche di cittadinanza sono più visibili e percepibili, il laboratorio ove si sperimenta realmente la convivenza e si plasma la frontiera. Quando la pressione migratoria sulle frontiere aumenta in un quadro di ardua lettura, come lo è oggi, le identità al loro interno si espongono a ciò che è grande illusione e rischio: il chiudersi in sé stesse, percepirsi come in pericolo, autosufficienti. Che cosa significa allora costruire la convivenza nella frontiera cittadina? Quale il ruolo di istanze istituzionali, associative, di prossimità, religiose ed aggregative per una percezione di frontiera come opportunità nell’instabile presente? GLI OSPITI Don Italo Molinaro, Parroco della parrocchia della Basilica del Sacro Cuore e Filippo Bignami, ricercatore senior della SUPSI, ne parlano con: • Domenico Quirico (caporedattore esteri La Stampa) Giornalista e scrittore italiano, è caporedattore esteri de La Stampa. È stato corrispondente da Parigi e inviato di guerra. Ha una profonda conoscenza di flussi e processi migratori; si è interessato fra l’altro degli avvenimenti sorti a partire dal 2010-2011 e noti come “Primavera araba”. È autore di numerosi volumi. Nel 2015 ha vinto il Premio letterario Brancati. Ha inoltre vinto i premi giornalistici Cutuli e Premiolino e, nel 2013, il prestigioso Premio Indro Montanelli. Entro la sua ampia ed apprezzata produzione, ha scritto quattro saggi storici per Mondadori (Adua, Squadrone bianco, Generali e Naja) e Primavera araba per Bollati Boringheri. Presso Neri Pozza ha pubblicato Gli Ultimi. La magnifica storia dei vinti e Il paese del male. • Michela Trisconi – Delegata cantonale all’integrazione Laureata in storia contemporanea all’università di Friborgo, ha svolto un periodo di formazione presso l’Ecole des hautes études en sciences sociales di Parigi, interessandosi soprattutto alla sociologia dei movimenti religiosi. Autrice del Repertorio delle religioni del Cantone Ticino, è membro del Consiglio di fondazione del Centre intercantonal d’information sur les croyances religieuses (CIC) con sede a Ginevra. Dopo varie esperienze professionali in ambito privato a Friborgo e a Berna, ha lavorato presso la Direzione del Dipartimento della sanità e della socialità, e dal 2018 è capo-progetto della Piattaforma cantonale di prevenzione della radicalizzazione e dell’estremismo violento. Collaboratrice scientifica dal 2020 presso il SIS, in questa funzione si occupa dell’analisi di progetti e dei contatti con gli enti attivi nel settore dell’integrazione. • Furio Bednarz – Presidente Associazione CINI Switzerland Ricercatore senior e consulente indipendente, attualmente Presidente dell’Associazione CINI Switzerland, collabora con istituzioni di ricerca, associazioni professionali, enti locali e università. È stato Presidente e responsabile della ricerca e sviluppo presso la Fondazione ECAP Svizzera e Direttore dell’Ufficio della formazione continua e dell’innovazione della Divisione della formazione professionale del Canton Ticino. I suoi interessi di ricerca riguardano
Read MoreSORELLA POVERTÀ
LIMITI – RISORSE – ESSENZIALITÀ
Massagno
Venerdì 1 e sabato 2 dicembre Cinema Lux – Aula Magna Scuole elementari
USI in Ascolto, il Servizio pari opportunità, l’associazione Ciao Table, l’associazione Puntozero, la Fondazione Diritti Umani, Amnesty International in occasione dei 16 giorni di attivismo contro la violenza di genere, sono lieti di invitarvi al convegno pubblico “Il peso psicologico e sociale degli stereotipi di genere”.
Read MoreDomenica 3 dicembre
Cinema Lux Art House, Via G. Motta 67, Massagno
Proiezione del film Downstream to Kinshasa di Dieudo Hamadi
Ore 15:00 Introduzione di SwissABILITY e Film Festival dei Diritti Umani Lugano e proiezione del film Downstream to Kinshasa
Ore 16:50 Dibattito “Difficoltà e sfide delle persone affette da disabilità, dal Sud del mondo alla Svizzera”
Ore 17:30 Chiusura dibattito e aperitivo presso “Salone Cosmo” di Massagno
Read MoreRiflessioni di un magistrato sotto scorta Un magistrato. Un’inchiesta negata. Una vita sotto scorta. Le riflessioni di Dick Marty sono Verità irriverenti sullo stato della democrazia, sulla neutralità e sull’inchiesta che l’ha reso il bersaglio di un nemico senza nome. Le Edizioni Casagrande, la libreria LAC Shop e la Fondazione Diritti Umani hanno il piacere diinvitarvi alla presentazione del volume Dick MartyVerità irriverentiRiflessioni di un magistrato sotto scortaMartedì 14 novembre 2023,ore 18.00 LAC, Lugano Arte e CulturaPiazza Bernardino Luini 6Hall Intervengonol’autore Dick Marty e il giornalista Roberto AntoniniIngresso libero fino a esaurimento posti
Read MoreCiclo: Ticino e Diritti fondamentali
Quarta giornata sull’applicazione delle buone pratiche in Ticino
Diritti umani e ambiente
Diritto dell’ambiente e diritto all’ambiente
Lugano, sabato 7 ottobre 2023
Auditorium dell’Università della Svizzera italiana / USI, 9.00 – 13.00
Ciclo: Ticino e Diritti fondamentali
Terza giornata sull’applicazione delle buone pratiche in Ticino
Diritti umani e povertà – che fare?
Ineguaglianze in Svizzera: cause e rimedi
Lugano, sabato 2 settembre 2023
Auditorium dell’Università della Svizzera italiana / USI, 8.30 – 13.00
Il Festival dei Diritti Umani torna dal 3 al 6 maggio 2023, con incontri, film, mostre fotografiche e il programma EDU per le scuole. Dal vivo al Memoriale della Shoah e alla Cineteca Milano MIC. E online sulla piattaforma festivaldirittiumani.stream Rights Now: due parole che si rafforzano l’una con l’altra. C’è bisogno di più diritti e ce n’è bisogno adesso. L’edizione 2023 del Festival dei Diritti Umani, la prima organizzata dalla neonata Fondazione, avrà questo titolo. Un Festival che va in direzione ostinata e contraria perché di questi tempi c’è sempre meno rispetto dei diritti e sempre meno umanità. E noi invece alziamo lo sguardo con “Rights Now”, diritti ora. Non possiamo chiedere ai civili sotto le bombe in Ucraina o alle ragazze che protestano in Iran di pazientare, non possiamo spiegare ai working poors in fila alle mense solidali che non sono abbastanza performanti, non possiamo far finta di sapere come gli algoritmi determinino le nostre scelte. L’ edizione 2023 del Festival dei Diritti Umani torna in presenza, dopo tre anni di pandemia, una delle grandi crisi che ha amplificato le disuguaglianze; nel mezzo di una guerra di cui non si vede la fine; in una prospettiva di disastro ecologico mondiale. Torniamo dal vivo in un luogo altamente simbolico: il Memoriale della Shoah. Al suo ingresso c’è una scritta incisa sul cemento grigio: indifferenza. E il Festival dei Diritti Umani, fin dai suoi esordi, otto anni fa, si è dato proprio il compito di contrastare l’indifferenza sui diritti calpestati. Quel luogo, il Memoriale della Shoah, dovrebbe ricordare a tutti che togliere diritti ad una minoranza non fa star meglio la maggioranza, neanche quando quella sottrazione avviene con il consenso di molti. È successo, sta accadendo ancora: saperlo è il primo passo per andare in direzione ostinata e contraria.
Read MoreSettimana cantonale contro il razzismo Il giro del mondo in 45 minuti: possibile? è questa la sfida da affrontare per le persone che parteciperanno all’Escape Room Provaci tu! allestita per la prima volta in Ticino durante della Settimana cantonale contro il razzismo al Centro Giovani di Viganello (Via Pazzalino 8) dal 17 al 20 marzo 2023. SI PUÒ GIOCARE ANCHE SABATO 18, DOMENICA 19 e LUNEDÌ 20 MARZO: PER INFORMAZIONI E ISCRIZIONI: 091 923 66 53, cpd@discriminazione.ch In occasione della Settimana cantonale contro il razzismo 2023 organizzazioni della società civile, Amnesty International, Fondazione Diritti Umani e il Centro per la Prevenzione delle Discriminazioni hanno lavorato con le istituzioni, nello specifico la Divisione Socialità della Città di Lugano, per proporre un’attività innovativa e partecipativa che permette a giocatrici e giocatori di cambiare vita il tempo di una partita, affrontando le sfide che segnano la vita quotidiana delle persone migranti. Le discriminazioni nascoste Nella vita quotidiana la discriminazione si esprime in molti modi: colore della pelle, credo religioso, provenienza, etnia o classe sociale di appartenenza diventano motivo di esclusione. A far scattare l’atteggiamento discriminatorio è la caratteristica che rende l’altra persona diversa mentre sono ignorate le similitudini e il fatto che, prima di tutto, siamo tutte e tutti umani. L’Escape Room Provaci Tu! (un adattamento del progetto originale Fight Racism) vuol far riflettere chi partecipa sulle diverse forme che il razzismo può assumere, attirando la loro attenzione sulle forme nascoste di discriminazione con le quali siamo confrontati ogni giorno, spesso senza rendercene conto. Per raggiungere un pubblico giovane e proporre un’esperienza nuova e originale in occasione della Settimana Cantonale contro il Razzismo, le organizzazioni promotrici si sono rivolte a Escape4Change, start up innovativa a vocazione sociale con sede a Torino e nata con l’obbiettivo di generare cambiamenti concreti attraverso esperienze di gioco immersive e cooperative. Con più di 2000 giocatori all’attivo, l’associazione ha una solida esperienza e propone Escape Room dedicate a tematiche diverse, dal cambiamento climatico all’economia circolare, in cui ci si mette in gioco, e si gioca per capire che ognuno di noi ha la possibilità di cambiare la realtà che ci circonda. Contro il razzismo, insieme: inizia il gioco! Carri senza cavalli, aerei, jet supersonici e razzi interplanetari. Abbiamo superato ogni limite imposto dalla natura, abbattuto la barriera del suono e quasi eguagliato la velocità della luce! In un futuro non troppo lontano, l’umanità si sente in completo controllo dello spazio e del tempo. La scienza ha oltrepassato tutti i confini e le barriere. Per dimostrare questa supremazia, gli uomini più potenti della Terra fanno una scommessa: fare il giro del mondo in soli 45 minuti. Il tuo gruppo è stato selezionato per tentare la missione. Prima di intraprendere il viaggio, però, avrete bisogno dell’addestramento necessario: seguite i nostri esperti e preparatevi per questa grande avventura! Un’esperienza di gioco divertente ma molto seria La parola a Vittorio Jan Randone, game designer: “Il razzismo è un fenomeno multiforme e per chi non lo vive sulla propria pelle può essere difficile rendersi conto di tutte le sue possibili espressioni. Nella creazione di questa escape room abbiamo avuto il privilegio di ascoltare e confrontarci con la storia di vita di una persona, del suo viaggio per arrivare in Europa e del suo impegno per affrontare le sfide quotidiane che un razzismo sistematico impone. Il risultato è il tentativo di restituire la complessità di questo fenomeno. Di ragionare sul perché il colore di un passaporto possa determinare le sorti di una persona, di come la lingua parlata possa essere usata come strumento di oppressione e di quanto la burocrazia possa contribuire a creare ingiustizia.” SI PUÒ GIOCARE ANCHE SABATO 18, DOMENICA 19 e LUNEDÌ 20 MARZO: PER INFORMAZIONI E ISCRIZIONI: 091 923 66 53, cpd@discriminazione.ch Chi siamo Amnesty International è un movimento internazionale di persone che si mobilitano in difesa dei diritti umani nato nel 1961. Oggi l’organizzazione conta dieci milioni di sostenitrici e sostenitori che lavorano per assicurare che i diritti umani siano applicati allo stesso modo per tutte le persone, ovunque nel mondo. Il Centro per la Prevenzione delle Discriminazioni offre un servizio di ascolto e consulenza per vittime di discriminazioni razziali, religiose, di genere o di orientamento sessuale. Inoltre, organizza e promuove attività di sensibilizzazione sui temi delle discriminazioni in tutto il Canton Ticino e offre esperienze di formazione per conoscere e prevenire le discriminazioni. Città di Lugano – la Divisione Socialità risponde ai bisogni socioeducativi dei giovani e ai bisogni sociali della popolazione in generale, promuovendo l’accompagnamento, l’intervento e l’aiuto in ambito sociale. Offre inoltre una rete di servizi e strutture il cui obiettivo è soddisfare le necessità dei cittadini offrendo consulenza e accoglienza nell’ambito sociale. Il Centro giovanile di Viganello è uno dei due punti d’incontro e di socializzazione per i giovani d’età compresa tra gli 11 e i 25 anni ed è gestito da personale socio-educativo specializzato che, collaborando con i ragazzi e ascoltando le loro idee e esigenze, organizza attività di vario genere. Fondazione Diritti Umani, nata nel 2014 a Lugano, promuove la conoscenza ed il rispetto dei Diritti Umani prevalentemente nella Svizzera Italiana attraverso lo sviluppo di canali di informazione e sensibilizzazione che contribuiscono alla costruzione di una coscienza collettiva solidale, aperta al dialogo, alla cooperazione e allo scambio. Con il sostegno di: Servizio per la lottta al razzismo (SRL) – Confederazione Svizzera Programma d’integrazione cantonale (PIC) – Canton Ticino Settimana cantonale contro il razzismo SI PUÒ GIOCARE ANCHE SABATO 18, DOMENICA 19 e LUNEDÌ 20 MARZO: PER INFORMAZIONI E ISCRIZIONI: 091 923 66 53, cpd@discriminazione.ch
Read MoreBenvenuto di Teresa Ribeiro, Rappresentante OSCE per la Libertà dei mezzi di informazione
La libertà dei media può esistere solo quando i giornalisti – tutti i giornalisti, a prescindere dal loro sesso o da altre identità – sono al sicuro per svolgere il loro lavoro, per indagare, per riferire, per fare luce su questioni che vengono intenzionalmente tenute all’oscuro e per chiedere conto a chi detiene il potere.
Read MoreIn occasione della Giornata internazionale della Donna, Amnesty International e il suo gruppo donne DAISI, Fondazione Diritti Umani, Film Festival Diritti Umani, Osservatorio Agorà e Syndicom invitano a una serata dedicata alle donne giornaliste, sempre più al centro di campagne di odio online.La proiezione del documentario A Dark Place sarà seguita da un incontro con la giornalista Paola Rizzi, coautrice del libro #staizitta giornalista, e il regista Javier Luque. Modera Isabella Visetti, giornalista RSI.
Read MoreSeconda giornata sull’applicazione delle buone pratiche in Ticino
Ciclo: Ticino e Diritti fondamentali
Diritto d’asilo
Le nuove sfide dell’accoglienza tra diritti e vulnerabilità
Articolo di La Regione apparso il 27 gennaio 2023, redatto da Aldo Sofia. Approfondimento: Se la Memoria diventa una prigione, su naufraghi.ch
Read MorePer la giornata della Memoria del 27 gennaio 2023 vi proponiamo un importante appuntamento di riflessione.
Alle 20.00 al Cinema Teatro Multisala di Mendrisio proponiamo la proiezione del film KLONDIKE, vincitore di moltissimi premi tra cui il World Dramatic Directing Award al Sundance Film Festival 2022.
La proiezione del film è seguita da un incontro con Elina Yakovleva che parlerà della violazione delle convenzioni internazionali e dei diritti umani in Ucraina, modera Mauro Arrigoni della Fondazione Diritti Umani.
L’evento è organizzato da FFDUL insieme a Fondazione Diritti Umani e con la collaborazione di Cineclub del Mendrisiotto.
Read MoreGiornata Internazionale dei Diritti Umani
Lugano, 10 dicembre 2022
Auditorium dell’Università della Svizzera italiana (USI), 8.30-13.00
Programma
8.30 Accoglienza partecipanti
9.00 Apertura della giornata
con i saluti di Federica De Rossa, Professoressa straordinaria e
Direttrice dell’Istituto di diritto IDUSI, USI
e di Paolo Bernasconi, Prof. Dr. h.c. Fondazione Diritti Umani.
9.15 Il modello ticinese: programma cantonale sui Diritti dell’infanzia
Raffaele De Rosa, Direttore del Dipartimento della Sanità e della
Socialità
9.45 Cos’è l’EPU (Esame Periodico Universale)?
L’importanza del processo EPU
Milena Costas Trascasas, ricercatrice dell’Alto Commissariato
ONU sui Diritti Umani
10.15 Pausa caffè
10.45 Esempio pratico della procedura cantonale EPU Canton Ginevra
Léa Winter, Fian Suisse ONG Piattaforma Human rights.ch e
membro del gruppo di lavoro EPU del Canton Ginevra
11.10 Obblighi internazionali e empowerment locale
Greta Gysin, Associazione Punto Zero
11.30 Tavola rotonda ~ Con possibilità di interventi dal pubblico
Esame Periodico Universale:
Quali possibilità per il Cantone Ticino?
Bruno Balestra, Associazione Uniti dal Diritto
Alicia Giraudel, Amnesty International Sezione svizzera
Marco Galli, capo Ufficio del sostegno a enti e attività per le
famiglie e i giovani (DSS)
Lara Bedolla, Vice-Presidente Associazione consumatrici e
consumatori della Svizzera italiana – ACSI
Ilario Lodi, Direttore Pro Juventute Svizzera italiana
12.30 Conclusione e prospettive
Lugano, 18 novembre 2022 – In Svizzera si stima che il 40% delle donne (circa due donne su 5) subisce o ha subito violenza fisica o psicologica nel corso della sua vita. In occasione della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne 2022, Amnesty International con il proprio gruppo DAISI – Donne Amnesty International della Svizzera Italiana – e Fondazione Diritti Umani Lugano tornano ad agire insieme e ad essere presenti sul territorio con la campagna “Non ci siamo tutte, manca una di noi”.
La sensibilizzazione viaggia con la popolazione
A partire da lunedì 21 novembre la campagna di sensibilizzazione “Non ci siamo tutte, manca una di noi” sarà presente a bordo di mezzi di trasporto pubblici in diverse regioni del Cantone: Trasporti Pubblici Luganesi, Ferrovie Autolinee Regionali Ticinesi FART, Autopostale Bellinzona e dintorni e Autolinee Mendrisiensi.
La campagna “Non ci siamo tutte, manca una di noi” vuole ricordare simbolicamente la donna che quel giorno non può essere presente e muoversi liberamente sul territorio per svolgere le attività del quotidiano perché relegata in casa in seguito a una violenza fisica e/o psicologica o perché ospedalizzata o addirittura uccisa durante un episodio di violenza.
Read MoreA proposito della comunicazione sul web, si è spesso parlato di agorà virtuale – in analogia con la grande piazza greca dove la popolazione si incontrava per discutere – e di una partecipazione diffusa alla discussione pubblica; al contrario della piazza e dei luoghi fisici reali che per definizione sono finiti il web si presenta come uno spazio virtuale infinito.
In queste “piazze virtuali”, ognuno di noi, minorenne o maggiorenne che sia, se ha voglia di dire qualcosa, trova il modo di esternare le proprie idee ed essere ascoltato. Tuttavia, in questo contesto anche i predicatori d’odio hanno trovato un posto; alcuni di loro sono diventati addirittura delle figure pubbliche.
Read MoreIn occasione della Settimana d’azione contro il razzismo l’Università della Svizzera italiana, in collaborazione con Amnesty International, Fondazione Diritti Umani e Film Festival Diritti Umani Lugano, ospiterà la mostra itinerante “Razzismo e discriminazione”, una tavola rotonda intitolata “Antirazzisti si nasce. Razzisti si diventa. Razzismo e antirazzismo in Ticino” e la proiezione del film “Dove bisogna Stare”.
Read MoreSpettacolo teatrale domenica 20/03/2022 ore 18:00 luogo Teatro Foce, Lugano DISCRIMINAZIONE DI GENERE E DISPARITÀ TRA I SESSI. Due modi diversi per provare a definire quello che da sempre è davanti agli occhi di tutti. Da Giovanna d’Arco, passando per Camille Claudel, per arrivare fino ai giorni nostri; nel progredito XXI secolo dove il desiderio di maternità può costare ad una donna la perdita del posto di lavoro. Ma anche, e sopratutto, la storia di tre donne che lottano, a distanza di secoli, per la propria autostima. La storia di tre donne che vogliono considerarsi, e che sono, “unlimited”, senza limiti! Drammaturgia Marco Filatori Regia Luca Ligato Con Alessandro Baito e Laura Negretti Scene e Piano Luci Armando Vairo Direttore Tecnico Donato Rella Produzione Teatro in Mostra Età: dai 14 anni. Durata: 70 minuti. Prezzo: 10.- fr. (5 fr. studenti e AVS). Biglietti in prevendita su biglietteria.ch.
Read MoreDocumentario Un film di Aude Chevalier-Beaumer e Marcelo Barbosa, Brasile, Durata: 84 minutiVersione: in brasiliano con sottotitoli in italiano e in inglese. Indianara, rivoluzionaria bigger-than-life, conduce con il suo gruppo la lotta per la sopravvivenza delle persone transgender in Brasile.Realizzato durante la tumultuosa presidenza di Michel Temer, nel periodo in cui Marielle Franco venne uccisa a sangue freddo, Indianara offre il ritratto di una donna incredibile, una specie di Gena Rowlands incapace di accettare un «no» come risposta e in grado di prendersi cura dell’umanità e della decenza per tutti. Un ritratto della condizione sociale di una comunità emarginata dalla società, che lotta contro l’intolleranza sullo sfondo del Brasile attuale. giovedì 10/03/2022 ore 20:30 Multisala Teatro/Mignon/Ciak, Mendrisio mercoledì 16/03/2022 ore 20:40 Cinema Otello, Ascona Dopo la proiezione del film, segue un dialogo tra Gabriela Giuria, responsabile sviluppo progetti Fondazione Diritti Umani, e l’attivista queer Chiara Spata, ricercatrice indipendente di studi di genere. Prezzo biglietto: per tutti CHF 12.-Età consigliata: da 12 anni
Read MoreIn occasione della Giornata internazionale dei Diritti Umani (10 dicembre) e per segnare la fine della campagna ONU 16 giorni di attivismo contro la violenza di genere partita il 25 novembre (Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne), Fondazione Diritti Umani e Amnesty International pubblicano la traduzione in italiano del Rapporto della società civile sull’applicazione della Convenzione di Istanbul in Svizzera. Il Rapporto curato dalla Rete Convenzione di Istanbul, presentato il 5 luglio 2021 (comunicato stampa in francese), raccoglie le principali critiche e richieste delle organizzazioni della società civile che, nel nostro paese, sono impegnate sul campo evidenziando la necessità di agire.
Read MoreIn Svizzera si stima che il 40% delle donne subisce o ha subito violenza fisica o psicologica nel corso della sua vita. In occasione della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne 2021, Amnesty International, il gruppo DAISI (Donne Amnesty International della Svizzera Italiana) e Fondazione Diritti Umani Lugano, in collaborazione con Zonta Club Locarno, lanciano un’azione di sensibilizzazione rivolta a tutta la popolazione. In occasione del 25 novembre a dare visibilità all’azione “Non ci siamo tutte, manca…” contribuiranno in particolare l’Associazione Commercianti ed Artigiani di Minusio (ACAM), gli spazi de LaFilanda a Mendrisio e le corse del Trenino Turistico di Lugano. La lista dei commerci coinvolti nell’azione è disponibile qui. Campagna internazionale L’azione si inserisce nella campagna internazionale promossa dalle Nazioni Unite, i 16 giorni di attivismo contro la violenza sulle donne. Il periodo tra il 25 novembre e il 10 dicembre è stato scelto per creare un fil rouge tra la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne e quella dedicata ai Diritti Umani (10 dicembre): grazie all’importante mobilitazione e al coinvolgimento dell’opinione pubblica si vuole provocare una presa di coscienza collettiva e un’azione concreta per affrontare questo problema endemico. Dal 1991 il colore arancione – simbolo di un futuro luminoso, senza violenza sulle donne – caratterizza le attività di questi 16 giorni di attivismo. “Non ci siamo tutte, manca….” I commerci che sostengono l’azione espongono nella vetrina del proprio negozio un manifesto sul quale figura il volto anonimo di una donna, accompagnato dallo slogan “Non ci siamo tutte, manca… manca mia mamma / la mia amica / mia sorella / la mia vicina / la mia collega” (immagine: vedi intestazione comunicato). Il manifesto è declinato in 5 versioni per ricordare simbolicamente la cliente che quel giorno non può esserci, perché relegata in casa a causa di una violenza fisica e/o psicologica o perché ospedalizzata o addirittura uccisa durante un episodio di violenza. Sul manifesto figura un QRcode dal quale poter scaricare diverse informazioni, in particolare i contatti utili per le vittime di violenza. Le stesse informazioni saranno disponibili anche sotto forma di segnalibro che i commercianti potranno mettere discretamente a disposizione della clientela. Per dare visibilità al tema le organizzazioni chiedono anche un piccolo e semplice gesto alle cittadine e ai cittadini che possono postare sui propri profili social immagini o selfies scattati accanto al manifesto, indicando il nome del negozio, la città in cui si trovano e gli hashtag #25NoV e #NonCiSiamoTutte. Violenza contro le donne in Svizzera e in Ticino Nel 2021 in Svizzera sono 25 le vittime di femminicidio (dato all’8 novembre 2021, fonte Stop Femizid). Una cifra che potrebbe essere molto più alta poiché ben 9 donne sono sopravvissute a un tentativo di femminicidio. Nel 2020 nel nostro paese 28 persone sono decedute per le conseguenze di una violenza domestica: 11 vittime erano donne morte a seguito di violenza perpetrata dal partner attuale o di un ex, 9 vittime erano bambini uccisi da uno dei due genitori (dati Ufficio federale di Statistica).[1] Secondo i dati della Polizia cantonale, nel 2020 in Ticino gli interventi degli agenti per episodi di violenza domestica hanno conosciuto un leggero aumento, passando dai 1.042 casi del 2019 ai 1.103 del 2020.[2] Nel 2020 in Ticino si è registrato un femminicidio. Nel 2021 Stop Femizid recensisce 2 femminicidi (Breganzona e Bellinzona) e un tentativo (Solduno). [1] https://www.bfs.admin.ch/bfs/fr/home/statistiques/criminalite-droit-penal/police/violencedomestique.assetdetail.16484105.html [1] https://www.cdt.ch/ticino/politica/violenza-domestica-piu-segnalazioni-alla-poliziaLJ3865782 Contatti Gabriela Giuria, Fondazione Diritti Umani, 079 444 42 81 Sarah Rusconi, Amnesty International, 079 689 54 13
Read MoreIl diritto internazionale, con tutta la sua complessità, non è ancora sufficientemente efficace Pubblicato da Naufraghi.ch di Lucia Greco Il problema della definizione di terrorismo internazionale Nel dominio del diritto internazionale, il contrasto al terrorismo ha assunto un approccio di tipo settoriale. Numerose sono infatti le convenzioni che regolano determinate fattispecie, dal dirottamento degli aerei, alla presa degli ostaggi, alla sicurezza della navigazione marittima, fino al terrorismo nucleare. Non esiste tuttavia una convenzione generale che regoli la materia. Il tentativo del Comitato istituito nel 1996 dall’Assembla Generale delle Nazioni Unite, di elaborare tale convenzione generale contro il terrorismo, si arenò infatti innanzi al mancato accordo tra gli Stati sulla definizione di terrorismo internazionale. Il maggiore ostacolo che ancor oggi si impone al consenso tra le parti, riguarda l’esclusione da tale definizione di atti di violenza attuati contro obiettivi legittimi alla luce del diritto internazionale umanitario in tempo di conflitto armato, ovvero contro i cosiddetti obiettivi militari, le caserme, le armi o altri bersagli bellici. Ulteriori punti di scontro riguardano l’esenzione pretesa da alcuni Stati degli atti di violenza perpetrati in lotte di liberazione nazionale e del terrorismo di stato. Nondimeno, una serie di dichiarazioni, convenzioni e risoluzioni internazionali susseguitesi nel tempo hanno contribuito a delineare una definizione di terrorismo generalmente condivisa. A livello europeo la direttiva 2017/541 fornisce ad esempio una dettagliata lista di reati di terrorismo. Iil tentativo di redigere una convenzione generale resta comunque incompiuto. Terrorismo: un crimine internazionale? Il terrorismo internazionale è considerato dunque un “treaty crime”, cioè un crimine oggetto di repressione da parte di convenzioni, e non da parte del diritto internazionale generale. Riprova di ciò è la mancata inclusione del terrorismo tra i crimini di competenza della Corte Penale Internazionale, la quale è appunto competente nel giudicare i cosiddetti crimini internazionali, ovvero il genocidio, i crimini contro l’umanità, l’aggressione e i crimini di guerra. A tal proposito, resta oggetto di dibattito la decisione interlocutoria del 2011 del tribunale speciale per il Libano. Quest’ultimo, incaricato da una risoluzione del Consiglio di Sicurezza ONU di perseguire i reati correlati all’assassinio di Rafiq al-Hariri secondo la legge libanese, ha infatti affermato, contravvenendo all’opinione prevalente, che gli atti di terrorismo che presentino elementi di transnazionalità, e che quindi coinvolgano più di un paese, se commessi in tempo di pace possono qualificarsi quali crimini internazionali alla luce del diritto internazionale consuetudinario. 11 settembre 2001: le convenzioni internazionali non sono sufficienti All’indomani degli attacchi dell’11 settembre, con la risoluzione 1368 del 12 settembre 2001 il Consiglio di Sicurezza si inserì quale protagonista nel contrasto al terrorismo internazionale, affermando per la prima volta in modo ufficiale che considerava questi attacchi, così come qualunque atto di terrorismo internazionale, una minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale. Segue un’ulteriore risoluzione fondamentale, la 1373 del 28 settembre 2001, che estende a tutti gli Stati membri ONU gli obblighi di contrasto al finanziamento al terrorismo previsti dalla convenzione in materia del 1999. Quest’interventismo del Consiglio di Sicurezza risponde alla necessità di fronteggiare situazioni emergenziali a livello internazionale per le quali le Convenzioni sarebbero risultate insufficienti in quanto ratificate da un numero limitato di Stati. Perché è importante raggiungere un accordo erga omnes [applicabile a intere categorie di persone, ndr] in merito alla definizione di terrorismo internazionale? I sistemi di tutela dei diritti umani, come la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e il Patto internazionale sui diritti civili e politici, si sono spesso dovuti confrontare con violazioni commesse dagli Stati, nonché connesse con le sanzioni adottate dal Consiglio di sicurezza e giustificate dagli obblighi positivi a carico degli Stati di proteggere la popolazione dagli atti di terrorismo. Per evitare di incorrere in violazioni ripetute di diritti umani, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha in più occasioni ribadito che le leggi e le politiche antiterrorismo devono essere circoscritte ai reati che corrispondono alle caratteristiche riconducibili alla lotta al terrorismo internazionale come identificate dal Consiglio di Sicurezza nella risoluzione 1566 del 2004. Quest’ultima definisce “terroristici” quegli atti criminali, in particolare quelli diretti contro i civili, che abbiano l’intento di causare morte o lesioni gravi, o la presa di ostaggi allo scopo di seminare terrore tra la popolazione o un gruppo di persone, con lo scopo di intimidirle o costringere un governo o un’organizzazione internazionale a compiere un atto o ad astenersi dal farlo. Al contrario, l’adozione di definizioni eccessivamente ampie di terrorismo in apposite leggi nazionali volte a contrastarne il fenomeno pone il rischio, laddove tali leggi e misure limitino il godimento dei diritti e delle libertà, di violare i principi di necessità e proporzionalità che disciplinano l’ammissibilità di qualsiasi restrizione ai diritti umani. Molte perplessità, in questo senso, ha destato l’adozione nel giugno 2021 della legge federale svizzera che ha ampliato le misure di polizia per la lotta al terrorismo. La definizione nebulosa di terrorismo contenuta in tale legge, infatti, ha creato i presupposti per un’applicazione arbitraria di sanzioni che potrebbero risultare in violazioni dei diritti umani, determinando un pericoloso precedente a livello internazionale.
Read MoreDi Letizia Pinoja “Spero che si rafforzi la convinzione che le guerre, tutte le guerre sono un orrore. E che non ci si può voltare dall’altra parte, per non vedere le facce di quanti soffrono in silenzio.” Gino Strada, “Pappagalli verdi: cronache di un chirurgo di guerra”, Feltrinelli, 1999 Quest’anno – in data il 19 agosto, in cui si celebrala giornata internazionale dedicata all’aiuto umanitario – le Nazioni Unite hanno deciso di commemorare le vittime delle crisi umanitarie causate dal cambiamento climatico.[1] Infatti, gli allarmi lanciati negli ultimi mesi da esperti scientifici e attivisti per il clima inducono a pensare che i conflitti armati generati dai cambiamenti climatici non faranno altro che aumentare. In questi giorni si sente spesso parlare dell’Afghanistan, paese al collasso. Spesso però si dimentica di menzionare che anche le conseguenze del cambiamento climatico hanno avuto un ruolo fondamentale in questa guerra: l’emergenza di lotte etniche per la scarsità delle risorse porrebbe fine ad ogni speranza di un futuro pacifico.[2] Di questo rischio ne era ben cosciente Gino Strada, al quale dedichiamo un pensiero in questo giorno di commemorazione. Ed è proprio sull’Afghanistan che Strada si è espresso prima di lasciarci: “Ho vissuto in Afghanistan complessivamente 7 anni: ho visto aumentare il numero dei feriti e la violenza, mentre il Paese veniva progressivamente divorato dall’insicurezza e dalla corruzione. Dicevamo 20 anni fa che questa guerra sarebbe stata un disastro per tutti. Oggi l’esito di quell’aggressione è sotto i nostri occhi: un fallimento da ogni punto di vista.”[3] Non è però tutto un fallimento. Anzi, grazie alla sua dedizione e al suo coraggio, si stima che una persona su sei abbia ricevuto cure mediche nei vari centri ambulatoriali di Emergency, totalizzando più di 7 milioni di persone curate in 22 anni di presenza sul territorio.[4] “Gli ospedali e lo staff di Emergency – pieni di feriti – continuano a lavorare in mezzo ai combattimenti, correndo anche dei rischi per la propria incolumità: non posso scrivere di Afghanistan senza pensare prima di tutto a loro e agli afghani che stanno soffrendo in questo momento, veri “eroi di guerra”: Testimoniava Gino Strada nel suo ultimo intervento al La Stampa qualche giorno fa.[5] Il suo animo buono l’ha sempre spinto a non arrendersi davanti ai pericoli pur di salvare vite umane perché, come disse lui un giorno: “Curare i feriti non è né generoso né misericordioso, è semplicemente giusto. Lo si deve fare.” In questa giornata dedicata a tutti coloro che si battono e si sono battuti per alleviare le sofferenze delle crisi umanitarie, è allora giusto includere Gino, insieme a tutto lo staff di Emergency e al popolo afghano, a quelli che lui stesso ha definito “veri eroi di guerra”. Fotografia © https://www.emergency.it/gino-strada-chirurgo-fondatore-emergency/ [1] https://www.worldhumanitarianday.org/front [2] https://berghof-foundation.org/news/climate-and-conflict-as-a-vicious-cycle-the-case-of-afghanistan [3] https://www.lastampa.it/topnews/lettere-e-idee/2021/08/13/news/cosi-ho-visto-morire-kabul-1.40594569 [4] https://www.emergency.it/cosa-facciamo/afghanistan/ [5] https://www.lastampa.it/topnews/lettere-e-idee/2021/08/13/news/cosi-ho-visto-morire-kabul-1.40594569
Read MoreNon c’è pace per la terra in cui i talebani hanno ‘rubato il tempo’ Pubblicato da Naufraghi di Lucia Greco Kabul è caduta. Non sono stati sufficienti gli 83 miliardi di dollari investiti dagli Stati Uniti per formare un esercito locale: l’avanzata dei talebani è stata inarrestabile. Le forze di sicurezza afghane, equipaggiate e formate dagli alleati per anni, sono capitolate, in alcuni casi senza nemmeno opporre resistenza. Difficile giustificare un tale epilogo innanzi alle 3577 vittime della coalizione internazionale e alle oltre 70’000 tra i civili afghani dal 2001 ad oggi. Ne esce sconfitta la politica estera occidentale a guida statunitense e ne esce sconfitta la NATO che ancora faticava a riprendersi dall’accusa di morte cerebrale lanciata da Emmanuel Macron due anni fa. Recita un ormai famoso proverbio afghano: voi avete gli orologi, ma noi abbiamo il tempo. Hanno saputo aspettare i talebani e sono riusciti a conquistare nuovamente il potere. Vent’anni di impegno militare erano invece diventati troppo ingombranti per l’avanzare del ticchettio degli orologi della Casa Bianca. Se quella in Afghanistan rappresenta l’amara sconfitta del mondo liberale che vuole esportare la democrazia, essa è soprattutto la vittoria dell’interpretazione più estrema del fondamentalismo sunnita. La nascita dell’Emirato Islamico dei talebani fornisce infatti la base territoriale di cui la Jihad era stata privata grazie all’intervento americano nell’Afghanistan di Osama Bin Laden prima, e a quello della coalizione internazionale contro il califfato di Al-Baghdadi in Iraq e Siria poi. Gli eventi che questa notte sono culminati nella presa del palazzo presidenziale, sono il risultato della resilienza mostrata dai Mujaheddin negli anni e della parallela debolezza delle istituzioni afghane, considerate corrotte ed incapaci di guadagnare credibilità presso il proprio popolo nonostante il sostegno internazionale e l’imponente flusso di aiuti esteri. Un attore, quello del governo di Ghani, talmente debole da rimanere escluso persino dai negoziati di Doha, dove i talebani sono riusciti ad ottenere ciò che più necessitavano, ovvero il ritiro delle truppe dell’Alleanza Atlantica. Ritiro, quest’ultimo, che è stato il preludio dello sfacelo dell’esercito nazionale afghano, abituato a vedere ogni operazione pianificata nei dettagli e nella logistica dagli ufficiali NATO. “Questa non è Saigon” ha affermato il Segretario di Stato americano Blinken per contrastare gli inevitabili paragoni con l’ultima grande débâcle americana. È vero: questo non è il Vietnam, questo è l’Afghanistan. Per gli americani è la guerra più lunga mai combattuta, è l’11 settembre, è la crociata contro il terrorismo. Per i britannici è un impegno che dura ormai da quasi due secoli: è la faticosa delimitazione ottocentesca della linea Durand con il vicino Pakistan, è l’avamposto per contrastare la rivale potenza russa nel Grande Gioco in Asia, sono le tre guerre anglo-afghane che hanno visto generazioni di inglesi partire per il fronte durante più di cento anni. Questa è una terra che non conosce pace, crocevia di interessi geopolitici e foriera di conflitti che superano i confini nazionali. Quello che accade in Afghanistan è un problema di sicurezza che fa tremare tutti i paesi, occidentali e non. Per gli stati vicini, il flusso di rifugiati e i militari in fuga aumenta il rischio di infiltrazioni jihadiste. Così Ankara, per fermare l’arrivo di profughi che si riversa come un fiume in piena verso le province turche di Van e Igdir, si adopera per costruire un muro al confine con l’Iran. Mosca, che ha già conosciuto la complessità logorante di questi territori durante la guerra russo-afghana del 1979-1989, teme per la sicurezza delle ex repubbliche sovietiche di Turkmenistan, Uzbekistan e Tajikistan e organizza esercitazioni militari al confine. Non solo il Cremlino, ma diversi governi, tentano la via del dialogo con i talebani, i quali, ancor prima di ultimare la conquista del paese, ottengono la legittimazione sul piano delle relazioni diplomatiche venendo ricevuti a Mosca, Teheran, Ashgabat e infine a Tianjin, in Cina, fino ad arrivare a Pechino il 28 luglio scorso. Al governo cinese fanno infatti gola i diritti estrattivi nella regione e tali interessi economici nel quadro della pretenziosa e poderosa operazione di politica estera della via della seta, sarebbero garantiti solo attraverso una cooperazione stabile con l’amministrazione di Kabul. La Cina inoltre, si muove in modo da scongiurare il rischio che l’Afghanistan diventi una base logistica per i separatisti e i jihadisti uiguri. Non ha più senso dunque puntare il dito verso la vicina Islamabad, accusata più volte di supportare i talebani. Oramai tutte le potenze regionali pongono le basi per una futura coabitazione con quello che si può definire il nuovo governo afghano. Non resta che accettare che l’inevitabile si sia compiuto: a dispetto della moltitudine delle realtà che costellano l’universo del fondamentalismo islamico, i talebani si sono imposti a guida della nuova base logista per il reclutamento del terrorismo della Jihad globale. Torna, per il popolo afghano, il medioevo conosciuto tra il 1996 e il 2001. Sorge un nuovo giorno in questo paese senza luce, dove orde di giovani verranno privati della libertà donata loro dallo studio garantitogli negli ultimi anni di speranza. Una speranza tradita ancora una volta, dopo decenni di guerre civili, susseguirsi di regimi politici e del terrore, interventi stranieri presunti portatori di una pace a lungo mai mantenuta. Una speranza che sarà tradita ogni volta che una donna verrà frustata perché dei sandali timidamente faranno capolino sotto il burqa. Una speranza che sarà tradita ogni qual volta un richiedente asilo verrà rimpatriato nella terra della Sharia. Non passerà ora in cui i diritti umani non verranno calpestati. E mentre gli occidentali evacuano il paese, i disperati civili vengono lasciati a terra. Non ci sono aerei per chi è nato e cresciuto in Afghanistan, per chi ha osato rivestire una carica pubblica, apparire in televisione, collaborare per lo sviluppo della libertà di espressione, di stampa, per i diritti civili e politici, economici e sociali. Nonostante le promesse delle ultime ore dei governi occidentali, che suonano vuote come quelle degli ultimi venti anni, arrivano le prime notizie di esecuzioni di traduttori che hanno osato collaborare con la NATO. Il popolo afghano è stato
Read MoreLa violazione dei diritti umani nel Tigrai si aggiunge alla fame e all’insicurezza alimentare Pubblicato da Naufraghi.ch di Letizia Pinoja Fra gli obiettivi di sviluppo sostenibile 2030 vi è quello di porre fine alla fame nel mondo. Tuttavia, ad oggi, nella regione semi-autonoma del Tigrai (Etiopia), 350’000 persone soffrono la fame. Altri 5,5 milioni di persone vivono in condizioni di grave insicurezza alimentare. Ma cosa ha reso l’Etiopia, storicamente una delle regioni più fertili del mondo, il teatro di quella che, secondo gli esperti, rischia di essere la peggiore crisi alimentare del decennio? Nel Novembre 2020 l’esercito federale etiope entrava nel Tigrai per disarmare il Fronte Popolare di Liberazione del Tigrai (FPLT), entità considerata ribelle da Addis Abeba. Le cause delle tensioni fra la regione del Tigrai e il governo centrale sono varie e di lunga data. Di particolare importanza è stata l’elezione del premier Abiy Ahmed nel 2018 e lo smantellamento del dominio tigrè a favore di una coalizione governativa non comprendente il Tigrai. La miccia che ha fatto scoppiare gli scontri è stata il posticipo delle elezioni nazionali causato dalla pandemia. Lo stato federato del Tigrai si è infatti opposto a tale decisione, definendola incostituzionale e indicendo delle elezioni in settembre del 2020. Un anno dopo essere stato insignito del Premio Nobel per la Pace, il Premier etiope ha reagito alla contestazione tigrè invadendo la regione nel Novembre 2020. Le perplessità riguardo all’onorificenza di Abiy Ahmed risalgono fin dal momento della premiazione alla fine del 2019, in particolare per quanto riguarda la pace con l’Eritrea. Un conflitto nato negli anni Novanta con l’indipendenza di quest’ultima dall’Etiopia, esso si fonda sulla contesa territoriale di una parte della regione del Tigrai. Essendo il FPLT “nemico comune” dei governi eritrei e etiopi, varie sono state le accuse contro Abiy Ahmed di opportunismo politico. Il coinvolgimento delle truppe eritree nel conflitto in Tigrai non ha fatto che corroborare tali accuse, e le gravi violazioni dei diritti umani emerse nel conflitto mettono sempre più in dubbio la legittimità dell’onorificenza. Infatti, la violenza che pervade il Tigrai da novembre ha conseguenze nefaste per la popolazione locale. Recentemente, le agenzie dell’ONU (FAO, WFP e UNICEF) hanno denunciato il rischio imminente di carestia nella regione. Oltre alle sfide poste dal cambiamento climatico – invasione di locuste, inondazioni e siccità – la sicurezza alimentare della regione è messa a dura prova da quella che l’Associated Press (AP) ha denunciato come “fame quale strategia di guerra”. Quest’ultima è perpetrata dalle truppe etiopi ed eritree, accusate di bloccare i convogli di aiuti umanitari. Inoltre, l’AP ha denunciato gli eserciti di impedire ai contadini tigrè di coltivare le proprie terre rubando sementi, uccidendo bestiame e saccheggiando materiale agricolo. Gli operatori di Medici Senza Frontiere (MSF) hanno infine segnalato come le distruzioni sistematiche di case, pozzi, ospedali e altre infrastrutture fondamentali alla sopravvivenza, abbia spinto più di 40’000 persone a lasciar le proprie terre per cercare rifugio nel vicino Sudan o affrontare il pericoloso viaggio alla volta dell’Europa. Gli eserciti etiopi ed eritrei stanno volontariamente inducendo una carestia. Tali pratiche costituiscono una grave violazione del diritto universale ad un’alimentazione sana. Indirettamente, sono tuttavia vari i diritti umani violati. Per esempio, la fame impedisce ai bambini di andare a scuola, priva le persone del lavoro e della salute. La fame compromette il funzionamento economico e sociale della società, e ne nega lo sviluppo. Le carestie conducono a miseria e violenza. La situazione nel Tigrai è drammatica, ma non ancora irreparabile. Il 29 giugno 2021 il governo etiope ha dichiarato unilateralmente un “cessate il fuoco”, ha ritirato le proprie truppe e il FPLT è rientrato nel capoluogo Macallé. Si auspica che gli aiuti umanitari, benché limitati nelle risorse, possano raggiungere la popolazione tigrè al più presto e porre fine alla disperazione di 5,5 milioni di persone. Fotografia © Ben Curtis/AP
Read MoreDi Letizia Pinoja Ogni anno il 12 agosto si celebrano i giovani di tutto il mondo. Lo scopo è quello d’incitare una migliore presa di coscienza e implementazione dei loro diritti fondamentali.[1] Quest’anno il focus si è posato sul sistema alimentare mondiale, e su come, senza la partecipazione attiva dei giovani, la sua trasformazione verso un mondo più equo e sostenibile non sarà fattibile.[2] Come dichiarato dal Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, i giovani sono la nostra unica risorsa per migliorare l’avvenire dell’umanità e, per questo motivo, vanno ascoltati e inclusi nei processi decisionali.[3] Ma è proprio a livello di sicurezza alimentare che i giovani costituiscono la categoria più vulnerabile. Fra gli obiettivi sostenibili dell’Agenda 2030 vi è quello di porre fine alla fame nel mondo.[4] Tuttavia, negli ultimi anni l’insicurezza alimentare ha ricominciato a crescere. Nel 2020, 149 milioni di bambini di età inferiore ai 5 anni erano sottosviluppati, 45 milioni troppo magri per la loro altezza, mentre che 39 milioni di bambini erano in sovrappeso. Più in generale, 3 miliardi di persone nel mondo, bambini compresi, non hanno potuto nutrirsi in modo sano.[5] Fra le cause di questa crescente insicurezza alimentare vi sono gli effetti del cambiamento climatico. Eventi atmosferici anomali come inondazioni e incendi distruggono i raccolti e compromettono la fertilità dei terreni. L’aumento delle temperature favorisce l’emergenza di malattie e parassiti negli allevamenti e nei raccolti.[6] Nelle ultime settimane la Svizzera, come il resto dell’Europa, è stata teatro di eventi climatici estremi quali forti piogge, grandine e inondazioni. I danni sono ingenti ma un paese ricco come la Svizzera riuscirà a far loro fronte.[7] La situazione è però diversa per i paesi più poveri del mondo: la condizione economica già fortemente precaria è messa a dura prova dalle catastrofi ambientali che attanagliano le loro terre, le quali, a loro volta, incrinano la sempre più incerta sicurezza alimentare della popolazione. Per di più, i paesi con un rischio di carestia e/o malnutrizione più elevato sono coloro che generano il minor tasso di anidride carbonica.[8] Ed è quindi questo uno dei messaggi della giornata internazionale della gioventù di quest’anno: la gioventù mondiale deve unirsi e lottare insieme per un futuro più prospero ed equo. Per poterlo fare, deve venir data la parola ai giovani, devono essere interpellati e inclusi nei processi decisionali. Il movimento globale lanciato con lo sciopero per il clima ne è la dimostrazione:[9] la gioventù mondiale non starà in silenzio di fronte alla distruzione del loro futuro. E i governi non possono che ammirarla e ascoltarla. Photo credits: © LaRegione https://www.laregione.ch/cantone/ticino/1369836/il-prossimo-sciopero-per-il-clima-sara-contro-l-inquinamento-bancario [1] https://www.un.org/development/desa/youth/world-programme-of-action-for-youth.html [2] https://www.un.org/development/desa/youth/iyd2021.html [3] https://www.un.org/development/desa/youth/wp-content/uploads/sites/21/2021/08/YouthDay.French.pdf [4] https://www.eda.admin.ch/agenda2030/it/home.html [5] https://www.unicef.ch/it/lunicef/attualita/comunicati-stampa/2021-07-12/welthunger-steigt-wegen-pandemiejahr-drastisch-copy [6] https://theecologist.org/2020/aug/21/climate-change-and-global-hunger [7] https://www.laregione.ch/cantone/ticino/1527523/grandine-danni-genini-perdite-agricoltura-piogge-franchi-sem-maltempo [8] https://www.weforum.org/agenda/2019/08/climate-change-is-causing-hunger-in-some-of-the-worlds-poorest-countries-and-those-most-at-risk-are-the-least-to-blame/ [9] https://climatestrike.ch/fr/movement
Read Moredi Letizia Pinoja Il 29 novembre 2020 i Cantoni svizzeri respinsero l’iniziativa popolare per delle multinazionali responsabili. La Svizzera si è opposta all’obbligazione per le aziende di rispettare i diritti umani in tutta la catena di fornitura. Tuttavia, visto il supporto popolare per l’iniziativa (al voto popolare passò al 50,7%), il Consiglio Federale si è impegnato a proporre un controprogetto indiretto. Come esposto dal professore Nicolas Bueno in un articolo sul La Regione[1] della settimana scorsa, il controprogetto consiste nel richiedere alle imprese svizzere, più grandi di 250 dipendenti e con un fatturato maggiore di 40 milioni, di redigere dei rapporti annui su come l’azienda rispetta i diritti umani. Ciononostante, sempre secondo il professor Bueno e varie ONG attive per i diritti umani, questo controprogetto parte con delle basi estremamente fragili e la sua credibilità è minata dalle varie deroghe concesse alle grandi aziende svizzere. Una delle tematiche più calde in questo senso è il lavoro minorile. La Svizzera si è allineata alla comunità internazionale unendosi all’Alleanza 8.7, un insieme di Stati e attori della società civile, che si impegnano a eliminare la tratta di esseri umani, la schiavitù moderna, il lavoro forzato e il lavoro minorile.[2] L’Alleanza chiede ai membri di «adottare misure immediate ed efficaci per eliminare il lavoro forzato, porre fine alla schiavitù moderna e alla tratta di esseri umani, garantire la proibizione e […] porre fine al lavoro minorile in tutte le sue forme».[3] Questa richiesta stona, però, con l’attuale controprogetto proposto dal Parlamento e sostenuto dal Consiglio Federale. Esso prevede l’obbligo di dovuta diligenza per le aziende che operano in paesi dove il lavoro minorile è una realtà. Eppure, quest’obbligo non prevede dei veri e propri meccanismi di controllo. In fin dei conti, le autorità svizzere si fidano della buona condotta di multinazionali che non hanno un passato immacolato per quanto riguarda il rispetto dei diritti umani. Un’altra situazione che fa storcere il naso degli attivisti per il rispetto dei diritti umani è la scelta, del governo svizzero, di non far rientrare il cobalto nella categoria di minerali provenienti da “aree di conflitto e ad alto rischio” o dove “può essere coinvolto il lavoro minorile”.[4] La Repubblica Democratica del Congo (RDC) è il paese con le più grandi riserve di cobalto al mondo.[5] Oltre ai minerali e le pietre preziose, la Repubblica Democratica del Congo è famosa per le guerre uterine che distruggono il paese da decenni. Situazioni di tratta di esseri umani, schiavitù moderna e sfruttamento sessuale non sono rare nella RDC. I più colpiti da questa violenza sono i bambini: vengono arruolati, sotto minaccia o somministrazione di droghe, nei gruppi armati delle varie fazioni ribelli, sfruttati sessualmente e venduti come merce di scambio. Infine, essi vengono obbligati a lavorare fin dalla tenera età nell’industria dell’estrazione di minerali e pietre preziose.[6] Il 2021 è stato dichiarato l’anno internazionale per l’eliminazione del lavoro minorile.[7] La Svizzera si è fin da subito allineata alla comunità internazionale. Questo supporto pare, però, semplicemente simbolico: le posizioni prese ultimamente da governo e parlamento svizzeri cozzano con l’impegno dichiarato nella lotta al lavoro minorile. Per porre fine allo sfruttamento dei bambini non bastano le belle parole; il nostro paese deve impegnarsi ad adottare misure legislative contro le violazioni dei diritti umani delle multinazionali svizzere, anche se queste ultime possono risultar loro scomode e indurle a “scappare” dal suolo elvetico. [1] https://www.laregione.ch/svizzera/svizzera/1525936/obbligo-diligenza-lavoro-progetto-imprese-federale-consiglio-svizzera-ordinanza-paesi [2] https://www.seco.admin.ch/seco/it/home/Arbeit/Internationale_Arbeitsfragen/menschenhandel.html [3] https://www.ilo.org/rome/risorse-informative/comunicati-stampa/WCMS_768733/lang–it/index.htm [4] https://www.swissinfo.ch/ita/economia/commercio-responsabile-di-cobalto_la-legge-svizzera-sul-commercio-responsabile-deve-includere-il-cobalto/46724936 [5] https://www.statista.com/statistics/264930/global-cobalt-reserves/ [6] https://www.dol.gov/agencies/ilab/resources/reports/child-labor/congo-democratic-republic-drc ; https://www.unicef.org/drcongo/en/press-releases/thousands-children-continue-be-used-child-soldiers [7] https://endchildlabour2021.org/ Photo Credits © NOELLA NYIRABIHOGO, GJP DRC
Read MoreDi Letizia Pinoja Parlare di tratta di esseri umani nel 2021 può apparire obsoleto. Tuttavia, la tratta di esseri umani è una pratica ancora molto presente nella nostra società: secondo i dati delle Nazioni Unite, oggi 40 milioni di persone ne sono ancora vittime.[1] A tal proposito l’Agenda 2030 ha fra i suoi Obiettivi per uno Sviluppo Sostenibile quello di sradicare la tratta e lo sfruttamento di esseri umani.[2] Ma cosa si intende per tratta di esseri umani e perché è importante parlarne? Un fenomeno mondiale La tratta di esseri umani è considerata una forma di schiavitù moderna che si manifesta in quattro forme principali. Lo sfruttamento a fini sessuali è la pratica più conosciuta e implica la prostituzione forzata, la produzione e la rappresentazione pornografica sotto costrizione. Le donne sono le principali vittime di questa tratta. Un altro importante sistema di sfruttamento è quello della manodopera nei settori agricolo, edile, alberghiero e del personale domestico. Spesso si tratta di migranti da paesi a basso reddito che accettano condizioni di vita e lavoro precarie poiché pur sempre meglio della disoccupazione nei loro paesi d’origine.[3] I trafficanti di esseri umani approfittano infatti della vulnerabilità delle loro vittime.[4] Le traggono in inganno con false promesse per un futuro migliore nel paese di destinazione. Anche in questo caso, le donne sono più colpite degli uomini dalla tratta. Il traffico di organi umani costituisce il terzo tipo di sfruttamento. Le vittime, il più delle volte spinte dalla miseria, si vedono costrette a vendere i propri organi in condizioni igienico-sanitarie precarie. Il diritto internazionale vieta tuttavia la vendita di organi e tessuti umani, anche quella di organi “non indispensabili” o con il quali ne basta uno per vivere (per esempio i reni) per evitare qualsiasi tipo di abuso e costrizione.[5] Infine, la precarietà può spingere le persone a dare in adozione i propri figli in cambio d’infime somme. Quest’ultima pratica – la tratta di minori – racchiude varie modalità e scopi abominevoli quali l’adozione illegale,[6] il matrimonio forzato, la pedopornografica, la prostituzione infantile, far commettere reati a bambini e adolescenti o costringerli a elemosinare.[7] “Neanche la Svizzera è esente dalla tratta di esseri umani” Nel 2018 il Global Slavery Index stimava che nel nostro paese 14’000 persone fossero vittima della tratta di esseri umani.[8] Una cifra esorbitante che dimostra come le persone richiedenti d’aiuto – più di 300 nel 2020, un record assoluto per la Confederazione – costituiscano solo la punta dell’iceberg.[9] A tal proposito Valerie Debernardi – ex stagista alla Fondazione Diritti Umani e attualmente praticante legale presso lo studio legale Peter & Moreau di Ginevra – ci ha parlato dei sempre più numerosi casi di denuncia di tratta di esseri umani nell’ambito del personale domestico. “È importante sottolineare che la tratta di esseri umani è un problema anche in Svizzera. Se ne parla poco e ci sono pochi casi portati davanti al tribunale federale. Ginevra in questo è pioniera”. Infatti, è proprio con lo studio legale ginevrino per cui lavora che Valerie partecipa al caso di un gruppo di donne originarie delle Filippine. Si tratta perlopiù di donne impiegate come personale domestico da missioni diplomatiche, che non vengono pagate per il lavoro svolto, lavorando così “gratuitamente” per i diplomatici e trovandosi costrette a lavorare parallelamente per altri datori di lavoro, cumulando in questo modo orari di lavoro impossibili da sostenere. I corpi diplomatici beneficiano di un permesso di soggiorno speciale – la carta di legittimazione – il quale copre anche il loro personale di servizio. Quest’ultimo dettaglio è stato il motivo per il quale ci è voluto così tanto tempo prima che le vittime si ribellassero. “Alcune donne hanno vissuto in condizione di vera e propria schiavitù per oltre vent’anni. Temevano di perdere il diritto di restare in Svizzera e quindi non poter garantire la sopravvivenza delle proprie famiglie nei paesi d’origine. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata l’imposizione alle donne di pagare i contributi della cassa malati. Certe donne vivono con 50-100 franchi al mese. Potersi permettere l’assicurazione sanitaria è letteralmente impossibile. Quest’ultimo affronto ha dato loro il coraggio di chiedere aiuto ai sindacati e denunciare a livello penale, grazie ai loro legali, la situazione di schiavitù in cui si trovavano”. Valerie ci tiene a precisare che “non sono solo i diplomatici stranieri ad essere coinvolti nella tratta di esseri umani. Non sono poche le famiglie svizzere che assumono personale di servizio, tate e badanti vittime della tratta di esseri umani e approfittano della loro vulnerabilità per sottopagarle e sfruttarle”. Gli strumenti di lotta Attualmente il traffico di esseri umani è punibile ai sensi dell’articolo 182 del Codice Penale Svizzero.[10] Inoltre, la Convenzione sulla lotta contro la tratta degli esseri umani del Consiglio d’Europa, ratificata nel 2013 dalla Svizzera,[11] “è cruciale nel lavoro di protezione delle vittime di tratta” ci dice ancora Valerie, “l’articolo 14 prevede il rilascio di un permesso di soggiorno in Svizzera per le vittime della tratta. Questo costituisce un incentivo a denunciare le situazioni di schiavitù. Permette di interrompere il circolo vizioso in cui troppo spesso si trovano le vittime.” Infine, la Svizzera lotta contro la schiavitù moderna attraverso il suo impegno nell’Alleanza 8.7. Essa è un’alleanza mondiale di paesi e organizzazioni internazionali che, attraverso diversi gruppi di lavoro, intende smantellare il sistema internazionale che favorisce e permette lo sfruttamento e la tratta di esseri umani.[12] Anche a livello individuale è possibile agire e contribuire alla fine della schiavitù moderna, e la giornata mondiale contro la tratta di esseri umani esiste per ricordarcelo. Innanzitutto, e come sottolineato da Valerie, è fondamentale rendersi conto che il problema esiste anche in Svizzera. Questo primo passo è la chiave per diventare più vigili nel riconoscere potenziali vittime. Ogni individuo che si rende conto della situazione di sfruttamento può aiutare la vittima a richiedere aiuto. Spesso le vittime sono sotto stretta sorveglianza dei loro aguzzini. Anche solo mettendo a disposizione il proprio telefono per contattare gli aiuti, si potrebbe aprire un varco verso la libertà
Read MoreDi Letizia Pinoja “Nessuno nasce odiando i propri simili a causa della razza, della religione o della classe alla quale appartengono. Gli uomini imparano a odiare, possono anche imparare ad amare, perché l’amore, per il cuore umano, è più naturale dell’odio” Nelson Mandela, Lungo cammino verso la libertà. Autobiografia, 1995 Nella sua lotta per porre fine al regime segregazionista sudafricano, Mandela si è battuto per cambiare la società globale e renderla più giusta e inclusiva. Egli ha creduto fermamente nell’uguaglianza e nella dignità di ogni essere umano. Soprattutto, è stato un fervente sostenitore del dialogo e della solidarietà fra parti diverse, anche opposte. La pandemia di Covid-19 non ha fatto che accentuare le persistenti ineguaglianze nella nostra società.[1] L’esplosione del movimento #BlackLivesMatter in seguito alla morte, per mano della polizia statunitense, di George Floyd nel maggio del 2020 ne è un tragico esempio.[2] Sul continente Europeo, il supporto elettorale guadagnato da partiti tendenti a posizioni di estrema destra, e l’aumento delle segnalazioni di casi di discriminazione razziale dimostrano come discorsi populisti siano sempre più apprezzati dalla popolazione.[3] In Svizzera, la diversità e lo scambio interculturale non sono più percepiti come arricchenti e interessanti, bensì vi è una tendenza a percepirli come una minaccia identitaria.[4] Sono sempre più i casi di discriminazione razziale nei media, nei discorsi pubblici e politici verso cui, in modo molto preoccupante, è aumentata la tolleranza e la condivisione.[5] Casi di profiling razziale da parte della polizia, battute razziste, discriminazioni nella vita quotidiana basate sulle presunte origini di una persona, diventano sempre più frequenti e accettati dalla società. [6] In questi giorni si stanno tirando le somme degli Europei di calcio 2020. Essi sono stati teatro di rivendicazioni politiche – come nel caso delle proteste LGBTQIA+ nella partita Germania contro Ungheria – e di prese di posizione contro il razzismo – il supporto al movimento Black Lives Matter dimostrato dai giocatori inginocchiatisi a inizio partita. Le critiche a queste espressioni di solidarietà sono però l’ennesima dimostrazione di come le discriminazioni razziali e omofobe sono ancora troppo presenti nella nostra società. Il Mandela Day non è quindi solo una ricorrenza. È importante celebrare Nelson Mandela per ricordarsi che l’amore per il prossimo non può essere messo in dubbio da fobie e pregiudizi; e questo per il bene comune della società, per la democrazia e i diritti fondamentali di ogni persona, indipendentemente dalle origini del proprio cognome o il colore della pelle. Approfondimenti: https://www.mandeladay.com https://www.nelsonmandela.org https://www.lospiegone.com – “Ricorda 1918: l’eredità di Nelson Mandela” Immagine: © Nelson Mandela Foundation / Matthew William [1] Commissione federale contro il razzismo – Episodi di razzismo trattati nell’attività di consulenza 2020, Prof. Avv. Nora Refaeil – https://www.ekr.admin.ch/i148.html [2] https://www.repubblica.it/esteri/2021/05/25/news/usa_un_anno_fa_la_morte_di_george_floyd_la_famiglia_alla_casa_bianca_oggi_celebriamo_la_sua_vita_e_stato_capace_di_camb-302790113/ [3] https://network-racism.ch/it/rappporto-sul-razzismo/index.html [4] https://www.ekr.admin.ch/pubblicazioni/i827.html [5] Commissione federale contro il razzismo – Episodi di razzismo trattati nell’attività di consulenza 2020, Martine Brunschwig Graf https://www.ekr.admin.ch/i342.html [6] https://www.humanrights.ch/de/ipf/menschenrechte/rassismus/dossier/rassistisches-profiling/
Read MoreDi Letizia Pinoja Negli Stati Uniti dal 1990 al 2017 la consumazione pro capite di avocado è aumentata del 406%.[1] Su scala mondiale, si stima che attualmente la popolazione consumi all’incirca cinque milioni di tonnellate di avocado l’anno. Nel 2018, il cittadino europeo ha consumato in media 1,05 kg di avocado. A causa della popolarità raggiunta fra le nuove generazioni questa cifra è destinata a salire,[2] ma a quale prezzo? Produzione e consumo di avocado Originario dell’America Centrale, oggi l’avocado è coltivato in varie regioni tropicali del mondo.[3] Il principale esportatore è il Messico, producendo il 40% dell’offerta mondiale.[4] Grazie alle sue proprietà nutritive e alla sua versatilità, l’avocado viene sfruttato sia nel campo alimentare, sia nell’industria cosmetica. Da ciò derivano profitti enormi: tra il 2018 e il 2019 le esportazioni di avocado hanno fruttato globalmente 2,8 miliardi di dollari.[5] Come spesso accade, queste cifre esorbitanti sono possibili solo a scapito di terzi. È infatti sempre più grande la preoccupazione riguardo all’impatto negativo sull’ambiente causato dal consumo di avocado, nonché alle gravi violazioni dei diritti umani implicate nel processo. Una produzione insostenibile La coltivazione di avocado richiede ingenti quantità d’acqua. Nel 2018 la produzione globale di avocado ha portato al consumo di 6,96 km cubi di acqua, l’equivalente di 2,82 milioni di piscine olimpioniche.[6] Inoltre, vista la crescente domanda per gli avocado, tante industrie hanno optato per una monocultura di avocado, mettendo a dura prova la biodiversità e la sicurezza alimentare d’intere regioni.[7] Un’ulteriore conseguenza della “avocado-mania” è la deforestazione: in Messico, per esempio, sono sempre più frequenti gli incendi illegali di foreste.[8] Le conseguenze ambientali nefaste portano anche a violazioni dei diritti umani, e il caso del Cile ne è un esempio. A causa di una legge del 1981[9], in Cile è possibile comprare e possedere fonti d’acqua. Esiste quindi un vero e proprio monopolio dell’acqua controllato dalle agroindustrie produttrici di avocado.[10] Le falde acquifere e i fiumi, se non inquinati dall’uso di pesticidi e fertilizzanti illegali in Europa, sono stati prosciugati in nome del frutto. La popolazione locale è totalmente privata dell’acqua, al punto da essere costretta a fare i propri bisogni in sacchetti di plastica.[11] Nel 2010 le Nazioni Unite hanno sancito il diritto all’acqua quale diritto umano.[12] Imporre alle persone di vivere in condizioni precarie, provvedendo con camion d’acqua non del tutto potabile trasportata da altre regioni cilene, è una grave violazione dei loro diritti fondamentali. Il costo umano degli avocado La popolazione cilena non è l’unica a subire le conseguenze della produzione di avocado. Gli enormi profitti hanno attirato gang criminali in tutto il mondo, in particolare i cartelli della droga messicani.[13] Esse manipolano le comunità agricole locali, impongono la monocoltura di avocado e beneficiano dei profitti.[14] Se i contadini si ribellano o resistono spesso vengono intimiditi, rapiti o uccisi.[15] Inoltre, le possibilità di arricchimento fanno gola a tante gang, creando situazioni violente pericolose per la popolazione locale.[16] Solo nel 2018 nella cittadina messicana di Uruapan, capitale mondiale dell’avocado abitata da 300’000 anime, 297 persone sono state vittima di uccisioni da parte della criminalità organizzata.[17] E quindi cosa fare? Boicottare non è di certo la soluzione, poiché migliaia di famiglie sopravvivono grazie alla coltura degli avocado. Inoltre, i cartelli della droga possono diventare più aggressivi ed esigenti per compensare le perdite che una diminuzione della domanda comporterebbe. Tuttavia, un primo passo che potrebbero fare i singoli è fare pressione sui distributori locali e le multinazionali coinvolte nella produzione di avocado, cercando di ottenere giustizia e la salvaguardia dei diritti umani.[18] [1] https://www.dw.com/en/green-gold-avocado-farming-on-the-rise-in-africa/a-57390367 [2] Sommaruga, R. and Eldridge, H.M. (2021), Avocado Production: Water Footprint and Socio-economic Implications. EuroChoices. https://doi.org/10.1111/1746-692X.12289 [3] https://www.statista.com/statistics/593211/global-avocado-production-by-country/ [4] https://www.dw.com/en/mexicos-bloody-fight-over-avocados/a-52606013 [5] https://www.slowfood.com/the-dark-side-of-your-avocado-toast/ [6] Sommaruga, R. and Eldridge, H.M. (2021), Avocado Production: Water Footprint and Socio-economic Implications. EuroChoices. https://doi.org/10.1111/1746-692X.12289 [7] https://www.dw.com/en/green-gold-avocado-farming-on-the-rise-in-africa/a-57390367 [8] Sommaruga, R. and Eldridge, H.M. (2021), Avocado Production: Water Footprint and Socio-economic Implications. EuroChoices. https://doi.org/10.1111/1746-692X.12289 [9] https://content.next.westlaw.com/9-547-7926?__lrTS=20210203103555733&transitionType=Default&contextData=(sc.Default)&firstPage=true [10] https://www.internazionale.it/video/2019/07/25/esportazione-avocado-acqua-cile [11] https://www.internazionale.it/reportage/alice-facchini/2017/07/24/avocado-cile-acqua [12] https://www.eda.admin.ch/deza/it/home/temi-dsc/acqua/acqua-esseri-umani.html [13] https://www.slowfood.com/the-dark-side-of-your-avocado-toast/ [14] https://www.wbur.org/hereandnow/2020/02/07/avocados-mexican-drug-cartels [15] https://www.businessinsider.com/us-avocado-consumption-helping-mexican-drug-cartels-border-guns-2020-2?r=US&IR=T [16] https://www.latimes.com/world-nation/story/2019-11-20/mexico-cartel-violence-avocados [17] https://www.dw.com/en/mexicos-bloody-fight-over-avocados/a-52606013 [18] https://www.businessinsider.com/us-avocado-consumption-helping-mexican-drug-cartels-border-guns-2020-2?r=US&IR=T
Read MoreLe organizzazioni non governative stimano che siano più di 50.000 le vittime ancora registrate ogni anno Tortura, una parola agghiacciante che sembra appartenere ai secoli scorsi. E’ invece un atto tuttora presente in molti Stati del mondo, praticato in sordina con il fine di estorcere confessioni attraverso la sofferenza fisica e psichica. La tortura è un crimine sancito dal diritto internazionale, presente nella Dichiarazione Universale dei Diritti umani, secondo la quale “nessun individuo potrà essere sottoposto a tortura, a trattamenti o a punizioni crudeli, inumani o degradanti”. Non solo, ma è anche oggetto della Convenzione contro la tortura, entrata in vigore nel 1987 e ratificata, ad oggi, da più di 160 Paesi. Purtroppo tutte le organizzazioni non governative che sorvegliano e lottano per il rispetto dei diritti umani sono concordi nel denunciare la pratica della tortura anche in Paesi firmatari della Convenzione : stimano infatti che siano più di 50.000 le vittime registrate ogni anno.
Read MoreIl 19 giugno si celebra la Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza sessuale nei conflitti armati, voluta dalle Nazioni Unite per combattere questo crimine brutale, che colpisce principalmente donne e ragazze, ma che viene perpetrato anche contro uomini e ragazzi. Nel suo ultimo rapporto su questo dramma, il Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha ricordato l’importanza della Risoluzione 1325 (2000), la prima risoluzione in assoluto che menziona esplicitamente l’impatto della guerra sulle donne ed il contributo delle stesse nella risoluzione dei conflitti per una pace durevole. La pandemia, purtroppo, ha messo in evidenza l’insufficienza dei progressi raggiunti, spesso a fatica, in questo campo e ha amplificato la disuguaglianza di genere, che spesso è una delle cause alla radice della violenza sessuale nei conflitti armati, ma anche in tempo di pace. Come ha rimarcato Guterres, quanto accaduto in Etiopia, durante il conflitto nel Tigray, testimonia come la violenza sessuale sia ancora utilizzata come “una tattica di guerra e tortura” in quei contesti in cui si sovrappongono crisi umanitaria e di sicurezza. Sebbene molti sforzi in questo senso siano stati fatti, come la creazione di un apposito ufficio del Segretariato Generale delle Nazioni Unite per la violenza sessuale associata a situazioni di conflitto e di un network di agenzie internazionali impegnate su programmi paese specifici, il fenomeno continua di fatto ad essere sottostimato, complice anche il senso di vergogna che impedisce alle vittime e ai sopravvissuti di denunciare quello che hanno subito, rendendo di conseguenza molto difficile la raccolta dei dati per ogni teatro di conflitto. A livello internazionale sempre più si sta rafforzando un movimento di opinione, nato dalla società civile, per contrastare in tutti i modi possibili questo crimine e per sostenere le vittime da esso causate. Fonte: https://www.adnkronos.com/giornata-internazionale-per-leliminazione-della-violenza-sessuale-nei-conflitti-armati_6UFxzclzME3JgWHeoSX5ad?refresh_ce https://unipd-centrodirittiumani.it/it/news/Nazioni-Unite-Giornata-internazionale-contro-la-violenza-sessuale-nei-conflitti-armati/5217
Read MoreMessaggio del Segretario Generale per la Giornata Mondiale contro la Desertificazione e la Siccità “L’umanità sta conducendo una guerra contro la natura, incessante e autolesionista. Si impoverisce la biodiversità mentre aumenta la concentrazione di gas a effetto serra, e l’inquinamento è ormai ovunque, dalle isole più remote alle vette più impervie. Dobbiamo fare pace con la natura. La terra può essere il nostro migliore alleato. Ma è una terra che soffre. Il degrado del suolo causato dal cambiamento climatico e dall’espansione di agricoltura, città e infrastrutture minaccia il benessere di 3,2 miliardi di persone. Esso danneggia la biodiversità e permette l’insorgere di malattie infettive quali il COVID-19. La riconversione di terre degradate permetterebbe di rimuovere il carbonio dall’atmosfera e aiuterebbe comunità vulnerabili ad adattarsi al cambiamento climatico. Ciò potrebbe inoltre generare 1400 miliardi di dollari aggiuntivi in termini di produzione agricola annuale. L’aspetto migliore è che tale riconversione è semplice, economica e accessibile a tutti. Si tratta di uno dei modi più democratici e favorevoli ai poveri di accelerare il progresso verso il conseguimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile. Quest’anno segna l’avvio del Decennio ONU sul Ripristino degli Ecosistemi. In occasione di questa Giornata, mettiamo la terra al centro di qualunque nostra pianificazione.” La Svizzera e la lotta alla desertificazione Nel 1996, la Svizzera ha ratificato la «United Nations Convention to Combat Desertification» (UNCCD), la Convenzione dell’ONU per la lotta alla desertificazione, lanciata nel 1994 dopo il vertice della Terra di Rio de Janeiro. Circa un quarto della superficie della Terra si deve confrontare con il problema della siccità, e delle sue conseguenze quali carestia, povertà e movimenti di migranti. La Svizzera è attiva nel campo della lotta alla desertificazione fin dagli anni 80, attraverso l’aiuto allo sviluppo che mira a innescare processi sostenibili e gestibili autonomamente. L’aiuto allo sviluppo si basa sulla collaborazione con autorità locali, istituzioni, organizzazioni non governative (ONG) e direttamente con la popolazione locale.Andri Bisaz, della Direzione dello sviluppo e della cooperazione (DSC), l’organismo ufficiale svizzero di aiuto allo viluppo, è responsabile per i contatti della DSC con la Commissione per la lotta contro la desertificazione.«Per la giornata internazionale non ci sono azioni particolari. Ma ovviamente continuiamo a impegnarci contro la desertificazione nell’ambito dei nostri progetti», conferma Bisaz. Tra il 1997 e il 2000, la DSC ha speso quasi 166 milioni di franchi per la cooperazione bilaterale. Fondi che sono andati in Africa (nella misura del 43 percento), in Asia (38 percento) e nell’America centrale (19 percento). Fonte: https://unric.org/it/messaggio-del-segretario-generale-per-la-giornata-mondiale-contro-la-desertificazione-e-la-siccita/ https://www.swissinfo.ch/ita/lotta-contro-la-desertificazione/3362518 Fonte immagine : https://www.efanews.eu/resource/13912-suolo.html
Read MoreSave The Children li defininisce “Piccoli schiavi invisibili”. Nel mondo ci sono ancora oggi 152 milioni i bambini vittime di lavoro minorile. Metà di essi, 73 milioni, sono costretti in attività di lavoro pericolose che mettono a rischio la salute, la sicurezza e il loro sviluppo morale. Sono vittime di sfruttamento sessuale, lavorativo o accattonaggio forzato. In tutto il mondo la crisi innescata dal Covid-19 ha peggiorato la situazione del lavoro minorile. Per questo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, in collaborazione con il partenariato mondiale dell’Alleanza 8.7, ha lanciato il 2021 Anno internazionale per l’eliminazione del lavoro minorile. L’obiettivo di questa iniziativa è quello di incoraggiare azioni legislative e politiche finalizzate a prevenire e contrastare il minorile nel mondo. La risoluzione che proclama il 2021 come Anno internazionale per l’eliminazione del lavoro minorile è stata adottata all’unanimità dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 2019 per sollecitare i governi ad adottare le misure necessarie per promuovere il lavoro dignitoso e raggiungere l’Obiettivo 8.7 previsto dall’Agenda 2030 delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile. Tale obiettivo chiede agli Stati membri di adottare misure immediate ed efficaci per eliminare il lavoro forzato, porre fine alla schiavitù moderna e alla tratta di esseri umani, garantire la proibizione e l’eliminazione delle forme peggiori di lavoro minorile (compreso il reclutamento e l’uso di bambini-soldato) e di porre fine al lavoro minorile in tutte le sue forme entro il 2025. Fonte: https://www.repubblica.it/economia/2021/03/01/news/lavoro_minorile_nel_mondo_152_milioni_di_bambini_vittime_dello_sfruttamento-289742007/#:~:text=Nel%20mondo%20ci%20sono%20ancora,sessuale%2C%20lavorativo%20o%20accattonaggio%20forzato
Read MoreDalla prima Giornata Mondiale dell’Ambiente nel 1974, l’evento è cresciuto fino a diventare una piattaforma globale per la sensibilizzazione pubblica sul tema dell’ambiente in oltre 100 Paesi. La Giornata Mondiale dell’Ambiente 2021 è ospitata dal Pakistan e ha come tema il “Ripristino dell’Ecosistema” nell’ambito della campagna “Reimagine. Recreate. Restore.” Quest’anno, la Giornata servirà anche per il lancio ufficiale del Decennio delle Nazioni Unite per il Ripristino dell’Ecosistema 2021-2030. Gli hashtag ufficiali della Giornata sono #GenerationRestoration e #WorldEnvironmentDay. Ripristino dell’Ecosistema Quest’anno, la Giornata Mondiale dell’Ambiente sollecita un’azione urgente per far rivivere i nostri ecosistemi danneggiati. Gli esseri umani stanno perdendo e distruggendo le fondamenta della propria sopravvivenza a un ritmo allarmante. Più di 4,7 milioni di ettari di foreste (pari a un’area più grande della Danimarca) vengono persi ogni anno. Di conseguenza, la perdita dell’ecosistema sta privando il mondo di pozzi di assorbimento del carbonio come le foreste e le torbiere. Le emissioni globali di gas serra sono cresciute per tre anni consecutivi e il pianeta è sulla strada verso un cambiamento climatico potenzialmente catastrofico. Riducendo l’habitat naturale per la fauna selvatica, abbiamo creato le condizioni ideali per il diffondersi degli agenti patogeni, compresi i coronavirus, come dimostrato dal COVID-19. Fonte: https://unric.org/it/giornata-mondiale-dellambiente-2021-serve-unazione-urgente-per-il-ripristino-dellecosistema/
Read MoreHa vigilato per anni sugli abusi dei servizi segreti. Secondo lui la legge in votazione il 13 giugno apre la porta ad arbitri senza precedenti «Sono inorridito». Il professor Rainer Schweizer osserva da una vita i conflitti tra libertà personale e poteri di polizia, e dopo aver setacciato il testo della nuova legge contro il terrorismo non usa mezzi termini: «Questa legge conferisce poteri esorbitanti ai servizi segreti e alla Fedpol, poteri di intervento preventivo svincolati dal controllo immediato di ogni altra autorità». Un’opinione particolarmente pesante, sapendo che il professore emerito di Diritto pubblico è stato dal 1993 al 2006 presidente della Commissione federale per la protezione dei dati. Trattando decine di ricorsi ha quindi visto coi suoi occhi errori e abusi del ‘Servizio delle attività informative’ (Sic), che ora teme possano moltiplicarsi. Ricapitolando: la legge conferisce a queste autorità la possibilità di obbligare i sospetti terroristi a colloqui preventivi e/o periodici, di limitarne la libertà di movimento e viaggio e di espellerli se sono stranieri. Il tutto a partire dai 12 anni e senza l’autorizzazione di un giudice, necessaria solo per arresti domiciliari. Cosa potrebbe andare storto? Intanto, parlo per esperienza: il lavoro di sorveglianza dei cittadini da parte del Sic è stato sempre molto discutibile, perfino prima che vi si aggiungesse l’intervento nella sfera digitale. Anche senza scomodare grandi scandali come quello delle schedature, ho dovuto riscontrare molte volte la raccolta di informazioni sbagliate o fasulle, gli scambi di dossier, un modo di procedere irrispettoso del diritto. Mi è capitato ad esempio di chinarmi due volte sullo stesso caso e vedermi presentati due faldoni completamente diversi, o di constatare l’osservazione di persone che non c’entravano assolutamente nulla col terrorismo: un avvocato ‘colpevole’ solo di avere difeso degli imputati delle Brigate Rosse era ancora schedato e sorvegliato dopo un quarto di secolo; i dati di una persona con immunità diplomatica sottratti illegalmente sono finiti nelle mani del Sic che li ha usati per anni, anche dopo che la procuratrice federale Carla Del Ponte ne aveva disposto la distruzione. È legittimo temere che a maggiori poteri corrisponderanno maggiori abusi. Fonte: https://www.laregione.ch/svizzera/svizzera/1514988/legge-sic-terrorismo-abusi-anni-stato-schweizer
Read MoreQuando la sicurezza a ogni costo stigmatizza le minoranze In seguito all’omicidio dell’afroamericano George Floyd, migliaia di persone in diverse città del mondo sono scese in piazza contro il razzismo e gli abusi di potere da parte della polizia. L’ondata di proteste ha toccato anche il nostro paese e nell’ultimo anno si sono tenute manifestazioni a Berna, Losanna, Zurigo, Lucerna. Anche se la situazione in Svizzera non è lontanamente paragonabile a quella degli Stati Uniti per numero e tipologia di casi accertati, non siamo esenti da critiche. Secondo Swissinfo sono tre gli interventi di polizia nel corso dei quali i fermati sono deceduti: un congolese ucciso da un poliziotto nel Canton Vaud nel 2016, un gambiano arrestato per errore e morto in cella nel 2017, un nigeriano immobilizzato e tenuto premuto a terra a Losanna nel 2018. Kanyana Mutombo, segretario generale dell’organizzazione “Carrefour de réflexion e action sur le racisme anti-Noir” (CRAN), afferma che i neri sono spesso vittime di profiling, ovvero controlli di identità e perquisizioni da parte della polizia in base all’appartenenza razziale. Un rapporto della Commissione Federale contro il Razzismo ha rilevato come un terzo delle persone interessate siano di origine africana, seguite da persone provenienti da Kosovo, Serbia e Turchia, discriminate a seconda della presunta origine straniera. Stefan Blättler, presidente della Conferenza dei comandanti delle polizie cantonali (CCPCS), sostiene invece che gli interventi degli agenti sono “sempre strettamente regolamentati” e che la formazione dei poliziotti prevede momenti di sensibilizzazione contro la discriminazione razziale. La profilazione razziale rappresenta una criticità di tipo strutturale lungi dall’esser risolta, nonostante le raccomandazioni delle Nazioni Unite a considerare maggiormente diritti umani e questioni etiche quando si addestrano le nuove leve. Questa tematica rientra nelle discussioni per la Legge federale sulle misure di polizia per la lotta al terrorismo (MPT), oggetto di referendum e in votazione il prossimo 13 giugno, la quale vorrebbe concedere più strumenti nella prevenzione degli attentati. Nonostante due soli attacchi terroristici su territorio elvetico, di cui uno ancora presunto, e l’immagine di paese tra i più sicuri al mondo, la Confederazione ritiene che la minaccia resti elevata e che siano necessarie nuove misure. Giovani Verdi liberali, Giovani Verdi, Gioventù socialista (Giso), Partito Pirata, la piattaforma di organizzazioni non governative svizzere, nonché l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite e la Commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa hanno criticato apertamente il testo della legge antiterrorismo. Così redatto, infatti, presenta numerose disposizioni che potrebbero rappresentare delle vere e proprie violazioni dei diritti umani, a partire dalla privazione arbitraria della libertà sulla cultura del sospetto (proibita dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo) e della sua applicazione su minori (contravvenendo alla Convenzione sui diritti dell’infanzia). Secondo Amnesty International Sezione Svizzera il progetto prevede una serie di misure preventive “sproporzionate, perché sono molto restrittive e applicate sulla base di semplici sospetti” e rischia di stigmatizzare parte della popolazione a causa della provenienza etnica o delle sue idee politiche. Le limitazioni dei diritti fondamentali e umani garantiti dalla Costituzione federale, la definizione di organizzazione terroristica vaga e imprecisa, gli arresti domiciliari per qualsiasi cittadino sulla base di soli indizi, la mancata separazione dei poteri e l’aggiramento del controllo giudiziario, risultano problematici a causa dell’ampio margine di discrezionalità che verrebbe dato alla Fedpol: quest’ultima potrebbe agire basandosi su ipotesi e interpretazioni personali totalmente o in parte arbitrarie. La polizia ha sempre assunto la funzione di custode dell’ordine, proteggendo i deboli, prevenendo e reprimendo i reati. Un corpo distinto all’interno della società verso il quale i cittadini, tutti, indistintamente, dovrebbero riporre fiducia e sentimenti positivi. L’eventuale adozione delle MPT, però, potrebbe minare la tutela della popolazione, in un rischio di deriva per lo Stato di diritto che si vorrebbe preservare. Fonte: https://www.swissinfo.ch/ita/economia/profilazione–discriminazione–anche-in-svizzera-esiste-il-razzismo-strutturale/45815164?utm_campaign=swi-rss&utm_source=gn&utm_medium=rss&utm_content=o
Read MoreLe ambiguità contenute nel disegno di legge antiterrorismo, destano significative preoccupazioni a livello nazionale ed internazionale. L’adozione di definizioni eccessivamente ampie di terrorismo in apposite leggi volte a contrastarne il fenomeno, pone il rischio, laddove tali leggi e misure limitino il godimento dei diritti e delle libertà, di violare i principi di necessità e proporzionalità che disciplinano l’ammissibilità di qualsiasi restrizione ai diritti umani. Questo è il caso del disegno di legge che sarà sottoposto a votazione referendaria il 13 giugno, nel quale è contenuta una definizione di terrorismo vaga e approssimativa. L’art. 23e del testo di legge stabilisce infatti che siano da considerarsi attività terroristiche le “azioni tendenti ad influenzare o modificare l’ordinamento dello Stato che si intendono attuare o favorire commettendo o minacciando di commettere gravi reati o propagando paura e timore”. Inoltre, la legge descrive come “potenziale terrorista” colui che, sulla base di indicatori “concreti ed attuali” si “suppone” compirà atti terroristici. La presenza di termini elusivi come “si suppone” o la mancanza di una specifica elencazione degli “indicatori concreti ed attuali” rende tali definizioni nebulose e generiche, inadatte ad uno stato di diritto poiché inclini ad incoraggiare un’applicazione arbitraria della legge. Non si può infatti escludere che tale base normativa possa porre i presupposti per interpretare e punire quali “attività terroristiche” anche atti leciti volti ad influenzare o modificare l’ordine costituzionale, come ad esempio il giornalismo indipendente o l’operato dei gruppi di pressione o degli attivisti politici. In mancanza di una definizione esauriente ed universalmente concordata di terrorismo, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha in più occasioni ribadito che le leggi e le politiche antiterrorismo devono essere circoscritte ai reati che corrispondono alle caratteristiche riconducibili alla lotta al terrorismo internazionale come identificato dal Consiglio di Sicurezza nella risoluzione 1566 del 2004. Quest’ultima definisce “terroristici” quegli atti criminali, in particolare quelli diretti contro i civili, che abbiano l’intento di causare morte o lesioni gravi o presa di ostaggi allo scopo di seminare terrore tra la popolazione, o un gruppo di persone, con lo scopo di intimidire una popolazione o costringere un governo o un’organizzazione internazionale a compiere un atto o ad astenersi dal farlo. Dopo una prima lettura delle caratteristiche sopracitate, appare immediatamente chiaro che il disegno di legge proposto dal Parlamento e dal Consiglio Federale non rispetti affatto le linee guida identificate dalla comunità internazionale, poiché non lega la definizione di terrorismo al compimento di attività criminali o all’uso della forza. Si tratta di una definizione anche più ampia di quella ai sensi dell’articolo 260 dello stesso codice penale svizzero, che definisce terrorismo come “atti di violenza criminali volti a intimidire la popolazione o a costringere uno Stato o un’organizzazione internazionale a fare o ad omettere un atto”. In mancanza del nesso tra nozione di terrorismo e atto criminale, l’esercizio della libertà di espressione potrebbe essere compromesso. In questo senso, la Confederazione corre ad oggi il tangibile rischio di instituire un modello per la soppressione autoritaria della dissidenza politica, ancor più qualora si consideri che, tranne nel caso degli arresti domiciliari, spetterà alla polizia federale ordinare ed eseguire le misure elencate nel provvedimento legislativo, senza il controllo di un organo giudiziario. Non essendo espressamente definiti dalla legge quali siano gli “indizi concreti e attuali” che porterebbero la polizia federale a supporre che un individuo possa essere considerato terrorista e quindi sottoposto alle apposite misure atte a prevenirne l’attività, attivisti politici, giornalisti nonché la società civile in senso lato, potrebbero essere dissuasi dall’esprimersi liberamente, limitandosi nelle ricerche online per paura che esse vengano catalogate ed operando una azione di autocensura con un effetto paralizzante sullo sviluppo della comunità intellettuale e di una società civile libera ed informata. Il disegno di legge prevede invero che la fedpol e le competenti autorità cantonali possano trattare dati personali di “potenziali terroristi” degni di particolare protezione, come i dati concernenti le opinioni o attività religiose e filosofiche. La lacunosità della legge e il suo potenziale effetto sulla libertà di espressione viola inoltre diverse disposizioni contenute in trattati internazionali di cui la Svizzera è firmataria, in specie: l’art. 19 (libertà di opinione e di espressione) e l’art. 18 (libertà di pensiero, coscienza e religione) del Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici, l’art. 9 (libertà di pensiero, coscienza e religione) della Convenzione Europea sui Diritti dell’Uomo, nonché l’art. 13 (libertà di formare delle opinioni e di esprimerle) e l’art. 14 (libertà di pensiero, di coscienza e religione) della Convenzione dei Diritti del Fanciullo (ricordiamo infatti che le misure previste dalla legge sono applicabili anche ai minori a partire dal dodicesimo anno di età). Le disposizioni sopracitate prevedono che l’esercizio della libertà di espressione non possa essere soggetto ad autorizzazione o censura e che possa essere regolamentato unicamente dalle limitazioni espressamente stabilite dalla legge, cosa che nel caso di specie non avviene in modo adeguato. La sorveglianza di dati sensibili della popolazione sulla base di sospetti da parte di un’autorità amministrativa (la fedpol) in assenza di una procedura penale, favorisce inoltre la creazione di un sistema di giustizia parallelo in cui i cittadini sono privati delle garanzie procedurali che spettano loro. È impossibile in tal senso non operare un rimando allo scandalo delle schedature del 1989, quando venne alla luce l’imponente sistema di controllo di massa della popolazione messo in piedi dalle Autorità federali e le Forze di Polizia cantonali. Si stima che vennero raccolti fino a 900.000 dossier che segretamente monitoravano le attività, a partire dagli spostamenti, e raccoglievano informazioni riservate di cittadini, organizzazioni, studi legali e gruppi politici prevalentemente di orientamento politico di sinistra. Lucia Greco
Read MoreUna parte delle misure previste dalla legge sulle misure di polizia per la lotta al terrorismo (MPT) vengono già applicate in Francia. La proroga di poteri eccezionali, ben oltre il periodo di incertezza seguito agli attentati di Parigi, ha ampiamente contribuito alla messa in atto di queste sanzioni che hanno delle ripercussioni terribili per le persone di cui sono vittime. Il caso di Joël Militante ecologista della prima ora, l’impegno di Joël gli è costato gli arresti domiciliari e una sorveglianza costante, ci racconta il suo quotidiano: Joël Domenjoud, 34 anni, percorre le stradine deserte di Bure (Mosa), con due baguettes sotto il braccio. Militante ecologista della prima ora, Joël si è visto attribuire agli arresti domiciliari al momento della Conferenza di Parigi sul clima, che si è tenuta nel dicembre 2015. Nel momento in cui il governo dichiara lo stato d’emergenza, Joël esce di casa e ha la sensazione di essere seguito. “Ho girato in tondo nel quartiere, qualcuno mi seguiva”, ricorda. Preso dal panico, sale su un bus e smonta il suo telefono. Quando lo riaccende, due ore più tardi, la sua vicina di casa lo chiama, preoccupata: nelle scale della palazzina sono allineati una ventina di poliziotti, che lo cercano. Joël si reca allora al commissariato dove viene informato che, per tre settimane, non potrà uscire da Malakoff, dove abita. Ogni giorno degli agenti di polizia si alternavano per seguirlo. A volte l’uomo sente che una vettura segue la sua bicicletta per assicurarsi che sarà puntuale in commissariato. “Dovevo presentarmi tre volte al giorno: alle 9, alle 13.30 e alle 19.30”. Joël trascorre i suoi pomeriggi ad organizzare gli incontri associativi a Malakoff, dedicati alle grandi sfide internazionali legate al clima. Un modo per lui di partecipare, nonostante tutto, all’evento che aspettava da tempo. Ma, a partire dalle 20, deve rinchiudersi in casa. Amici e parenti temono di chiamarlo o di scrivergli messaggi mail. Chi lo fa ne paga le conseguenze. Una sera, un amico lo avverte che sta per arrivare con “una piccola sorpresa”. Sarà immediatamente perquisito all’uscita dalla metro. Nel suo zaino: una scatola di biscotti. In un rapporto del ministero degli Interni, il giovane uomo vien dipinto come un “individuo violento” che partecipa a delle manifestazioni che causano un disturbo all’ordine pubblico. Ciononostante, per una sua amica, anche lei militante ecologista, “Joël è il tipo di persona alla quale ci si rivolge quando c’è da risolvere un conflitto. Riesce sempre a calmare gli animi quando si sta per perdere il controllo della situazione”. Joël denuncia il carattere diffamatorio del rapporto ministeriale: “Hanno scritto solo di alcuni raduni che sono degenerati, negando tutto il resto della mia vita militante”. È diventato militante no global quando studiava filosofia. È anche stato attivo nel movimento giovanile di Amnesty e ha partecipato alla rete No Border. In seguito agli arresti domiciliari, Joël non riesce a cancellare dalla memoria le settimane trascorse sotto alta sorveglianza. “Si era rotto qualcosa. Ho sentito il bisogno di trovare un rifugio, un luogo dove la solidarietà trionfasse su tutto il resto”. Nell’agosto 2016 abbandona la vita parigina e si trasferisce a Bure con una trentina di attivisti ecologisti. Piantano patate, cipolle e cereali nei campi dei dintorni per vivere insieme, “costruire un altro modo di vita”. Qui, in piena campagna, a 300 chilometri da Parigi, il ritmo dei controlli di polizia rimane lo stesso. “La polizia passa mediamente due volte al giorno per registrare i numeri delle targhe delle automobili parcheggiate davanti a casa nostra”, testimonia una persona che condivide la casa con Joël. Gli abitanti della casa denunciano una pressione quotidiana, sufficientemente discreta per non fare scalpore. “Bisogna vederlo per crederlo”. Joël ritiene che le pressioni da parte della polizia siano molto aumentate dopo la dichiarazione dello stato d’urgenza. “Si instaura la paura come principio di vita, per poter fermare chiunque in qualsiasi momento”, commenta prima di ammettere che si è abituato, anche lui, a questo stato eccezionale. Alla vigilia di una mobilitazione, lo sa, il suo telefono emetterà dei “rumori bizzarri”. A ogni nuova visita, l’elicottero della gendarmeria volerà sopra la casa. E ogni mattina saluterà l’uomo in uniforme all’angolo della strada, tenendo due baguettes sotto il braccio. Maggiori informazioni su Joël Domenjoud https://www.amnesty.fr/liberte-d-expression/actualites/joel-la-surveillance-au-quotidien
Read MoreColpevole. La giuria del tribunale di Minneapolis ha emesso un verdetto di colpevolezza per l’ex agente di polizia Derek Chauvin, per tutti e tre i reati di omicidio dei quali era stato accusato nel caso di George Floyd. La giuria del tribunale di Minneapolis ha trovato all’unanimità Chauvin responsabile di aver ucciso il 46enne afroamericano Floyd lo scorso maggio, soffocandolo dopo averlo ammanettato. Una decisione attesa da un Paese in grande ansia, in una vicenda-simbolo delle tensioni razziali e delle polemiche sul comportamento della polizia nei confronti della comunità di colore. Giurati, avvocati e accusato sono rientrati nel pomeriggio in aula in vista della lettura del verdetto. Una decisione rapida, meno di due giorni di deliberazioni, che aveva fatto presagire una decisione di colpevolezza. Subito dopo la rapida lettura del verdetto, reato per reato, il giudice ha ringraziato i giurati e li ha congedati. Harris e le riforme della polizia Il vicepresidente Kamala Harris ha a sua volta affermato che “il problema dell’ingiustizia sociale non è un problema solo degli americani neri e di colore. E’ un problema di ogni americano. Ci impedisce di rispettare la promessa di libertà e giustizia per tutti e di realizzare il nostro potenziale”. E con Biden ha chiesto un cammino di riforme. La riforma citata della polizia, approvata dalla Camera, vieta tecniche di strangolamenti, crea standard nazionali per le pratiche di ordine pubblico, una banca dati sugli agenti accusati di abusi, revisioni nell’ampia dottrina della “immunità qualificata” che mette i poliziotti automaticamente al riparo da accuse se le loro azioni sono dichiarate in buona e non violano chiaramente diritti costituzionali o stabiliti da statuti. Si chiama George Floyd Justice in Policing Act. Ma è passata senza alcun voto repubblicano e due defezioni democratiche e rimane ferma al Senato. Polizia nella bufera La polizia americana è finita particolarmente sotto i riflettori. Per carenze di addestramento, che spesso varia nelle realtà locali e non oltre sei mesi (a Minneapolis dura 16 settimane), periodi molto più ridotti rispetto agli standard europei. Come per una storica cultura di abusi e discriminazione contro le minoranze. I critici sottolineano poi la perdurante tendenza alla militarizzazione delle forze dell’ordine, nelle tattiche e negli arsenali. E una lunga tradizione di impunità per gli agenti accusati di violenza a volte letale. La cronaca ha continuato a riportare episodi di controverso uso di forza letale da parte di agenti, anche nell’area metropolitana di Minneapolis: nei giorni scorsi il 20enne afroamericano Daunte Wright è stato ucciso da un agente per una infrazione al codice stradale nel sobborgo di Brooklyn Central. L’agente ha sostenuto di aver usato per errore la pistola invece del taser. Fonte: https://www.ilsole24ore.com/art/caso-floyd-conto-rovescia-il-verdetto-paese-allarme-AEUZiTC?refresh_ce=1 Fonte immagine: https://www.einsteinvimercate.edu.it/blog/click/judge-jury-and-executioner-george-floyd-e-la-questione-americana/
Read MoreL’economia circolare si contraddistingue per il fatto che le materie prime vengono utilizzate in modo efficiente e il più a lungo possibile. Se si riesce a chiudere il ciclo dei materiali e dei prodotti, le materie prime possono continuare a essere riutilizzate – a beneficio non solo dell’ambiente, ma anche dell’economia svizzera. Definizione di economia circolare L’economia circolare, chiamata anche «circular economy», si differenza dai processi produttivi lineari tuttora diffusi. In un sistema economico di tipo lineare, si lavorano le materie prime e si fabbricano, vendono, consumano e gettano prodotti (cfr. grafico seguente). È un modus operandi che comporta scarsità di materie prime, emissioni, ingenti quantità di rifiuti e il conseguente inquinamento ambientale. Figura 1: Rappresentazione schematica del sistema economico lineare© UFAM Nell’economia circolare, invece, i prodotti e i materiali vengono mantenuti all’interno del ciclo (frecce verdi nel grafico sottostante), per cui si consumano meno materie prime primarie rispetto a un sistema economico lineare. Al contempo, il valore dei prodotti si conserva più a lungo nel tempo e si generano meno rifiuti. L’economia circolare rappresenta un approccio integrato che tiene conto dell’intero ciclo: dall’estrazione delle materie prime alla progettazione, fabbricazione e distribuzione di un prodotto, fino alla sua fase di utilizzo – che dev’essere quanto più lunga possibile – e al riciclaggio. Per far sì che prodotti e materiali rimangano all’interno di questo circuito, occorre un cambiamento di mentalità da parte di tutti i soggetti coinvolti. Figura 2: Rappresentazione schematica dell’economia circolare© UFAM L’economia circolare in Svizzera Sin dalla metà degli anni Ottanta la Svizzera, nazione povera di materie prime, persegue una politica volta alla realizzazione di un’economia circolare – e da allora è riuscita a chiudere, almeno in parte, alcuni cicli. Nel 2018, ad esempio, dei 17,5 milioni di tonnellate di materiali di risulta quali calcestruzzo, ghiaia, sabbia, asfalto e laterizio, circa 12 milioni sono stati riciclati. Oltre 5 milioni di tonnellate, soprattutto di materiale di demolizione misto, non rientravano ancora in un ciclo di recupero. Sul fronte dei rifiuti urbani, poco più della metà viene raccolto separatamente e riciclato. L’elevata percentuale di riciclaggio della Svizzera, tuttavia, va letta alla luce dell’imponente quantità di rifiuti generata entro i confini nazionali. Non esiste praticamente nazione in cui si registri un simile volume di rifiuti urbani rapportato al numero di abitanti. C’è ancora parecchio da fare se si vuole rafforzare il principio dell’economia circolare. Fibre tessili, materiali edili, materie plastiche e rifiuti biogeni, ad esempio, in futuro potrebbero essere recuperati in una percentuale maggiore. Da alcuni anni ormai le aziende prendono sempre più in considerazione il principio dell’economia circolare nella loro attività. Per il buon funzionamento dell’economia circolare, è fondamentale anche il ruolo svolto dai consumatori, che possono contribuire al cambiamento adottando uno stile di consumo sostenibile e utilizzando i prodotti il più a lungo possibile. È altresì compito loro adoperarsi affinché i prodotti vengano maggiormente condivisi, riutilizzati, riparati e ripristinati – e infine anche far sì che quelli non più utilizzabili vengano raccolti e smaltiti in modo differenziato. Un ruolo parimenti centrale nell’evoluzione verso una maggiore economia circolare spetta ai servizi d’acquisto degli enti pubblici federali, cantonali o comunali e ai servizi corrispondenti dell’economia privata. Fonte: https://www.bafu.admin.ch/bafu/it/home/temi/economia-consumo/info-specialisti/economia-circolare.html
Read MoreGreenpeace Giappone condanna con forza la decisione del governo guidato dal Primo ministro Suga di disporre lo scarico nell’Oceano Pacifico di oltre 1,23 milioni di tonnellate di acqua reflua radioattiva stoccata in cisterne della centrale nucleare di Fukushima Daiichi. Questa decisione ignora completamente i diritti umani e gli interessi della gente di Fukushima e in generale del Giappone e della parte di Asia che si affaccia sul Pacifico. La Tokyo Electric Power Company (TEPCO) può dunque avviare lo scarico di rifiuti radioattivi dalla sua centrale nucleare in mare. Secondo quanto è stato anticipato, ci vorranno due anni per preparare lo scarico. «Il governo giapponese ha ancora una volta deluso i cittadini di Fukushima», dichiara Kazue Suzuki della campagna clima ed energia di Greenpeace Giappone. «Il governo ha preso la decisione del tutto ingiustificata di contaminare deliberatamente l’Oceano Pacifico con acqua radioattiva. Ha ignorato sia i rischi legati all’esposizione alle radiazioni che l’evidenza della sufficiente disponibilità di stoccaggio dell’acqua contaminata nel sito nucleare e nei distretti circostanti. Invece di usare la migliore tecnologia esistente per minimizzare i rischi di esposizione a radiazioni immagazzinando l’acqua a lungo termine e trattandola adeguatamente per ridurre la contaminazione, si è deciso di optare per l’opzione più economica, scaricando l’acqua nell’Oceano Pacifico Quanto deciso dal governo non proteggerà di certo l’ambiente e trascura l’opposizione su larga scala e le preoccupazioni di cittadini e cittadine di Fukushima, al pari di chi abita in tutto il Giappone. I relatori speciali delle Nazioni Unite per i diritti umani – sia nel giugno 2020 che a marzo 2021 – hanno avvertito il governo giapponese che lo scarico dell’acqua nell’ambiente viola i diritti dei cittadini giapponesi e dei suoi vicini, compresa la Corea. Hanno chiesto al governo giapponese di ritardare qualsiasi decisione sullo scarico in mare dell’acqua contaminata fino a quando non sarà finita la crisi del COVID-19 e non si terranno opportune consultazioni internazionali. Fonte: https://www.greenpeace.org/italy/comunicato-stampa/13459/fukushima-greenpeace-la-decisione-del-governo-giapponese-di-scaricare-in-mare-lacqua-contaminata-ignora-i-diritti-umani-e-le-leggi-marittime-internazionali/ Fonte immagine: https://www.repubblica.it/esteri/2021/04/13/news/giappone_rilascera_acqua_contaminata_fukushima_in_mare-296221153/
Read MoreIl miliardario Félicien Kabuga era latitante da 23 anni: fornì alle milizie hutu i soldi per comprare le armi necessarie a massacrare i tutsi. Un milione le vittime nel 1994 Sette volte responsabile del genocidio in Ruanda: più di 800 mila morti in 100 giorni. Tanti sono i capi d’accusa sulla testa di Félicien Kabuga. A 85 anni l’ex miliardario ruandese, condannato nel 1997 per crimini contro l’umanità, è finito in manette dopo 23 anni dalla sentenza. “L’arresto di Kabuga ricorda che i responsabili del genocidio possono essere ritenuti responsabili anche 26 anni dopo i loro crimini”, ha detto Serge Brammertz, a capo del Meccanismo residuale per i Tribunali penali internazionali (Unirmct) dell’Onu. L’ex uomo d’affari ruandese, tra i latitanti più ricercati del mondo, si nascondeva sotto falsa identità, con la complicità dei suoi figli, nella periferia di Parigi, ad Asnières-sur-Seine. La sua cattura è riuscita grazie a “un’operazione sofisticata e coordinata con ricerche simultanee in diversi luoghi”. Covid 19 permettendo, Kabuga sarà portato e giudicato all’Aia, nei Paesi Bassi, presso la Corte penale internazionale (le operazioni del tribunale internazionale per giudicare i crimini in Ruanda sono state sospese nel 2015). Su lui pendono sette capi di imputazione, tutti per genocidio: complicità nel genocidio, istigazione diretta e pubblica a commettere genocidio, tentativo di commettere genocidio, cospirazione per commettere genocidio, persecuzione e sterminio. E tutti in relazione ai crimini commessi durante il genocidio del 1994 contro i tutsi. Il Tribunale penale internazionale per il Ruanda delle Nazioni Unite, nel 1997 lo dichiarò colpevole di crimini contro l’umanità Nel 2015 i compiti di questo Tribunale sono stati presi in carico dal Meccanismo residuale per i Tribunali penali internazionali, creato appositamente per succedere al Tribunale per il Ruanda e al Tribunale penale internazionale per l’ex-Jugoslavia. Dopo aver contribuito a massacrare migliaia di tutsi a colpi dei machete che lui aveva finanziato (ne vennero acquistati 500 mila in pochi mesi) per armare le milizie paramilitari hutu Interahamwe, Kabuga a giugno 1994 fugge dal Ruanda e tenta di entrare in Svizzera. Non ci riesce, e ripiega sulla Repubblica Democratica del Congo. Da qui continuerà a scappare passando per il Kenya e la Norvegia. In un discorso del 2006, durante la sua visita in Kenya, l’allora senatore Barack Obama accusò il Paese africano di “dare un rifugio sicuro a Kabuga”. Nairobi negò le accuse dell’ex presidente. Diventato ricco grazie alle piantagioni di té nel Nord, Kabuga negli anni ’90 era uno degli uomini più ricchi del Paese africano, amico e consuocero dell’allora presidente Juvénal Habyarimana, la cui morte scatenò il massacro. Armò le milizie hutu con le sue risorse, e li scatenò a caccia di tutsi e di chiunque li proteggesse, attraverso Radio-Television Libre des Mille Collines, l’emittente di cui era fondatore. Fonte: https://www.repubblica.it/esteri/2020/05/16/news/catturato_a_parigi_uno_dei_responsabili_del_genocidio_in_ruanda-256827016/
Read MoreLe mine antiuomo sono proibite da vent’anni da un trattato internazionale. Anche se Stati importanti come gli USA e la Russia non vi aderiscono, l’accordo ha portato molti progressi, dice Stefano Toscano, direttore del Centro internazionale per lo sminamento umanitario di Ginevra (GICHD) Cosa hanno portato concretamente il divieto delle mine antipersona e il GICHD? L’organizzazione di esperti, che ha sede in un edificio di vetro rotondo nel quartiere internazionale di Ginevra, sostiene gli Stati colpiti e l’ONU nelle operazioni di sminamento. Il Centro deve la sua nascita ad un’iniziativa della Svizzera e al contesto propizio alla lotta contro le mine che regnava vent’anni fa. Il 18 settembre 1997, molti Stati hanno deciso di proibire l’uso e la produzione di mine antipersone. La relativa Convenzione è poi stata firmata a Ottawa nel dicembre 1997. Stefano Toscano è ancora molto preoccupato da gravi conflitti, come in Siria. Lì scoppiano soprattutto cariche esplosive artigianali, costruite dai gruppi ribelli. Inoltre, i conflitti attuali si svolgono essenzialmente nelle città. Ciò comporta nuove sfide. Ad esempio, è possibile che negli edifici vi siano frigoriferi contenenti esplosivi, che scoppiano quando si apre la porta. Gli sminatori, ovviamente, devono procedere in modo completamente diverso rispetto a quello che fanno con gli esplosivi sepolti nel terreno. Ma, grazie alla Convenzione di Ottawa, la produzione industriale di massa delle mine è praticamente scomparsa. Il trattato sul divieto delle mine antipersone è stato negoziato al di fuori delle Nazioni Unite. Finora, lo hanno ratificato 162 paesi, tra cui la Svizzera, che è stata tra i primi. Tuttavia, potenze influenti quali Stati Uniti, Russia, Cina, India e Pakistan ne sono rimaste fuori. Nonostante tutti i successi, non esiste il pericolo che Stati che hanno firmato la Convenzione – come l’Ucraina – utilizzino comunque le mine in caso di guerra? Il diplomatico non lo può escludere completamente, anche se sottolinea che l’Ucraina nega di aver fatto uso di mine. Il direttore del GICHD conclude che si potrebbe forse dire: “in passato, l’uso delle mine era normale, oggi è l’eccezione”. Fonte: https://www.swissinfo.ch/ita/trattato-di-ottawa_la-svizzera-e-il-divieto-delle-mine-antiuomo-storia-di-successo/43477988
Read MoreLa pratica carceraria svizzera viola le Nelson Mandela Rules (Norme di Nelson Mandela) nei settori della detenzione preventiva, dell’isolamento, dell’assistenza sanitaria e del trattamento delle persone con problemi di salute mentale. Questa è la conclusione raggiunta dal Centro svizzero di competenza per i diritti umani (CSDH) in uno studio pubblicato nel settembre 2020 Anche se le Norme Nelson Mandela (RMN) non sono giuridicamente vincolanti come soft law, il che significa che la loro mancata applicazione non è soggetta a sanzioni, esse costituiscono una linea guida politicamente significativa per le autorità, la magistratura e il legislatore. Il fatto che, secondo un’inchiesta della CSDH, le condizioni di detenzione violino le RNM in punti essenziali, rappresenta una grave lacuna nella protezione dei diritti umani in Svizzera. Nel campo della sanità, la CSDH critica la mancanza di indipendenza del personale sanitario. Contrariamente a quanto raccomandato nella linea guida medico-etica dell’ASSM (paragrafo 12), i servizi sanitari sono regolarmente integrati nell’organizzazione e nella gerarchia delle carceri piuttosto che nel sistema sanitario pubblico. Inoltre, il principio della gratuità dell’assistenza sanitaria previsto dalle RNM (regola 24) non viene applicato. La CSDH chiede quindi l’introduzione di un’assicurazione sanitaria obbligatoria per tutti i detenuti in Svizzera. La Commissione nazionale per la prevenzione della tortura menziona anche questa richiesta nel suo rapporto sulle cure mediche negli istituti per la privazione della libertà (paragrafo 122). Il CSDH critica anche l’uso della segregazione cellulare. Mentre la professione medica concorda sul fatto che l’isolamento ha effetti negativi sulla salute e sul benessere dei detenuti, l’isolamento è spesso usato in Svizzera, sia durante la detenzione preventiva che come misura disciplinare nel regime di esecuzione delle pene e delle misure. Inoltre, i detenuti considerati pericolosi sono isolati per un periodo indefinito in unità speciali di alta sicurezza. L’isolamento per un periodo di tempo indefinito costituisce sempre una violazione della proibizione della tortura e di altri trattamenti o punizioni crudeli, inumani e degradanti (regola 43 (1) (a) NMR), ricorda la CSDH. Il diritto al contatto con il mondo esterno comprende vari aspetti regolati in diverse disposizioni del CGO. Queste includono regole sull’accesso (articolo 58 e seguenti), la notifica (articolo 68 e seguenti), l’assistenza legale (articoli 61 e 119 (2)) e le possibili restrizioni (articoli 36 e 43 (3)). Secondo il CSDU, le esigenze delle RNM non sono sufficientemente prese in considerazione, soprattutto per quanto riguarda le telecomunicazioni. La regolamentazione dei contatti con il mondo esterno nel diritto svizzero “non sembra essere basata principalmente sui diritti umani o sui diritti fondamentali. Questo vale non solo per l’esecuzione delle sentenze e delle misure, ma anche per la detenzione preventiva. Piuttosto, le telefonate sembrano essere concepite come privilegi che possono essere concessi ai detenuti a discrezione della direzione della prigione”, deplora la CSDH. L’isolamento di prigionieri mentalmente o fisicamente disabili dovrebbe essere proibito se aggrava la loro condizione (articolo 45(2)). Secondo l’articolo 109, “le persone che non sono penalmente responsabili o in cui una disabilità mentale o un’altra condizione grave è successivamente rilevata, e la loro condizione sarebbe aggravata dalla permanenza in carcere, non possono essere detenute in prigione”. Infine, il CSDH esorta le autorità a intensificare i loro sforzi per garantire un trattamento adeguato dei disturbi mentali in detenzione. Le misure terapeutiche negli ospedali previste dall’articolo 59 del Codice penale svizzero (CPS) sono al centro della questione. Oggi, quasi un condannato e imprigionato su cinque si trova in questa situazione. Solo le persone con un grave disturbo mentale, cioè i malati gravi, sono interessati da questo regime. Secondo la CSDH, anche con una definizione generosa, gli istituti di correzione e i reparti di psichiatria forense nelle prigioni svizzere non possono essere chiamati “istituzioni psichiatriche”, scrive la CSDH. Il trattamento inadeguato derivante da una sistemazione inadeguata è stato anche recentemente criticato dal Comitato per i diritti umani (paragrafo 38). Secondo David Mühlemann, capo dell’unità di detenzione di humanrights.ch, è imperativo che tutti i detenuti abbiano in futuro un’assicurazione sanitaria per garantire un’adeguata assistenza sanitaria senza discriminazioni, come ha già chiesto la Commissione nazionale per la prevenzione della tortura. Le varie forme di isolamento nel contesto della privazione della libertà, sia nella detenzione preventiva, come misura disciplinare nel sistema penale o in un particolare ambiente di detenzione, devono essere studiate a fondo. I politici e le autorità devono garantire che questa pratica dannosa per la salute sia usata solo come ultima risorsa e per il minor tempo possibile. È necessario un ripensamento radicale della situazione delle persone detenute che soffrono di disturbi mentali, in particolare per quanto riguarda le misure terapeutiche previste dall’articolo 59 del codice penale. La soluzione non sta nella creazione di sempre più posti nelle istituzioni, come scelto dalla Confederazione. Prima di tutto, il numero di misure terapeutiche deve essere ridotto. Inoltre, sono necessarie alternative ambulatoriali, come più alloggi protetti. L’alto numero di misure terapeutiche – anche nel campo della microcriminalità – è dovuto alla mancanza di alternative. Fonte: https://www.humanrights.ch/fr/antennes/detention/pratique-penitentiaire-suisse-viole-droits-humains Puoi trovare le regole di Nelson Mandela in italiano al seguente link:https://www.antigone.it/upload2/uploads/docs/MandelaRulesITA.pdf
Read MoreIl 31 marzo, alle 18.30, si alza il sipario sulla sesta edizione del Festival dei Diritti Umani grazie a un’anteprima in live streaming. Dal talk con David Bidussa e Sabina Guzzanti alla proiezione del documentario “1984” di Orwell vs “Un Mondo Nuovo” di Huxley: un’occasione per confrontarsi sull’impatto che le nuove tecnologie – dai software per il riconoscimento facciale alle app usate quotidianamente – hanno sulle nostre vite e sui diritti umani. La tecnologia ha sempre condizionato il nostro modo di vivere, ma mai con la travolgente velocità degli ultimi anni, proponendo scenari inediti sul controllo sociale, sulla libertà di scelta, sulla sicurezza. Ovvero sui nostri diritti. A questo macro tema e alle tante riflessioni a esso legate è dedicato il prossimo Festival dei Diritti Umani – in programma dal 21 al 23 aprile 2021 – di cui sarà svelata qualche anticipazione il 31 marzo, dalle 18.30 alle 19.30, con un’anteprima in diretta streaming. «Perché fantasticare su un futuro distopico quando lo stiamo vivendo? Gli algoritmi che regolano i social sanno tutto di noi. L’Intelligenza Artificiale raggiunge frontiere inesplorate nella medicina, ma “big data” non sta fermando la pandemia», sottolinea il direttore del Festival dei Diritti Umani Danilo De Biasio. «Il prossimo Festival dei Diritti Umani si intitolerà Algoritmocrazia e si domanderà se l’intelligenza artificiale stia riducendo o ampliando i nostri diritti. Il futuro da sempre affascina gli scrittori e i migliori lo usano come schermo per parlare del presente: nell’anteprima del 31 marzo partiremo da due di loro, George Orwell e Aldous Huxley che, nel periodo dei totalitarismi, hanno descritto un’umanità sotto rigido controllo. Un controllo così simile a quello che, ieri come oggi, molti accettano come inevitabile». Un tema che nell’anteprima di FDU del 31 marzo affronteremo insieme allo storico delle idee David Bidussa e all’attrice e scrittrice Sabina Guzzanti. In occasione di questa preview, inoltre, per tutta la giornata – dalle h. 8 del mattino fino alle h. 24 – sarà trasmesso, in collaborazione conARTE.tv, il film francese “1984” di Orwell vs “Un Mondo Nuovo” di Huxley – Distopie e deriva totalitaria della società dei registi Caroline Benarrosh e Philippe Calderon. Sono stati scritti oltre 70 anni fa, eppure 1984 di George Orwell e Il Mondo Nuovo di Aldous Huxley sono terribilmente attuali: sorveglianza digitale, manipolazione delle notizie, schedatura di massa, dipendenza da antidepressivi. Questo documentario ripercorre le vicende dei due autori, con le loro personalità conflittuali e al tempo stesso accomunate dalla letteratura e dalla sete di libertà. Film e foto sono sempre stati al centro del Festival dei Diritti Umani: nell’anteprima Antonio Prata svelerà i titoli scelti e Leonardo Brogioni fornirà un assaggio degli autori individuati, a partire da Studio Azzurro. Sarà una cronistoria del percorso artistico di una delle realtà più importanti e longeve nel panorama delle arti visive italiano e internazionale. Un’occasione per parlare dell’avvento delle tecnologie digitali alla fine degli Anni 80 con le sue nuove potenzialità espressive, il confronto con dati e metadati, le caratteristiche della narrazione contemporanea, il ruolo dell’artista in un’epoca invasa dalle immagini e le nuove tendenze di una ricerca artistica basata sull’interattività con il fruitore. L’intervista completa sarà disponibile nei giorni del Festival dei Diritti Umani. Il Festival dei Diritti Umani si terrà dal 21 al 23 aprile. Ruoterà come sempre intorno a dibattiti, collegamenti con studenti e insegnanti che hanno risposto da tutt’Italia alla chiamata del Festival, interviste in esclusiva, film e fotografia. E ci sono anche corpose novità. Il Festival sarà online anche per il 2021 – con base operativa all’Arci Bellezza di Milano per sostenere i luoghi di aggregazione, cultura e spettacolo fortemente provati dalla pandemia – ma questa volta, prima novità, userà una propria piattaforma di streaming, sviluppata con il supporto di OpenDDB – Distribuzioni dal Basso, per una più efficace fruizione. Talk, documentari, interviste, mostre fotografiche transiteranno, infatti, da festivaldirittiumani.stream. Con FDU2021 saranno esplorati – altra novità – nuovi linguaggi attraverso videogame e fumetti, due ambiti fortemente intrecciati con l’intelligenza artificiale. E, nell’anno del loro boom, non potevano mancare i podcast: il Festival ha prodotto 10 podcast su altrettante importanti figure di difensori dei diritti umani, e gli studenti hanno risposto realizzandone altri, individuando i loro eroi per i diritti umani. Fonte: https://festivaldirittiumani.it/31-marzo-anteprima-di-algoritmocrazia-con-sabina-guzzanti-e-david-bidussa/
Read MoreIl potere delle parole: commuovono, uniscono, scaldano il cuore. Oppure feriscono, offendono, allontanano.In Rete, spesso l’aggressività domina tra tweet, post, status e stories.È vero che i social media sono luoghi virtuali, ma è vero che le persone che vi si incontrano sono reali, e che le conseguenze sono reali.Per questo oggi, specie in Rete, dobbiamo stare attenti a come usiamo le parole. Parole O_Stili nasce dall’entusiasmo di circa 300 professionisti, della comunicazione d’impresa e della comunicazione politica, influencer, blogger, a cui in seguito si sono aggiunti molti insegnanti, studenti, imprenditori, professionisti…Sono persone diverse, accomunate dalla volontà di rendere la Rete un luogo meno violento, più rispettoso e civile.Ognuno si impegna a contrastare i linguaggi d’odio in Rete e lo fa aderendo al Manifesto della comunicazione non ostile. I punti principali del Manifesto sono: Virtuale è reale: Dico o scrivo solo cose che ho il coraggio di dire di persona Si è ciò che si comunica: le parole che scelgo raccontano la personal che sono: mi rappresentano Le parole danno forma al pensiero: mi prendo tutto il tempo necessario a esprimere al meglio quel che penso Prima di parlare bisogna ascoltare: nessuno ha sempre ragione, neanche io. Ascolto con onestà e apertura. Le parole sono un ponte: scelgo le parole per comprendere, farmi capire, avvicinarmi agli altri. Le parole hanno conseguenze: So che ogni mia parola può avere conseguenze, piccole o grandi. Condividere è una responsabilità: condivido testi e immagini solo dopo averli letti, valutati, compresi. Le idee si possono discutere. Le persone si devono rispettare: non trasformo chi sostiene opinioni che non condivido in un nemico da annientare Gli insulti non sono argomenti: non accetto insulti e aggressività, nemmeno a favore della mia tesi. Anche il silenzio comunica: quando la scelta migliore è tacere, taccio. Fonte:https://paroleostili.it
Read MoreRAPPORTO DEL SERVIZIO PER LA LOTTA AL RAZZISMO 2018 La discriminazione razziale può manifestarsi nelle forme più svariate ed è quindi molto difficile da rilevare. Soltanto incrociando i dati di più fonti è possibile averne un quadro. Il quarto rapporto «Discriminazione razziale in Svizzera» del Servizio per la lotta al razzismo, riferito al periodo 2017-2018, analizza i dati attualmente disponibili e presenta le misure di lotta al razzismo adottate dagli organi statali e da attori della società civile. Opera di riferimento per specialisti e persone altrimenti interessate, il rapporto è uno strumento per il monitoraggio a lungo termine della discriminazione razziale in Svizzera. Per l’analisi sono stati presi in considerazione i risultati dell’ultima indagine sulla Convivenza in Svizzera (CiS) dell’Ufficio federale di statistica (UST), i dati statistici rilevati per determinati gruppi della popolazione in riferimento ai più importanti ambiti della vita (indicatori dell’integrazione ecc.), i dati registrati nell’attività di consulenza e i dati raccolti sulle sentenze dei tribunali. L’analisi mostra tendenze e documenta la sistematicità della discriminazione. – I valori della CiS sono stabili, ma a un livello elevato: un terzo degli interpellati si sente infastidito dalla presenza di persone che percepisce come «diverse». Gli atteggiamenti negativi più diffusi sono quelli contro i musulmani. D’altra parte, però, il razzismo è percepito come problema sociale serio e un terzo degli interpellati ritiene che sia necessario fare di più per combatterlo. – I giovani si sentono discriminati particolarmente spesso – nel quadro dell’indagine CiS, la quota dei 15- 24enni che dichiarano di aver subito discriminazioni negli ultimi cinque anni è nettamente cresciuta rispetto al 2016, passando dal 28 all’attuale 38 per cento. Se i giovani siano effettivamente discriminati più spesso, andrebbe verificato; è però certo che hanno una percezione più acuta della discriminazione razziale. La discriminazione razziale è presente in tutti gli ambiti della vita. Il presente rapporto descrive dettagliatamente la situazione ambito per ambito. – Casi di discriminazione sono segnalati con particolare frequenza nella ricerca di un posto di lavoro e nella quotidianità lavorativa. Da anni è questo l’ambito in cui si registra il maggior numero di casi di consulenza. Poiché il mondo del lavoro è considerato il più importante motore dell’integrazione, le discriminazioni subite nel contesto professionale feriscono profondamente e inducono spesso a cercare consiglio. Alla discriminazione razziale nei media e in Internet è dedicato per la prima volta un capitolo a parte. In Internet i discorsi d’odio razziale hanno raggiunto dimensioni qualitative e degli interpellati hanno dichiarato di essere stati personalmente vittima di discriminazione. I risultati dell’indagine danno un quadro delle tendenze degli atteggiamenti e della discriminazione vissuta in prima persona, ma sulla discriminazione strutturale permettono solo conclusioni limitate. È quindi a maggior ragione importante confrontare i dati dell’indagine CiS con dati che diano indicazioni su disparità sistematiche tra i diversi gruppi della popolazione. Soltanto combinando i risultati dell’indagine CiS con i dati registrati dai consultori e i dati statistici rilevati in diversi ambiti della vita (indicatori dell’integrazione dell’UST, risultati di ricerche specifiche) si possono definire tendenze e provare fenomeni di discriminazione sistematica. Leggi il Rapporto completo: Rapporto «Discriminazione razziale in Svizzera 2018»( 02.09.2019)
Read MoreSei uccise ad Atlanta. 3.800 attacchi nel 2020: cause, Covid e razzismo – L’uccisione di almeno sei donne asiatiche – tra le otto vittime complessive – nelle sparatorie avvenute in diverse sale per massaggi alla periferia di Atlanta, nello stato americano della Georgia, è soltanto l’ultima manifestazione di odio nei confronti della popolazione di origine asiatica negli Stati Uniti. Violenti attacchi, abusi, molestie e insulti contro asiatici-americani, infatti, si sono moltiplicati a dismisura dall’inizio della pandemia di Covid-19, e secondo attivisti ed esperti di sicurezza si tratterebbe per la maggior parte di crimini d’odio legati alla retorica che vede i cittadini asiatici all’origine della diffusione del coronavirus. Alcuni hanno direttamente incolpato la retorica anti-cinese dell’ex presidente Donald Trump, che ha spesso menzionato la pandemia come “virus cinese” o “influenza kung”. Alla fine dell’anno scorso, le Nazioni Unite hanno pubblicato un rapporto che descriveva “un livello allarmante” di violenza di matrice razzista e altri episodi di odio contro gli asiatici americani, anche se è difficile determinare i numeri esatti di tali crimini e casi di discriminazione, poiché nessuna organizzazione o agenzia governativa ha monitorato il problema a lungo termine e gli standard di segnalazione possono variare da regione a regione. Secondo una ricerca pubblicata ieri dal forum “Stop AAPI Hate”, sono stati segnalati quasi 3.800 incidenti in circa un anno, dall’inizio della pandemia. E’ un bilancio significativamente più alto rispetto a quello dell’anno scorso, pari a circa 2.800 episodi di odio a livello nazionale. Le donne rimaste vittime di crimini d’odio rappresentano una quota molto più alta, il 68%, rispetto agli uomini, che sono il 29% del totale. Russell Jeung, professore di studi asiatici americani presso la San Francisco State University e fondatore del forum, ha dichiarato a NBC Asian America che la fusione di razzismo e sessismo, incluso lo stereotipo secondo cui le donne asiatiche sono mansuete e sottomesse, potrebbe essere un altro fattore determinante per questa disparità. Fonte: https://www.askanews.it/esteri/2021/03/17/crescono-negli-usa-i-crimini-dodio-contro-gli-asiatici-donne-nel-mirino-top10_20210317_105809/
Read MoreNonostante gli sforzi delle istituzioni e l’evoluzione della società, la parità nella vita professionale ed accademica è ancora lontana. Ci sono tuttavia enti e progetti volti a promuovere le pari opportunità e ad aiutare in caso di problemi. Situazione in Svizzera Art. 3 della Legge federale sulla parità dei sessi LPar «Nei rapporti di lavoro, uomini e donne non devono essere pregiudicati né direttamente né indirettamente a causa del loro sesso, segnatamente con riferimento allo stato civile, alla situazione familiare o a una gravidanza.» Nonostante la LPar sia entrata in vigore nel 1996, la strada verso la parità nel mondo del lavoro è ancora lunga. Ecco le cifre più recenti secondo l’UFU e l’USTAT (dati del 2016): Sei donne su dieci attive professionalmente lavorano a tempo parziale, mentre lo stesso vale solo per due uomini su dieci. Lo scarto salariale è ancora abbastanza importante: nel settore privato una donna guadagna in media il 19,6% in meno rispetto ad un collega uomo, mentre nel settore pubblico lo scarto è del 16,7%. C’è una forte sottorappresentazione delle donne tra i quadri: solo il 3% della direzione e il 4% del consiglio di amministrazione delle imprese svizzere quotate in borsa è composto da donne. La divisione per settore al momento della scelta degli studi universitari è ancora abbastanza marcata (ad es. il 69,4% delle persone che studiano scienze tecniche sono di sesso maschile, mentre nelle scienze sociali e umane sono solo il 29,4%). Pari opportunità nella vita accademica La maggior parte delle scuole universitarie svizzere offre servizi di consulenza specializzati in questioni legate alla parità. Mediante misure quali la «politica di genere», le scuole universitarie auspicano di attuare un sistema organizzativo equo e garantire le pari opportunità tra donne e uomini, sia tra studenti sia tra insegnanti.I dati di contatto delle persone responsabili delle pari opportunità nelle scuole universitarie sono disponibili su gendercampus.ch. Gran parte delle scuole universitarie pubblica sul proprio sito informazioni inerenti alle pari opportunità: ad esempio, i siti dell’USI (usi.ch) e della SUPSI (supsi.ch) contengono indirizzi, spiegazioni sulle misure adottate e altre informazioni utili. Discriminazione e molestie sessuali Discriminazioni Se ci si rende conto di stare subendo una discriminazione salariale o a livello professionale a causa del proprio genere, è possibile seguire questi passi: informarsi: www.ebg.admin.ch offre informazioni sulla parità salariale; cercare una soluzione parlandone con il proprio o la propria superiore oppure, se possibile, con la persona responsabile delle pari opportunità all’interno dell’azienda; qualora non si dovesse trovare una soluzione, è possibile rivolgersi a specialisti: consultori, associazioni del personale, sindacati, uffici di conciliazione; in casi gravi è anche possibile avviare una procedura giudiziaria: la procedura davanti a un tribunale cantonale è gratuita, ma non le prestazioni dello studio legale. Durante la procedura e nei sei mesi successivi è garantita la protezione contro il licenziamento pronunciato per ritorsione. Molestie sessuali Le molestie sessuali sono comportamenti indesiderati di carattere sessuale che ledono la dignità della persona. Possono provenire da singoli individui o da gruppi (mobbing). A compiere le molestie sessuali possono essere collaboratori e collaboratrici, datori e datrici, partner o clientela. Esistono diversi tipi di molestia sessuale: commenti sessisti e osservazioni allusive; contatti fisici indesiderati, coazione sessuale o violenza carnale; materiale pornografico nei luoghi di lavoro; abuso di una posizione di potere (ad es. nei confronti di subordinati) per ottenere prestazioni sessuali in cambio di favori o con minacce; persecuzione. In caso di molestie sessuali, le procedure da seguire sono le stesse che in caso di discriminazioni. Per ulteriori informazioni sull’argomento e sui passi da prendere, si vedano i seguenti siti: molestie-sessuali.ch: Informazioni dell’Ufficio federale per l’uguaglianza fra donna e uomo molestie-sessuali-nell-apprendistato.ch: Informazioni e sostegno del sindacato Unia www.ti.ch/molestie: Gruppo stop molestie, consulenza e sostegno del Canton Ticino aiuto-alle-vittime.ch: Aiuto alle vittime Svizzera sostiene ed offre consulenza alle vittime di violenza sessuale Link utili In Svizzera ci sono diversi enti o progetti che promuovono la parità nel mondo del lavoro o che sono a disposizione per consulenze o in caso di problemi che possono verificarsi durante la scelta professionale o una volta entrati nel mondo del lavoro (discriminazioni, molestie, ecc.): Ufficio federale per l’uguaglianza fra donna e uomo UFU: www.ebg.admin.ch; informazioni dell’UFU sulle molestie sessuali: www.ebg.admin.ch > Molestie sessuali sul posto di lavoro; Ufficio federale del personale UFPER: www.ufper.admin.ch; Commissione federale per le questioni femminili CFQF: www.cfqf.admin.ch; Ufficio della legislazione, delle pari opportunità e della trasparenza del Canton Ticino: www.ti.ch/pariopportunita; Ufficio di conciliazione in materia di parità dei sessi del Canton Ticino: www.ti.ch/ufpar; Ufficio di coordinamento per le pari opportunità del Canton Grigioni (in tedesco): www.stagl.gr.ch; servizio Gender e Diversity della SUPSI: supsi.ch/gender; servizio Pari Opportunità dell’USI: usi.ch; consultorio giuridico donna e lavoro: donnalavoro.ch. Informazioni di UNIA sulla parità tra i sessi: unia.ch Fonte: https://www.orientamento.ch/dyn/show/124596
Read MoreIl 6 marzo si celebra la Giornata dei Giusti, indissolubilmente legata ai temi della democrazia e la prevenzione dei genocidi, voluta con tenacia dall’associazione Gariwo, ispirandosi al Giardino dei Giusti di Gerusalemme. La giornata è stata appoggiata nel 2012 dal voto del Parlamento europeo per ricordare coloro che si sono opposti con responsabilità individuale ai crimini contro l’umanità e ai totalitarismi. Quest’anno sarà ricordato, tra gli altri, il cinese Liu Xiaobo che, insieme alla moglie Liu Xia, fu capace di rilanciare un messaggio, in occasione del suo arresto che, “potrebbe diventare un manifesto per rinnovare il gusto della democrazia e del pluralismo ovunque”. “Non ho nemici, né provo odio” aveva detto ai suoi carcerieri Liu Xiaobo. Quell’odio che, aggiungeva, “corrompe la coscienza e l’intelligenza dell’uomo, insieme con la mentalità da nemico, che avvelena lo spirito di una nazione, istigano alla lotta brutale in cui domina la regola mors tua vita mea, distruggono la tolleranza e l’umanità di una società, ostacolano il progresso di una nazione verso la libertà e la democrazia.” Liu Xiaobo, che era stato attivo per anni nella difesa dei diritti umani nel suo Paese, aveva ricevuto il Premio Nobel per la pace nel 2010 “per il suo impegno non violento a tutela dei diritti umani in Cina”. Primo cinese a ricevere questo importante riconoscimento durante la detenzione, lo scrittore Liu, professore di letteratura, aveva iniziato la sua attività di dissidente nel 1989, quando partecipò alle manifestazioni in piazza Tienanmen. Accusato e condannato nel 1991, successivamente aveva sottoscritto il manifesto Charta 08, nel dicembre del 2008, in occasione del sessantesimo anniversario dell’adozione della Dichiarazione universale dei diritti umani, raccogliendo subito adesioni sia di semplici cittadini che di intellettuali e attivisti. Liu Xiaobo ha conciliato la tenacia della sua denuncia con la manifestazione di un atteggiamento non violento e non ispirato all’odio. La Storia ci ha insegnato che questi atteggiamenti possono alla fine avere la ragione. La difesa dei diritti umani si confronta sempre con le azioni di singoli Stati. Ne sa qualcosa l’Unione europea che in questi giorni è impegnata su diversi fronti, in particolare con la Russia dopo l’arresto di Alexei Navalny, dopo il suo rientro a Mosca dalla Germania e un rapido processo. Il Consiglio dei ministri dell’UE ha infatti deciso, martedì 2 marzo, di imporre misure restrittive per quattro esponenti delle autorità russe, responsabili di serie violazioni dei diritti umani, compreso l’arresto e la detenzione arbitraria, così come la dispersione e la repressione sistematica di pacifiche manifestazioni. Questa decisione fa parte del nuovo regime globale dell’UE per le sanzioni in caso di violazione dei diritti umani, dovunque accadano nel mondo, adottato dall’UE il 7 dicembre dello scorso anno. Si tratta di una sorta di “Magnitsky Act” europeo, simile a quello adottato dagli Stati Uniti nel 2012 per sanzionare i responsabili della morte di Sergey Magnitsky, esperto fiscale in Russia, per aver scoperto una frode che coinvolgeva funzionari corrotti. (vedi articolo … In questo contesto ha fatto irruzione il nuovo Presidente americano Joe Biden. Il suo America is back! è diventato il leit motiv di numerose decisioni che stanno restituendo agli Usa il ruolo (e le responsabilità) che gli spettano sulla scena internazionale (rientro nella Conferenza di Parigi sul cambiamento climatico, rientro nella Commissione diritti umani dell’Onu, la clamorosa denuncia dei responsabili dell’assassinio del giornalista saudita Jamal Khashoggi, ucciso in maniera feroce all’interno dell’Ambasciata del suo Paese in Turchia). Questo quadro potrebbe essere arricchito da un lato dalla denuncia delle tante, troppe, violazioni della libertà e dei diritti che si perpetrano in tutto il mondo, ma anche di quanto si fa per realizzare nuove convergenze tra attori statali e non nell’azione per contrastare quelle violazioni. È un confine mobile, che ripropone continuamente contraddizioni e limiti. Per questo il Ricordo e il riconoscimento dei Giusti è utile a indicare il cammino da compiere ogni giorno. Fonte: https://it.gariwo.net/persecuzioni/diritti-umani-e-crimini-contro-l-umanita/in-ricordo-di-liu-xiaobo-europa-stati-uniti-e-la-difesa-dei-diritti-umani-23181.html
Read MoreIl 2 novembre 2020 la Fondazione ha preso parte alla Conferenza organizzata congiuntamente dalla Piattaforma delle ONG svizzere per i Diritti Umani e dal Centro di Competenza svizzero per i Diritti Umani (CSDH) dal titolo Tutti gli essere umani sono uguali davanti alla legge. E gli altri? Di seguito una sintesi degli argomenti trattati. Il titolo della Conferenza afferma qualcosa che è evidentemente sancito sia in ognuna delle convenzioni internazionali sui diritti umani che nelle Costituzioni federali e cantonali. Tuttavia, questo principio di protezione contro la discriminazione è lontano dal riflettere la realtà in Svizzera. Il titolo si conclude quindi con la domanda “E gli altri?”. Nel nostro paese, la discriminazione è davvero la sorte quotidiana di molte persone. Quali sono le questioni più importanti relative alle strutture federali e all’attuale sistema giuridico? Chi sono le prime vittime della discriminazione, specialmente quella multipla? Come possiamo lavorare insieme per dare nuova vita al nostro impegno per rafforzare la protezione contro la discriminazione in Svizzera? Uno stato di cose deludente: è tempo di adottare una visione intersezionale Come spiega l’avvocato e responsabile del progetto CSDH Reto Locher nel suo rapporto, praticamente nessun progresso legislativo è stato fatto dal 2015. Al massimo, si possono notare alcuni progressi per quanto riguarda i diritti delle persone LGBTI. In alcuni casi è a livello cantonale che si possono osservare dei miglioramenti. Per esempio il cantone di Basilea Città ha esteso l’ambito di competenza della sua Divisione per l’uguaglianza alle questioni LGBTI. Un incoraggiamento viene dal fatto che la pressione degli attori della società civile sui responsabili politici sta aumentando. Tuttavia, la mancanza di dati sulla discriminazione in Svizzera è un grosso ostacolo. Nella sua presentazione Serena O. Dankwa, antropologa sociale, ricercatrice di genere e co-direttrice in carica dell’Organizzazione Lesbica Svizzera (LOS), evidenzia i punti di convergenza tra intersezionalità e discriminazione multipla. Definisce l’intersezionalità come uno strumento per analizzare la complessità del mondo, degli esseri umani e delle loro esperienze. In effetti, la disuguaglianza sociale, la condizione umana e l’organizzazione del potere all’interno di una società sono più facili da cogliere quando l’analisi non si limita a un singolo asse di differenza, come la razza (razzismo), il genere, la classe sociale, l’orientamento sessuale, lo status di residenza, l’età o la disabilità. L’intersezionalità sottolinea la simultaneità di diversi assi di differenza sociale, che possono rafforzarsi o attenuarsi a vicenda. Serena Dankwa mostra che questo approccio multidimensionale permette di analizzare il diverso trattamento di individui o gruppi all’interno di una società sotto forma di privilegi o discriminazioni. Rivela gruppi le cui esperienze rimangono invisibili alla società e mette in evidenza come i movimenti e le pratiche politiche contribuiscono a trascurare le relazioni intersezionali di dominazione e oppressione. L’invito è quello di adottare un approccio dal basso verso l’alto per la protezione contro la discriminazione e basare la nostra azione sulle esperienze delle persone che affrontano molteplici barriere e forme di violenza. Per gli individui ai margini della società, è spesso essenziale avere spazi che permettano loro di scoprire le loro molteplici appartenenze, di connettersi e, su questa base, di responsabilizzarsi. I centri di consulenza e le organizzazioni per i diritti umani possono aiutare a creare tali spazi, ma possono anche agire come un freno alla creazione di tali spazi. A questo proposito, è fondamentale non ridurre gli emarginati a una categoria o a uno status di vittima, ma riconoscere che essi hanno anche una certa quantità di conoscenze e prospettive che spesso non sono disponibili per coloro che sono privilegiati. È tempo di lavorare insieme, anche per un regime generale di protezione contro la discriminazione. Tarek Naguib, avvocato, è ricercatore e professore di diritto all’Università di Scienze Applicate di Zurigo (ZHAW), specializzato in diritto antidiscriminatorio, afferma che lo status inferiore ancora accordato a certi individui – un’eredità del razzismo – si manifesta anche nella legge sull’immigrazione, che distingue tra cittadini stranieri e nazionali. Tarek Naguib si concentra così sul problema del razzismo istituzionalizzato, una questione che, a suo avviso, è trascurata anche dai ricercatori svizzeri. Secondo il professore, la ratifica della Convenzione delle Nazioni Unite contro il razzismo nel 1994 e ciò che ne è seguito, cioè l’inclusione della norma contro la discriminazione razziale nel codice penale, è il più grande passo avanti finora in questo campo. Tuttavia, questa disposizione ha anche contribuito a limitare il concetto di discriminazione razziale. Tarek Naguib sottolinea che la società civile è responsabile dei grandi successi attuali nella lotta contro la discriminazione. Ora è giunto il momento che diversi movimenti e organizzazioni con diverse missioni lavorino fianco a fianco in un approccio collettivo. Muoversi in questa direzione permetterebbe al movimento per il clima, al movimento femminista e ai movimenti antirazzisti, in particolare quelli guidati dalle giovani generazioni, di ancorare ulteriormente l’intersezionalità nel loro pensiero. Secondo Tarek Naguib, dobbiamo unire le forze se vogliamo contrastare la perdita di visibilità e di importanza dei diritti umani in campo sociale, climatico e delle migrazioni. Tra l’altro, l’avvocato Claudia Kaufmann, nella sua analisi del federalismo, nota che non è raro che un cantone o una città siano pionieri in un particolare ambito di uguaglianza e antidiscriminazione in Svizzera prima che la Confederazione si occupi della questione. Secondo Claudia Kaufmann, è importante che il concetto di dignità umana riacquisti un posto centrale nel dibattito pubblico e riceva un’attenzione speciale per il suo ruolo unificante. A questo proposito, è sempre necessario concentrarsi sui diritti umani economici e sociali. Questo obiettivo è attualmente perseguito attraverso la promozione di un’istituzione nazionale per i diritti umani con una solida spina dorsale, un ampio mandato e risorse sufficienti a garantire la continuazione degli sforzi per proteggere dalla discriminazione. Stephan Bernard, un avvocato e mediatore che si batte per i diritti fondamentali e umani, ci invita, in qualsiasi prospettiva intersezionale, a tenere presente la dimensione economica della discriminazione, che è spesso di primaria importanza nella nostra società dove tutto è soggetto alla logica capitalista. Mentre la legge si sta dimostrando un mezzo efficace per affrontare e combattere la discriminazione, l’approccio legale da solo
Read MoreSentenza storica. La prima contro un elemento del regime siriano grazie all’utilizzo della “giurisdizione universale” È stato complice dei “crimini contro l’umanità” commessi in Siria. È la storica sentenza pronunciata da un tribunale tedesco nel corso di un processo del tutto atipico: il primo su scala globale a carico di un elemento del regime di Assad. Si tratta di Eyad Al Gharib, 007 siriano, condannato oggi dall’alta Corte di Coblenza a 4 anni e mezzo di detenzione per aver collaborato a forme di tortura e gravissime privazioni di libertà. La procura aveva chiesto per lui cinque anni. Nelle stesse ore è arrivato anche il giudizio per l’uomo ritenuto la massima guida dell’Isis in Germania: Abu Walaa, condannato dalla Corte d’appello di Celle, che dovrà scontare invece 10 anni e mezzo di prigione. La sentenza sull’agente siriano, scappato in Germania, segna una svolta. Al Gharib, 44 anni, è accusato di aver collaborato all’arresto di 30 persone durante una manifestazione fra il settembre e l’ottobre del 2011. Nel pieno del sollevamento popolare sfociato nella guerra civile che tuttora attraversa il paese, i dissidenti furono portati in un centro dei servizi segreti di Damasco, nominato Al-Kathib, e qui torturati. Ed è la prima volta che un tribunale si pronuncia su un crimine legato alla brutale repressione del regime di Assad. Inizialmente collegato a questo, ma poi separato dai giudici, è ancora in corso invece il processo di Anwar Raslan, 58 anni, che risponde della morte di 58 persone e della tortura di 4.000 detenuti. L’ex colonnello è ritenuto una figura cruciale del sistema di sicurezza del regime di Damasco, e la sentenza per lui non dovrebbe arrivare prima di ottobre. Il giudizio di oggi vuole essere un “segnale” a chi in Siria calpesta sistematicamente i diritti umani, ha spiegato il procuratore capo Jasper Klinge, affermando fra l’altro che la sentenza si fonda sul principio della competenza universale, che permette di perseguire gli artefici di quei crimini, qualsiasi sia la nazionalità e il luogo in cui li abbiano commessi. Fonte: https://www.laregione.ch/estero/estero/1495206/anni-germania-assad-sentenza-regime Per approfondimenti: Convenzione europea sull’imprescrittibilità dei crimini di guerra e dei crimini contro l’umanità: Convenzione imprescrittibilità
Read MoreLa giustizia sociale è un principio di fondo per la coesistenza pacifica e prosperosa dei paesi e tra i paesi. Sosteniamo i principi della giustizia sociale quando promuoviamo l’uguaglianza di genere, i diritti delle popolazioni indegene o dei migranti. Sosteniamo la giustizia sociale quando rimuoviamo le barriere che le persone devono superare a causa del loro genere, dell’età, della razza, dell’appartenenza etnica, della religione, della cultura, o delle disabilità. Per le Nazioni Unite, il raggiungimento della giustizia sociale per tutti è il punto centrale della missione globale per lo sviluppo e la dignità umana. L’adozione della “Dichiarazione sulla Giustizia sociale per una globalizzazione giusta” (Declaration on Social Justice for a Fair Globalization) dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (International Labour Organization – ILO) è solo uno degli esempi più recenti dell’impegno del Sistema dell’ONU per la giustizia sociale. La Dichiarazione si propone di garantire risultati giusti per tutti, attraverso il lavoro, la protezione e il dialogo sociale, e i principi e i diritti fondamentali del lavoro. Contesto Il 10 giugno 2008, l’Organizzazione Internazionale del Lavoro ha adottato all’unanimità la “Dichiarazione dell’ILO sulla giustizia sociale per una globalizzazione giusta”. La Dichiarazione rappresenta la terza più importante asserzione dei principi e delle politiche adottate dalla Conferenza internazionale del lavoro dal 1919, anno di Costituzione dell’ILO. Il documento si basa sulla Dichiarazione di Filadelfia del 1944 e sulla Dichiarazione sui Principi e Diritti Fondamentali nel Lavoro del 1998. La Dichiarazione del 2008 esprime la visione contemporanea del mandato dell’ILO nell’era della globalizzazione. Leggi la Dichiarazione dell’ILO sulla giustizia sociale per una globalizzazione giusta: Declaration on Social Justice for a Fair Globalization Fonte: https://www.onuitalia.it/giornata-internazionale-della-giustizia-sociale-2/
Read MoreChe cos’è il lavoro minorile: Il lavoro minorile è definito dalle norme internazionali del lavoro come l’attività lavorativa che priva i bambini e le bambine della loro infanzia, della loro dignità e influisce negativamente sul loro sviluppo psico-fisico.Il lavoro minorile comprende varie forme di sfruttamento e abuso spesso causate da condizioni di povertà, dalla mancata possibilità di istruzione, da situazioni economiche e politiche in cui i diritti dei bambini e delle bambine non vengono rispettati. Esso nega ai bambini il diritto di andare a scuola, la possibilità di giocare e di godere dei loro affetti. Quali sono le cause del lavoro minorile? Spesso i bambini sono costretti a lavorare perché la loro sopravvivenza e quella delle loro famiglie dipende dal loro lavoro, perché i loro genitori non hanno accesso a un lavoro dignitoso, i sistemi d’istruzione e protezione sociale sono deboli e perché gli adulti approfittano della loro vulnerabilità. Il lavoro minorile molto spesso è il risultato di convinzioni e tradizioni radicate nelle società come, ad esempio la convinzione che il lavoro sia un bene peri bambini perché li aiuta a crescere e a sviluppare le loro abilità, o la tradizione secondo la quale i bambini debbano seguire le orme dei loro genitori e imparare il loro mestiere in tenera età, e l’esistenza di tradizioni che spingono le famiglie povere a contrarre debiti che vengono riscattati attraverso il lavoro minorile. Secondo le stime dell’OIL tra il 2000 e il 2016 c’è stata una diminuzione del 38% del lavoro minorile a livello globale. Inoltre quasi 100 milioni di bambini sono stati affrancati dal lavoro minorile negli ultimi 20 anni. Tuttavia la diffusione della pandemia di COVID-19 minaccia di invertire i progressi raggiunti. Per molti bambini e le loro famiglie, la pandemia ha causato l’interruzione dei percorsi di educazione, istruzione e formazione, ha portato a malattie familiari e alla perdita del reddito familiare. Anno Internazionale per l’eliminazione del lavoro minorile L’iniziativa: L’OIL ha lanciato l’Anno Internazionale per l’eliminazione del lavoro minorile. La risoluzione che proclama il 2021 come Anno internazionale per l’eliminazione del lavoro minorile è stata adottata all’unanimità dell’Assemblea Generale dell’ONU nel 2019 per sollecitare i governi ad adottare le misure necessarie per promuovere il lavoro dignitoso e raggiungere l’Obiettivo 8.7 previsto dall’Agenda 2030 delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile. Gli obiettivi principali della risoluzione sono porre fine al lavoro minorile entro il 2025, porre fine al lavoro forzato, al traffico di esseri umani e alla schiavitù moderna entro il 2030, accelerare il progresso per raggiungere questo obiettivo. Con l’Obiettivo 8.7 dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite, tutti i Paesi si sono impegnati ad adottare misure immediate per eliminare le peggiori forme di lavoro minorile entro il 2025. L’ILO ha lanciato insieme ai suoi partner l’ “Alleanza 8.7 ”, un’alleanza mondiale per porre fine al lavoro minorile, al lavoro forzato, alla schiavitù moderna e alla tratta degli esseri umani. Fonte: Organizzazione Internazionale del Lavoro- Anno Internazionale per l’eliminazione del lavoro minorile https://www.ilo.org/wcmsp5/groups/public/—europe/—ro-geneva/—ilo-rome/documents/publication/wcms_768873.pdf
Read MoreL’istruzione inclusiva è per tutti. L’istruzione inclusiva è comunemente associata ai bisogni delle persone con disabilità e alla relazione tra l’istruzione speciale e quella tradizionale. Dal 1990, la lotta delle persone con disabilità ha condotto a una nuova prospettiva globale sull’inclusione nell’istruzione, portando al riconoscimento del diritto all’istruzione inclusiva nell’articolo 24 della Convenzione ONU del 2006 sui Diritti delle Persone con Disabilità (CRPD). Tuttavia, come ha riconosciuto il Commento Generale n. 4 sull’articolo nel 2016, l’inclusione deve avere una portata più ampia. Gli stessi meccanismi escludono non solo le persone con disabilità, ma anche altre a causa di genere, età, povertà, etnia, lingua, religione, stato di migrazione o spostamento, orientamento sessuale o espressione di identità di genere, incarcerazione, credenze e atteggiamenti. Sono il sistema e il contesto che non tengono conto della diversità e della molteplicità dei bisogni, come la pandemia Covid-19 ha messo a nudo. Sono la società e la cultura che determinano le regole, definiscono la normalità e percepiscono la differenza come devianza. Il concetto di barriere alla partecipazione e all’apprendimento dovrebbe sostituire quello di bisogni speciali. L’inclusione è un processo. L’educazione inclusiva è un processo che contribuisce al raggiungimento dell’obiettivo dell’inclusione sociale. Definire un’educazione equa richiede una distinzione tra “uguaglianza” e “equità”. L’uguaglianza è uno stato di cose (cosa): un risultato. L’equità è un processo (come): azioni volte a garantire l’uguaglianza. Definire l’educazione inclusiva è più complicato perché processo e risultato sono confusi. E’ necessario pensare all’inclusione come ad un processo: azioni che abbracciano la diversità e costruiscono un senso di appartenenza, radicato nella convinzione che ogni persona ha valore e potenziale, e dovrebbe essere rispettata, indipendentemente dal suo background, capacità o identità. Allo stesso modo l’inclusione può anche essere uno stato di cose, un risultato, che il CRPD e il Commento Generale n. 4 non hanno definito con precisione, probabilmente a causa delle diverse opinioni su quale dovrebbe essere il risultato. Fonte: Global Education Monitoring Report summary, 2020: Inclusion and education: all means all https://unesdoc.unesco.org/ark:/48223/pf0000373721/PDF/373721eng.pdf.multi
Read MoreNon cessano i respingimenti di profughi, nuove denunce, anche contro Frontex. Le «deportazioni» forzate in condizioni climatiche estreme nel mirino di un’inchiesta Ue Il muro di neve e filo spinato che ha fatto dei respingimenti il biglietto da visita del Vecchio Continente comincia a dover fare i conti con i tribunali. E nel mirino c’è anche Frontex. Gli uffici del direttore dell’Agenzia Ue per le frontiere sono stati perquisiti su ordine di Olaf, il servizio antifrode di Bruxelles. Il motivo è sempre lo stesso: la caccia ai migranti e le deportazioni forzate fuori dall’Unione europea. Intanto negli accampamenti in Bosnia vengono distribuite scarpe, coperte, tende, detergenti. Ma non c’è acqua calda, e non resta che scendere al fiume e provare a sciacquarsi tra i rivoli ghiacciati. E mentre il gelo mortifica i passi dei migranti intrappolati lungo la rotta balcanica, dai palazzi di giustizia giungono pronunciamenti che mettono in imbarazzo gli Stati. A Lubiana la corte amministrativa ha condannato l’accordo di riammissione tra Slovenia e Croazia, dove vengono riaccompagnate le persone, anche richiedenti asilo, intercettate dalle forze dell’ordine nel Paese. Per il giudice si tratta di espulsioni collettive illegali, specie quando lo straniero manifesta l’intenzione di chiedere protezione internazionale. L’organizzazione umanitaria “Infokolpa”, che aveva promosso l’iniziativa legale, sostiene che «solo l’anno scorso erano più di 10 mila le persone respinte». Nei primi sei mesi del 2019 il ministro dell’Interno sloveno ha riferito di aver trasferito 3.459 stranieri in Croazia secondo gli accordi di riammissione esistenti. Ma di dati affidabili e recenti non ve ne sono. Forse presagendo i verdetti della magistratura, Lubiana sta correndo ai ripari, accelerando sulla costruzione di una barriera metallica che bloccherà vari passaggi, per un totale di 40 chilometri. A ottobre era stato un giudice croato di Karlovac ad assolvere una mezza dozzina di richiedenti asilo afghani entrati illegalmente nel Paese. Nonostante il pronunciamento, il gruppo sparì dalla Croazia per riapparire un paio di giorni in Bosnia, piuttosto malconci, ugualmente riaccompagnati oltre confine dalla polizia. Tra gennaio 2019 e gennaio 2021 i volontari del “Border violence monitoring” hanno raccolto le testimonianze di 4.340 persone respinte in Bosnia, 845 delle quali con l’uso di armi a scopo intimidatorio e offensivo. Frequentemente, denunciano organizzazioni umanitarie e medici nei campi profughi, vengono utilizzate anche unità cinofile e non di rado le ferite riportate dai migranti respinti sono compatibili con il morso dei cani. Le operazioni di allontanamento spesso avvengono nella piena consapevolezza di Frontex, l’agenzia Ue per la protezione dei confini esterni. L’Ufficio europeo antifrode (Olaf) ha aperto una indagine amministrativa e il 7 dicembre, si è appreso ieri, ispettori di Bruxelles hanno anche perquisito l’ufficio del direttore Fabrice Leggeri e del suo vice. «L’Olaf può confermare di aver avviato un’indagine su Frontex. Tuttavia, poiché un’indagine è appunto in corso, non può rilasciare ulteriori commenti. Ciò – si legge in una nota – al fine di tutelare la riservatezza delle indagini in corso ed eventuali successivi procedimenti giudiziari». L’inchiesta è partita dopo diverse denunce sui respingimenti operati in Grecia, sia sulla frontiera terrestre che nel mare Egeo verso la Turchia, che hanno visto impegnati anche ufficiali dell’Ue. Fonte: https://www.avvenire.it/attualita/pagine/i-respingimenti-nel-mirino-uefbclid=IwAR2Cx75FpR3HZl5sWMlV_09Mjjk5ExtyfocUQFFrhrb4vLirwLMpr5EwwW8 Migranti afghani nel campo profughi di Bihac, in Bosnia Erzegovina / – Matteo Placucci / Ipsia – Caritas
Read MoreLa promulgazione è stata decisa all’improvviso ma il movimento femminile non si arrende: manifestazioni in più di 20 città Le donne polacche tornano in strada contro la legge che limita il diritto all’aborto. Grandi manifestazioni indette dal movimento Strajk Kobiet, (letteralmente, sciopero delle donne) si sono tenute in almeno venti città dopo che il governo ha annunciato pubblicazione e simultanea entrata in vigore con valore di legge della sentenza della Corte costituzionale che vieta l´aborto, salvo in caso di incesto, stupro o pericolo per la vita della madre. L’ondata di protesta è stata lanciata da Strajk Kobiet con appelli su Facebook e sugli altri social media. “Si annuncia una notte difficile”, ha affermato Klementyna Suchanow, una delle due leader del movimento insieme a Marta Lempart. Il governo, mercoledì pomeriggio, aveva annunciato che la legge sarebbe entrata in vigore in serata praticamente in contemporanea con la sua pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale: una pubblicazione che era stata a lungo rinviata, facendo sperare in un compromesso. Ora si torna al confronto muro contro muro. La sentenza della Corte suprema risale al 22 ottobre scorso: dichiarava anticostituzionale in quanto non conforme agli articoli della Legge fondamentale sulla protezione della vita del nascituro ogni tipo di aborto, eccetto le interruzioni di gravidanza chieste da donne vittima di incesto o stupro, o nel caso che si profili un pericolo per la vita della madre. Illegale anche l´interruzione di gravidanza nel caso di malformazioni gravi e letali del feto e di problemi sanitari tali da implicare l´inevitabile morte post parto del neonato. Da allora Strajk Kobiet è nato ed è presto divenuto il più importante movimento di opposizione della società civile. “Se il governo ha scelto l’inferno per le donne, noi cucineremo un inferno per questo governo”, ha detto Suchanow invitando le donne a scendere nuovamente in piazza dopo le proteste di novembre. In Polonia, prima della svolta decretata dalla Corte suprema, secondo dati ufficiali si sono avuti in media duemila aborti legali ogni anno, comprese quindi interruzioni di gravidanza decise per malformazioni letali del nascituro, ora proibite. Media indipendenti e ong calcolano d´altra parte in oltre 200mila gli aborti effettuati clandestinamente, o effettuando viaggi in uno dei Paesi vicini (Germania, Repubblica Ceca, Nord Europa) dove l’interruzione di gravidanza è permessa. Le restrizioni ai viaggi imposte dalla pandemia rendono tali viaggi difficilissimi o impossibili. Confermando la linea dura, Jaroslaw Kaczynski, ex premier e leader del partito conservatore Diritto e Giustizia aveva colto pochi giorni fa l’occasione del suo discorso alla messa in memoria della madre Jadwiga affermando che “la Polonia è sotto attacco del Demonio, oggi col movimento contro il diritto alla vita e gli attivisti Lgbt come nel 1939 con i nazisti e nel dopoguerra col comunismo”. Fonte: https://www.repubblica.it/esteri/2021/01/27/news/legge_aborto_polonia_manifestazioni-284532662/
Read MoreA prima vista sembra una cosa semplice: «Uomo e donna hanno uguali diritti.» Questo principio è iscritto dal 1981 nella Costituzione federale e dal 1996 è articolato nella legge sulla parità dei sessi (LPar). Alcuni servizi fanno opera di sensibilizzazione in merito a questa problematica. Finora sono circa mille le persone che hanno deciso di lottare contro una discriminazione che li ha colpiti. Ciononostante sussistono ancora differenze inspiegabili in ambito salariale e per quanto concerne il perfezionamento e la carriera professionale. Come si spiegano? E come fare a eliminarle? SITUAZIONE AMBIVALENTE Nel maggio 2018 l’ONU ha assegnato il «Public Service Award» all’Ufficio federale per l’uguaglianza fra donna e uomo (UFU), premiando quindi l’impegno della Svizzera a favore della parità salariale. Tutto bene? No, poiché proprio nel 2018 il Parlamento ha emanato disposizioni che obbligano determinate imprese a effettuare analisi sulla parità salariale, dato che le attività svolte su base volontaria non hanno manifestamente consentito di raggiungere gli obiettivi prefissati. Questi due eventi contrastanti riflettono l’ambivalenza che persiste in questo campo anche a 23 anni dall’introduzione della LPar. SPERANZE ESAUDITE? Anche con i 18 nuovi articoli di legge, la lotta contro le singole discriminazioni è tutt’altro che una semplice passeggiata. Nell’economia privata chi si ribella viene facilmente messo alla porta. Nel 2006 il Consiglio federale presenta un primo rapporto sull’efficacia della LPar in cui afferma che, in linea di principio, la legge si è dimostrata valida e che nelle professioni tipicamente femminili le azioni di gruppo hanno modificato la struttura salariale dei Cantoni. Esprimono invece delusione– per non dire amarezza – le conclusioni della comunità di lavoro che ha esaminato la problematica: nel settore privato la differenza salariale media non ha subito praticamente alcuna modifica e la paura di essere licenziate ha indotto molte donne a rinunciare a intentare un’azione. Anche chi si impegna nella lotta contro le molestie sessuali sul posto di lavoro deve di regola fare i conti con la perdita del posto di lavoro. STEREOTIPI DI GENERE PROFONDAMENTE ANCORATI Nel 2016 un secondo bilancio degli specialisti rileva nuovamente aspetti problematici. Le lacune del processo di applicazione sarebbero dovute in primo luogo al fatto che le donne discriminate devono esporsi personalmente affrontando un processo che può anche diventare costoso e nel corso del quale i tribunali di prima istanza tendono a riconoscere come legittimi troppi argomenti addotti per giustificare le differenze salariali. In secondo luogo la discriminazione viene praticata in modo indiretto e inconsapevole in linea con i tradizionali ruoli di genere di cui è intessuta la nostra cultura. Il Consiglio federale giunge alla conclusione che in questo ambito occorre modificare le condizioni quadro. Per le organizzazioni dei lavoratori ciò significa garantire la trasparenza salariale. Il Consiglio federale chiama quindi in causa le imprese. ANALISI SALARIALI AL POSTO DI INTERVENTI SU BASE VOLONTARIA Il Consiglio federale propone di conseguenza che le imprese con oltre 50 collaboratori siano tenute a riesaminare i loro salari a ritmo quadriennale. Al Consiglio nazionale la modifica di legge proposta è controversa. Al momento del voto il Parlamento approva le misure proposte ma innalza la soglia d’applicazione alle sole imprese con oltre 100 lavoratori. Le analisi concernenti la parità salariale dovranno quindi essere effettuate solo dall’1 per cento delle imprese che però impiega il 46 per cento dei lavoratori. Anche se per le imprese in cui emergeranno lacune non sono previste sanzioni, la consigliera federale Sommaruga si dice convinta che «la trasparenza richiesta dalla legge avrà comunque effetto». Al Consiglio nazionale il dibattito ha evidenziato ripetute oscillazioni fra posizioni scettiche e posizioni ottimiste, come spesso succede nelle discussioni su questo tema. Già nel 2015 la presidente dell’autorità di conciliazione del Cantone di Zurigo Susy Stauber-Moser affermava: «sono fiduciosa che le disparità salariali fra uomini e donne si ridurranno». Ma poco dopo aggiungeva: «avremo ancora bisogno della LPar per lungo tempo». Fonte: https://www.parlament.ch/it/über-das-parlament/donne-politiche/parità-fra-i-sessi-ancora-molto-da-fare
Read MoreL’introduzione del diritto di voto e di elezione alle donne rientra fra i i cambiamenti più importanti intervenuti nel sistema politico della Svizzera dalla fondazione dello Stato federale nel 1848. Il 7 febbraio 1971, il 65,7 per cento degli uomini svizzeri ha votato a favore del diritto di voto e di elezione delle donne. Sino a quel giorno la metà della popolazione svizzera non poteva né eleggere né essere eletta, e nemmeno votare o firmare un referendum. Per oltre un secolo le donne hanno lottato per i loro diritti e sono stati necessari numerosi interventi parlamentari e diverse votazioni popolari per realizzare questo obiettivo. Nell’autunno del 1971 le Svizzere e gli Svizzeri hanno eletto dieci consiglieri nazionali e una consigliera agli Stati. Già dopo alcuni giorni un’undicesima consigliera nazionale era subentrata a un deputato, che era stato eletto nel Consiglio degli Stati. Da allora la quota delle donne nel Consiglio nazionale è aumentata costantemente: 12 seggi nel 1971, 95 nel 2019. Fonte: https://www.parlament.ch/it/über-das-parlament/donne-politiche/sintesi-dei-diritti-femminili-in-svizzera Per approfondimenti: https://www.parlament.ch/it/über-das-parlament/donne-politiche/quota-donne-potere-politico/quote-di-donne-sotto-la-cupola
Read MoreChi sono gli Jenisch? L’origine non è certa, ma essi si definiscono diretti discendenti dei Celti. Comunque dopo la Seconda Guerra Mondiale, su espressa richiesta di una loro rappresentanza mandata alla Romani Union, furono accolti nella comunità degli zingari. La Svizzera, con 35.000 unità, è la quarta nazione con il maggior numero di Jenisch; di questi si calcola che 5.000 siano nomadi. Per quanto detto, mentre le popolazioni romani (Rom, Sinti, Kalé, Romanichals) sono etnie di derivazione indiana, gli Jenisch sono di origine germanica e hanno un loro proprio idioma. Gli Jenisch, così come i Rom e i Sinti, furono aspramente perseguitati nella Germania nazista, rinchiusi nei lager, e pagarono un alto prezzo in termini di vite umane. In nome dell’eugenetica In Svizzera è attestato già nel 1825, a Lucerna, che un gruppo di Jenisch fu processato per crimini contro la società. Sotto tortura hanno confessato migliaia di crimini, e furono condannati a pene detentive. Furono loro sottratti i figli con l’intenzione di “rompere” le famiglie allo scopo contrastare la cultura, la lingua e i modi di vita di una comunità che non rifletteva gli ideali d’ordine dell’epoca. Un secolo dopo, gli Jenisch subivano ancora, nella Confederazione, un tentativo di sterminio scientifico che terminò solo nel 1975. Secondo i parametri applicati dalle autorità elvetiche, i nomadi erano considerati pericolosi asociali irrecuperabili, da tenere a bada con metodi repressivi. Il fatto di essere cittadini svizzeri non proteggeva gli Jenisch dal disprezzo e dall’ostilità. A occuparsi di loro, fino agli anni ’20, erano stati i Comuni e i Cantoni. Nel 1926, in pieno clima di cultura eugenetica e di pulizia della razza che spirava anche in Svizzera, Alfred Siegfried diventò responsabile della sezione Scolarità Infantile della fondazione Pro Juventute. Convinto della necessità di ridurre il numero degli Jenisch attraverso la sterilizzazione e il divieto di matrimonio, fondò il programma Hilfswerk fur die Kinder der Landstrasse (“Opera di assistenza per i bambini di strada”) che rimase attivo fino al 1972. Nel 1943 Siegfried tenne a Zurigo una conferenza nella quale espresse in modo esplicito gli scopi, i metodi e l’ideologia alla base della propria attività: gli Jenisch erano definiti “vagabondi”, “una piaga” della società. Poco importava il loro comportamento reale; ciò che contava, secondo Siegfried, era la loro appartenenza etnica. Successivamente, nel 1970, il governo svizzero condusse una politica semi-ufficiale che verteva a istituzionalizzare i genitori Jenisch come “malati di mente” e a fare adottare i loro figli da cittadini svizzeri, nel tentativo di eliminare la cultura zingara in nome del miglioramento della società locale. Mariella Mehr, nata a Zurigo nel 1947 da una famiglia Jenisch, racconta del programma attuato dall’associazione svizzera Pro Juventute dal 1926 al 1974 per il recupero dei bambini di strada e poi tradotto in un dramma nazionale, accusato di genocidio. La causa legale si concluse nel 1987: la Confederazione elvetica si scusò con gli Jenisch, riconoscendo la propria responsabilità morale e politica. Non si conosce il numero esatto delle vittime, principalmente bambini, che sembra oscillare tra i 585, certificati dagli archivi della Pro Juventute, in gran parte secretati per un secolo, e i 2.000 stimati. L’intervento eugenetico, tramite l’impedimento di matrimoni, la limitazione delle nascite, le sterilizzazioni, le privazioni della libertà, incise pesantemente sulla comunità Jenisch che ne uscì ferita nello spirito e indebolita demograficamente. Tra i casi noti, ricordiamo Robert Huber, politico svizzero di etnia Jenisch, che da bambino fu lui stesso vittima del programma “Figli della strada”. Ruth Dreyfuss, ex consigliere federale e presidente della Confederazione svizzera nel 1999, affermò in proposito: «Le conclusioni degli storici non lasciano spazio al dubbio: […] è un tragico esempio di discriminazione e persecuzione di una minoranza che non condivide il modello di vita della maggioranza.» Fonte: https://corriereitalianita.ch/gli-jenisch-in-svizzera-una-storia-di-persecuzioni/
Read More«La differenza, se c’è, è piuttosto un problema nostro, di adulti. Lo sguardo dei ragazzi è uno sguardo che non etichetta». Non potrebbe essere più chiaro, Paolo Iaquinta, per illustrare la sua visione di diversità, di integrazione ed inclusione nel contesto scolastico. A Minusio, sede di Scuola media di cui è direttore, è partito quest ’anno in una classe di prima un progetto inclusivo che favorisce una riflessione a tutto campo sul tema e sulla sua evoluzione nella scuola ticinese. Questione di attitudine«Inclusione – dice Iaquinta – non è soltanto strutture, quindi dare un 120%, con un buon docente di pedagogia speciale e un valido appoggio con un secondo docente; non è soltanto avere delle tecniche di differenziazione pedagogica. È, in primo luogo, un’attitudine dell’insegnante, una visione del mondo. Quello stesso mondo fatto di tante persone diverse che convivono in una società unica. Ogni singola classe è una piccola società, che allo stesso modo deve e può accogliere persone diverse fra loro». Sviluppo di competenze: nessun pregiudizio Paolo Iaquinta ricorda uno studio del Centro innovazione e ricerca sui sistemi educativi (Cirse) della Supsi, secondo cui «per un allievo di scuola ordinaria il fatto di essere inserito in una classe inclusiva non pregiudica assolutamente lo sviluppo di competenze. Questo ci ha fattomolta forza, anche per andare a parlare con i genitori, i quali iscrivono i loro figli ad una Scuola media, non ad una Scuola media inclusiva». Mengoni: ‘Disabilità, cambiato il paradigma’ Secondo il capo della Sezione della pedagogia speciale Mattia Mengoni, «in tema di disabilità, da tempo è cambiato il paradigma: la disabilità non appartiene più alla persona, ma si esprime attraverso il contesto che essa frequenta. Quindi quanto più è accogliente un ambiente, tanto meno emergono determinate caratteristiche intese come difficoltà e tanto più favoriamo lo svolgimento di un’attività». È quindi fondamentale, per Mengoni, «chiedersi cosa può fare il contesto per rendersi più accessibile.E questo vale anche per la scuola. Non è più sufficiente una dimensione integrativa ancorata già alla vecchia Legge del ’75, ma si punta su diverse forme di sostegno. ‘Per fare passi avanti bisogna crederci’ Un’altra questione è centrale: quella legata al territorio di appartenenza. A molte classi inclusive appartengono ragazzi slegati da quella specifica realtà. «Idealmente, se si parla di inclusione, bisognerebbe partire dal presupposto che l’inclusione si fa nel proprio Comune di domicilio, o almeno nel proprio comprensorio – ammette Mengoni –. Il fatto è che il numero di allievi e la disponibilità delle sedi, per questioni di numeri e di sensibilità storica, non permette ancora di creare dei gruppi con un’attinenza territoriale. Più si sarà in grado di organizzare un sistema scolastico che risponde al proprio interno aquesti bisogni, «tanto più riusciremo a garantire che ogni Scuola media risponda alle esigenze degli allievi del proprio comprensorio. Importantissimo, infine, è «pensare all’inclusione come a una misura didattica valutabile e implementabile, e non unicamente come una questione ideologica». Fonte: https://www4.ti.ch/fileadmin/DECS/DS/SPS/documenti/Nella_scuola_l_inclusione_come_un_faro_La_Regione_17.11.2020.pdf
Read More1. Che cos’è l’educazione inclusiva? Un sistema educativo “inclusivo” può essere creato solo se le scuole tradizionali diventano più inclusive – in altre parole, se diventano migliori nell’educare tutti i bambini delle loro comunità. Le scuole ordinarie con un orientamento inclusivo sono il mezzo più efficace per combattere gli atteggiamenti discriminatori, creare comunità accoglienti, costruire una società inclusiva e raggiungere l’istruzione per tutti. L’istruzione per tutti deve tenere conto dei bisogni degli svantaggiati, dei bambini che lavorano, degli abitanti delle zone rurali remote e dei migranti, delle minoranze etniche e linguistiche, dei bambini, dei giovani e degli adulti colpiti da conflitti, HIV e AIDS, fame e cattiva salute, e di quelli con disabilità o bisogni speciali di apprendimento. L’inclusione è quindi vista come un processo per affrontare e rispondere alla diversità dei bisogni di tutti i bambini, i giovani e gli adulti attraverso una maggiore partecipazione all’apprendimento e alle comunità, e riducendo ed eliminando l’esclusione all’interno e dall’educazione. Si basa sulla convinzione che è responsabilità del sistema educare tutti i bambini. 2. Perché il mondo ha bisogno di un’educazione inclusiva? Un’attenta pianificazione di un’educazione inclusiva può portare a miglioramenti nel rendimento accademico, nello sviluppo sociale ed emotivo, nell’autostima e nell’accettazione dei pari. L’inclusione di studenti diversi in classi e scuole tradizionali può prevenire la stigmatizzazione, gli stereotipi, la discriminazione e l’alienazione. Pensare all’educazione degli studenti con disabilità o bisogni speciali dovrebbe essere uguale a pensare a ciò di cui tutti gli studenti possono avere bisogno. Tutti gli studenti hanno bisogno di metodi di insegnamento e di meccanismi di supporto che li aiutino ad avere successo e ad essere parte di qualcosa. 3. Perché non scegliere scuole “speciali” o segregate invece? Perché le scuole segregate raramente preparano le ragazze e ragazzi all’interno di esse alla realtà del mondo esterno. L’educazione inclusiva può avere un’influenza positiva su tutti i bambini. Inoltre, l’eliminazione delle strutture parallele e l’utilizzo più efficace delle risorse in un unico sistema globale possono portare ad un risparmio di energia. 4. Ma l’educazione inclusiva non è molto costosa? Garantire che le classi e le scuole siano adeguatamente dotate di risorse e sostegno comporta costi per adattare i curricula, formare gli insegnanti, sviluppare materiali appropriati e pertinenti per l’insegnamento e l’apprendimento e rendere l’istruzione accessibile. Poiché pochi sistemi si avvicinano all’ideale, stime affidabili del costo totale sono scarse. L’analisi economica costi-benefici è quindi difficile, anche perché i benefici sono difficili da quantificare e da spalmare sulle generazioni. Una logica economica dell’educazione inclusiva, pur essendo preziosa per la pianificazione, non è sufficiente. È stato sostenuto che discutere i benefici dell’educazione inclusiva equivale a discutere i benefici dell’abolizione della schiavitù (Bilken, 1985) o dell’apartheid (Lipsky e Gartner, 1997). L’inclusione è un imperativo morale e una condizione per raggiungere tutti gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile , in particolare società sostenibili, eque e inclusive. È un’espressione di giustizia, non di carità, qualunque siano le differenze, biologiche o meno, e qualunque sia la loro descrizione. Inoltre vi sono molti esempi in cui l’educazione inclusiva è risultata meno costosa dell’educazione “speciale” o “segregata”. In Pakistan, per esempio, l’UNESCO ha scoperto che le scuole speciali sono state 15 volte più costose per gli alunni rispetto alle scuole tradizionali che includono i bambini con disabilità. Altri esempi da Bangladesh, Cambogia, India, Nepal e Filippine suggeriscono che il rendimento dell’investimento nell’istruzione per le persone con disabilità sia da due a tre volte superiore a quello di chi non ha disabilità. 5. Perché più scuole non praticano l’educazione inclusiva? Tra i motivi più comuni ci sono: percezioni negative del potenziale di apprendimento dei bambini disabili e delle altre categorie escluse, insegnanti poco preparati, mancanza di risorse- compresi i libri di testo in Braille- e la mancanza di capacità del governo. 6. Come posso aiutare? Ci sono molti modi in cui le persone e le organizzazioni possono aiutare. I grandi donatori e altre ONG possono aiutare aumentando i loro aiuti per l’istruzione e rendere la risposta alla diversità una condizione necessaria per tutti i finanziamenti e progetti futuri. Ma anche i singoli possono aiutare! Si può diffondere il messaggio che l’educazione inclusiva funziona e che milioni di bambini con disabilità ed esclusi, che attualmente non vanno a scuola, meritano un’educazione di qualità che aiuti loro e le loro società, a raggiungere il pieno potenziale. Fonti: Global Education Monitoring Report- Unesco: https://unesdoc.unesco.org/ark:/48223/pf0000374817/PDF/374817spa.pdf.multi Light for the world: https://www.light-for-the-world.org/sites/lfdw_org/files/download_files/inclusive_education_qa_final_acc.pdf
Read MoreL’ambasciatore Masset lo riceve: “Francia impegnata sui diritti umani”. Lui replica: “Si impegni in modo più visibile per Regeni e Zacky” ROMA – Corrado Augias esce di mattino presto con la Legion d’Onore francese nello zaino. La custodisce in un cofanetto di pelle rossa con la cornice d’oro, che apre con cura e tristezza nel giardino di casa, a Roma. È un ordine istituito da Napoleone Bonaparte nel 1802, quando era console. “È l’onorificenza più alta della Repubblica francese, un altissimo riconoscimento al valore militare, per questo c’è il nastro rosso, che richiama il sangue. Ma è un riconoscimento anche ai meriti sociali e civili”, spiega. Non ne vuole fare una questione personale: “Non ricordo nemmeno l’anno preciso in cui l’ho ricevuta. Mi fece molto piacere, certo, ma il mio gesto amaro era inevitabile. Lo dedico alla memoria di Giulio Regeni, il giovane accademico torturato e ucciso in Egitto, i dettagli di quelle torture sono stati resi noti dalla Procura di Roma proprio mentre il Presidente Al-Sisi riceveva da Macron questa stessa Legion d’Onore. Ma lo dedico anche alla Francia, patria d’origine della mia famiglia e dell’Illuminismo che ha illuminato, appunto, il mondo, ma ogni tanto ha bisogno di essere riacceso”. Il gesto è la riconsegna della Legion d’Onore all’ambasciata francese di Roma, annunciato in una lettera aperta ieri sulla prima pagina di Repubblica. Con un tweet, l’ambasciatore francese Christian Masset ha risposto a quello sfogo: “Ho grande rispetto per Corrado Augias, la Francia è in prima linea per i diritti umani e non fa compromessi. Più casi sono stati discussi durante la visita del Presidente Al-Sisi a Parigi, nel modo più adeguato e con più efficacia”. Fonte:https://www.repubblica.it/cronaca/2020/12/14/news/augias_legion_d_onore-278293345/ blob:https://video.repubblica.it/60c9bb2b-ea2b-4a22-9511-744e0c78389d
Read More“Questa è una storia universale. Le persone a un certo punto della loro vita prendono una decisione, sia che sia costretta dalla guerra, dalla povertà, da ragioni religiose o da qualcos’altro. Decidono di mettere tutto quello che hanno in una o due valigie e di fare questo viaggio in un nuovo mondo e ricominciare tutto da capo. Quello che vogliamo fare è capire l’emozione e mostrare l’emozione.”, con queste parole il Presidente della Fondazione Droom en Daad, il signor Pijbes, ex direttore generale del famoso Rijksmuseum di Amsterdam, ha presentato il nuovo Museo della Migrazione che ha aperto a Rotterdam. Un’emozione che inizia dal luogo scelto come sede del museo, il magazzino Fenix ha infatti una storia particolare. È stato costruito nel 1923 ed era considerato il più grande magazzino del mondo, nel tempo la sua storia si è intrecciata con quella della città di Rotterdam, compresa la distruzione in seguito ai bombardamenti della seconda guerra mondiale, a cui sono seguite numerose e continue riparazioni negli anni ’40 e ’50 del XX secolo. Il museo sarà il primo progetto culturale europeo dell’architetto Ma Yansong, fondatore di MAD Architects. Per preservare l’identità storica del luogo e dell’edificio, l’architetto ha deciso di conservare la struttura originale in cemento svuotandone però il centro. Nella parte centrale dell’edificio sarà inserita infatti una scenografica scala a forma di tornado. Si tratta in realtà di due scale a chiocciola che si muovono nello spazio con ritmi e raggi di curvatura diversi, per poi congiungersi nella piattaforma di osservazione superiore. Le scale si sviluppano quindi dal pianoterra fino a sfondare il tetto e proseguire oltre, rompendo la staticità e la grande scala del magazzino originale e dando vita, nei diversi piani dell’edificio, a spazi più intimi e di dimensioni più contenute. “Da lontano, la piattaforma e la scala sembrano un’unica entità” ha spiegato l’architetto Ma Yansong aggiungendo poi che viste da vicino queste strutture saranno percepite come un’opera scultorea da esplorare e che non solo rappresentano la storia del luogo e della migrazione europea, ma simboleggiano anche il futuro della città di Rotterdam. Fonti https://design.fanpage.it/fenix-il-nuovo-museo-della-migrazione-ha-aperto-a-rotterdam/ https://www.floornature.it/mad-architects-fenix-museum-migration-iniziano-i-lavori-rott-15889/ Visita il sito del Fenix https://fenix.nl/en/fenix-english/
Read MoreTerra di immigrazione da decenni, la Svizzera non sembra però essere un’allieva modello in termini di integrazione. Secondo uno studio comparativo internazionale, è ancora tra i paesi del Vecchio Continente che fanno meno sforzi per fornire stabilità a lungo termine agli immigrati non europei. La Svizzera non offre un futuro sicuro agli immigrati, afferma lo studio. Pubblicato mercoledì, il MIPEX (Migrant Intergration Policy Index) confronta le politiche di integrazione di 52 paesi e stila una classifica. La Confederazione si colloca al 25° posto, dietro a Francia, Germania, Italia e Regno Unito. Ottiene 50 punti su 100, pari a sette o otto punti in meno del punteggio medio degli altri paesi dell’Europa occidentale. Oltre l’80% della popolazione straniera residente in Svizzera proviene da un Paese europeo. Beneficiando dell’accordo sulla libera circolazione delle persone è libera di venire a lavorare e stabilirsi nella Confederazione. Per i cittadini non europei, invece, la situazione è complicata. Lo studio colloca la Svizzera tra i paesi che offrono ai migranti di paesi terzi delle possibilità di integrazione temporanea, ma non la garanzia di potersi stabilire in modo permanente. Una posizione simile a quelle di Austria e Danimarca. “Questi paesi compiono solo metà del percorso per garantire ai migranti diritti fondamentali e pari opportunità. Le loro politiche incoraggiano la popolazione a vedere gli immigrati come stranieri e non come persone uguali e vicini di casa”, commentano i ricercatori. L’indice mostra inoltre che la politica di integrazione della Confederazione nell’ultimo decennio non è cambiata. “L’approccio svizzero s’inserisce in una forma di continuità”, osserva Gianni D’Amato, direttore del Forum svizzero per lo studio delle migrazioni (SFM), che partecipa all’elaborazione del MIPEX. La Svizzera vuole usufruire dei vantaggi economici della migrazione, ma il suo obiettivo non è l’integrazione a lungo termine, analizza il professore. “Il messaggio che il paese rivolge ai migranti è: siete i benvenuti, ma non in troppi e non per tutta la vita. Occorre mantenere il controllo per poter limitare il numero di immigrati”, afferma. Fonte: https://www.swissinfo.ch/ita/politica/confronto-internazionale_un-futuro-incerto-per-i-migranti-extraeuropei-in-svizzera/46216046 Per maggiori informazioni Due milioni di stranieri in Svizzera, ma chi sono?https://www.swissinfo.ch/ita/serie-migrazione-parte-1-_due-milioni-di-stranieri-in-svizzera-ma-chi sono/42412006#:~:text=Oltre%20l’80%25%20proviene%20da,tutti%20gli%20stranieri%20in%20Svizzera.
Read MoreIl diritto dell’Unione è stato violato in vari punti, secondo la sentenza BRUXELLES – «L’Ungheria è venuta meno agli obblighi del diritto dell’Unione europea in materia di procedure di riconoscimento della protezione internazionale e di rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare». Lo ha stabilito la Corte di giustizia dell’Unione europea in una sentenza pubblicata oggi. In particolare ha violato del diritto dell’Unione per «la limitazione dell’accesso alla procedura di protezione internazionale, il trattenimento irregolare dei richiedenti in zone di transito nonché la riconduzione in una zona frontaliera di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, senza rispettare le garanzie della procedura di rimpatrio». La Corte ha di fatto accolto la parte essenziale del ricorso per inadempimento presentato dalla Commissione europea contro l’Ungheria. Ed ha stabilito che «è venuta meno al proprio obbligo di garantire un accesso effettivo alla procedura di riconoscimento della protezione internazionale, in quanto i cittadini di paesi terzi che desideravano accedere, a partire dalla frontiera serbo-ungherese, a tale procedura si sono trovati di fronte, di fatto, alla quasi impossibilità di presentare la loro domanda». Per la Corte è poi una violazione delle norme europee anche «l’obbligo imposto ai richiedenti protezione internazionale di rimanere in una zona di transito durante l’intera procedura di esame della loro domanda», che «costituisce un trattenimento». Infine, l’Ungheria è venuta meno agli obblighi della direttiva “rimpatrio”, «in quanto la normativa ungherese consente di allontanare i cittadini di paesi terzi il cui soggiorno nel territorio è irregolare senza rispettare preventivamente le procedure e le garanzie previste da tale direttiva». Fonte:https://www.tio.ch/dal-mondo/cronaca/1481286/unione-ungheria-procedura-diritto-ue
Read MoreMICHELLE BACHELET -Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani GIORNATA MONDIALE DEI DIRITTI UMANI 2020 La Giornata dei diritti umani di quest’anno cade in un momento che non dimenticheremo mai. Il COVID-19 ci ha preso d’assalto e ha scosso il nostro mondo, seguito da una straordinaria opportunità di riprendersi meglio. Questa Giornata dei Diritti Umani è una chiamata all’azione. Un invito a tutti noi a cogliere questa opportunità e a costruire il mondo che vogliamo. Per questo, dobbiamo accettare le lezioni di questa crisi. La prima: porre fine a qualsiasi tipo di discriminazione. Le condizioni esistenti che rendono gli individui più fragili e le differenze nel rispetto dei diritti umani hanno reso la società più vulnerabile. Se qualcuno è a rischio, tutti sono a rischio. La discriminazione, l’esclusione e le altre violazioni dei diritti umani danneggiano tutti noi. La seconda: ridurre le disuguaglianze ampiamente diffuse. La protezione sociale universale, la copertura sanitaria universale e altri sistemi per il rispetto dei diritti fondamentali non sono un lusso. Essi sono alla base delle società e possono contribuire ad un futuro più equo. La terza: incoraggiare la partecipazione, soprattutto dei giovani. Tutte le voci hanno diritto ad essere ascoltate. La quarta: aumentare ed intensificare la nostra determinazione e i nostri sforzi per raggiungere gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, un’Agenda concreta per i diritti umani universali. Queste non sono solo le cose giuste da fare, sono le cose intelligenti da fare. E c’è solo un modo per farlo: difendere i diritti umani. Perché i diritti umani danno vita a società eque e solide. Sono la risposta a questa crisi umanitaria. Come l’emergenza climatica, il COVID-19 ci ricorda che siamo legati ad un’unica umanità. Dobbiamo agire. Lavorando insieme, possiamo riprenderci meglio. Con una profonda solidarietà possiamo costruire un mondo più resiliente, sostenibile e giusto. Unitevi a me nel difendere i diritti umani. Fonte: https://www.standup4humanrights.org/en/index.html
Read MoreL’attaccante francese del Barcellona Antoine Griezmann ha annunciato giovedì la fine della sua collaborazione con la società cinese Huawei, sospettata di aver istituito un sistema di riconoscimento facciale per gli uiguri, perseguitati in Cina. Dopo la storica interruzione della partita PSG-Basaksehir di martedì sera in Champions League, questa è un’altra dichiarazione forte da parte di un personaggio del mondo del calcio. Un noto giocatore: Antoine Griezmann. L’attaccante francese del Barcellona ha annunciato giovedì, in un comunicato stampa, che “terminerà immediatamente” la sua collaborazione con la società cinese Huawei, a sostegno della comunità uigura, perseguitata in Cina. “Invito Huawei non solo a negare queste accuse, ma ad agire per condannare al più presto questa repressione”. “A seguito dei forti sospetti che Huawei abbia contribuito allo sviluppo di un programma di ‘Allarme uiguro’ utilizzando un software di riconoscimento facciale, annuncio che sto mettendo immediatamente fine alla mia partnership con questa azienda”, spiega il campione del mondo. “Colgo l’occasione per invitare Huawei non solo a negare queste accuse, ma ad agire concretamente il più presto possibile per condannare questa repressione di massa e per usare la sua influenza per contribuire al rispetto dei diritti umani e delle donne nella società.” Fonte: https://rmcsport.bfmtv.com/football/barca-en-soutien-aux-ouighours-griezmann-rompt-son-partenariat-avec-huawei-2016820.html
Read MoreIl 7 dicembre 2020, l’UE ha adottato formalmente un regolamento che prevede un nuovo regime di sanzioni individuali in stile “Magnitsky” per gravi violazioni dei diritti umani, solo un paio di giorni prima del 10 dicembre – Giornata delle Nazioni Unite per i diritti umani. Il passo, a 72 anni dall’adozione della Dichiarazione universale dei diritti umani, dovrebbe dare un contributo significativo al progresso generale dei diritti umani, rafforzando la capacità della comunità internazionale di rendere gli individui responsabili di decisioni o azioni che portano a gravi e sistematiche violazioni dei diritti umani. Il nuovo Eu Global Human Rights Sanctions Regime conferisce all’UE il potere di congelare fondi e risorse economiche e di imporre divieti di circolazione alle persone coinvolte in gravi violazioni dei diritti umani, tra cui genocidio, schiavitù, tortura, esecuzioni extragiudiziali, arresti o detenzioni arbitrari. Anche altre violazioni o altri abusi dei diritti umani possono rientrare nel campo di applicazione del regime sanzionatorio qualora tali violazioni o abusi siano diffusi, sistematici o comunque motivo di seria preoccupazione per quanto concerne gli obiettivi di politica estera e di sicurezza comune stabiliti dal trattato (articolo 21 Tue). Spetterà al Consiglio, su proposta di uno Stato membro o dell’Alto rappresentante dell’UE per gli affari esteri e la politica di sicurezza, stabilire, rivedere e modificare l’elenco delle sanzioni. Il primo “Global Magnitsky Act” (cosiddetto perché può essere utilizzato per affrontare le violazioni dei diritti umani commesse ovunque) è stato firmato dal presidente degli Stati Uniti Barack Obama nel 2012, ed è stato originariamente utilizzato per colpire i funzionari russi ritenuti responsabili della morte dell’avvocato fiscale russo Sergei Magnitsky. Da allora gli Stati Uniti sono stati raggiunti nell’istituzione di tali regimi di responsabilità dal Canada, dagli Stati Baltici e dal Regno Unito. Si dice che anche altri paesi, tra cui il Giappone e l’Australia, stiano prendendo in considerazione tali provvedimenti. In particolare, il 6 dicembre 2020, la Commissione parlamentare bi-partisan degli affari esteri dell’Australia ha raccomandato all’unanimità al governo di approvare un Magnitsky Act australiano e ha incluso un progetto di proposta legislativa a sostegno della sua raccomandazione, gettando le basi affinché l’Australia diventi il 35° Paese ad adottare un tale regime di sanzioni per i diritti umani. Un Magnitsky Act dell’UE (anche se non si chiamerà così perché l’UE non vuole che la Russia sia vista come il solo bersaglio) è particolarmente potente, considerando il peso economico globale del blocco, e poiché molti responsabili di gravi violazioni dei diritti umani (ad esempio politici, ufficiali dell’esercito, capi della polizia, finanzieri, uomini d’affari corrotti) hanno conti bancari e/o seconde case in Europa. Nel 2018 i Paesi Bassi hanno iniziato a muoversi verso un regime sanzionatorio dell’UE. Parlando con i suoi colleghi europei di allora, il ministro degli Esteri olandese Stef Blok ha osservato che, mentre la comunità internazionale ha fatto enormi progressi nel campo dei diritti umani dall’adozione della Dichiarazione universale, resta il fatto che, dopo sette decenni, i diritti umani siano sotto pressione nella maggior parte del mondo. In gran parte perché, ha sostenuto, coloro che commettono terribili abusi dei diritti umani spesso “la fanno franca”. “Come ci ha detto Eleanor Roosevelt”, dobbiamo sempre chiederci “come possiamo continuare a rafforzare il sistema dei diritti umani […] Le regole sono regole”, come dice il detto olandese. “Ma solo se infrangere le regole ha delle conseguenze”. Gli otto membri del Consiglio nordico – Danimarca, Finlandia, Islanda, Svezia, Norvegia, Isole Faroe, Groenlandia e Åland – hanno inoltre indicato che aderiranno al nuovo regime di sanzioni individuali dell’UE. Fonte: https://www.universal-rights.org/uncategorized/eu-adopts-magnitsky-style-individual-sanctions-regime-for-grave-human-rights-violations/
Read More“SOSTENERE I DIRITTI UMANI PER UNA RIPRESA MIGLIORE”
10 dicembre 2020
La pandemia del COVID-19 ha rafforzato due verità fondamentali sui diritti umani.
Innanzitutto, le violazioni dei diritti umani danneggiano noi tutti.
Read MoreGli Stati Uniti hanno bloccato le importazioni dalla regione cinese dello Xinjiang, dove un milione di musulmani uiguri sono detenuti nei campi di lavoro. La US Customs and Border Protection Agency (Dogane e Polizia di Frontiera degli Stati Uniti), mercoledì ha dichiarato che il suo ‘Withhold Release Order’, ovvero la trattenuta dell’ordine di rilascio, avrebbe messo al bando tutti i prodotti in cotone provenienti dal Corpo di Produzione e Costruzione cinese nello Xinjiang, uno dei maggiori produttori cinesi, ha riferito la Reuters. Il divieto di importazione del cotone è dovuto al fatto che la Cina continui a suscitare in tutto il mondo denunce rispetto alle sue politiche nella regione dello Xinjiang, dove, secondo Amnesty International, quasi un milione di musulmani uiguri sono detenuti nei campi di lavoro. Il Dipartimento della Sicurezza interna degli Stati Uniti sostiene che i centri nello Xinjiang siano gestiti come ‘campi di concentramento’. “I prodotti di cotone a buon mercato che si possono acquistare per la famiglia e gli amici durante questo periodo di regali – se provenienti dalla Cina – potrebbero essere stati fatti con il lavoro degli schiavi attraverso alcune delle più gravi violazioni dei diritti umani esistenti oggi nel mondo “, ha detto il Segretario del Dipartimento della Sicurezza Interna, Kenneth Cuccinelli. Pechino ha difeso con fermezza la sua politica dicendo che i piani di formazione, i programmi di lavoro e una migliore istruzione hanno contribuito a debellare l’estremismo, accusando gli Stati Uniti di ‘fabbricare notizie false del cosiddetto lavoro forzato e di tentare di opprimere le attività economiche dello Xinjiang’. Fonte: https://www.middleeastmonitor.com/20201204-us-blocks-xinjiang-cotton-imports-over-uyghur-slave-labour/
Read MoreLe persone con disabilità devono conoscere i propri diritti Nel 2014 si sono celebrati i dieci anni della legge sui disabili (LDis). Nello stesso anno è entrata in vigore in Svizzera la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità (CDPD). Questi due eventi hanno offerto all’Ufficio federale per le pari opportunità delle persone con disabilità (UFPD) l’occasione per convertire in diversi formati accessibili alle persone con disabilità, in collaborazione con il Centro di competenza per le pubblicazioni ufficiali (CPU) della Cancelleria federale, i più importanti atti giuridici nazionali e internazionali che le concernono. Nella lingua dei segni Convenzione sui diritti delle persone con disabilità (CDPD) Numerose persone non udenti hanno come «lingua madre» la lingua dei segni. Per questo motivo spesso faticano a capire testi più complessi scritti e/o letti ad alta voce. I video in lingua dei segni pubblicati in Internet permettono di eliminare le barriere nella comunicazione. Contenuti difficilmente comprensibili diventano così facilmente accessibili anche alle persone non udenti. In linguaggio semplificato Convenzione sui diritti delle persone con disabilità (CDPD) (PDF, 200 kB, 28.07.2015) Legge sui disabili (LDis) (PDF, 284 kB, 28.07.2015) Alcune persone faticano a capire le informazioni scritte, ad esempio perché presentano disabilità cognitive o difficoltà di apprendimento. L’uso del linguaggio semplificato permette di produrre testi che possono essere compresi facilmente. Questo tipo di linguaggio si fonda su regole linguistiche e redazionali particolari e su raccomandazioni tipografiche. Documenti PDF senza barriere Convenzione sui diritti delle persone con disabilità (CDPD) (PDF, 250 kB, 28.07.2015) Legge sui disabili (LDis) (PDF, 131 kB, 28.07.2015) Ordinanza sui disabili (ODis) (PDF, 123 kB, 28.07.2015) Spesso gli screen reader – i programmi che «leggono» lo schermo utilizzati dalle persone non vedenti – non riescono a leggere i documenti PDF, poiché non sono stati redatti nel rispetto delle regole dell’accessibilità. Queste regole, infatti, permettono di produrre un file PDF senza barriere accessibile anche ai non vedenti e agli ipovedenti grazie ad appositi sistemi informatici. Questi sistemi – come il lettore di PDF VIP-PDF Reader concepito per i portatori di handicap visivi – estraggono il testo e lo riproducono su una superficie amichevole per l’utente. Qui può essere visualizzato a piacimento, modificando ad esempio il tipo, lo stile o la dimensione del carattere, il colore del testo o dello sfondo, la spaziatura dei caratteri o l’interlinea. Fonte: https://www.admin.ch/gov/it/pagina-iniziale/diritto-federale/ricerca-e-novita/10-jahre-behig.html Cosa vuol dire inclusione delle persone disabili? Ognuno deve essere trattato in maniera eguale, così che le persone disabili abbiano gli stessi diritti e opportunità delle persone abili. Chi sono le persone abili? Guarda questo video per scoprirlo.
Read MoreIn una sentenza emessa recentemente, la Corte europea per i diritti umani (CEDU) critica la Svizzera per aver voluto rinviare un ragazzo gambiano omosessuale. Questa sentenza dimostra chiaramente l’inadeguatezza della prassi che la Svizzera applica nei confronti dei richiedenti asilo LGBTQI. Nel caso specifico trattasi di un ragazzo gambiano stabilitosi in Svizzera da qualche tempo. Dopo che la sua domanda d’asilo gli è stata negata a più riprese avrebbe dovuto lasciare la Svizzera nel 2018 in seguito alla decisione finale del Tribunale Federale. Nella sua sentenza del 17 novembre 2020 la CEDU ritiene che la decisione di rinviarlo dalla Svizzera ha violato il divieto alla tortura come sancisce l’articolo 3 della Convenzione. Si ritiene che la Svizzera non ha verificato a sufficienza l’incolumità del richiedente in relazione alla sua omosessualità in caso di rinvio nel suo paese d’origine. La CEDU rimprovera in particolare la Svizzera di non aver verificato se le autorità locali sarebbero state disponibili ed in grado di contrastare eventuali pericoli provenienti da situazioni non governative. L’Organizzazione svizzera per l’aiuto ai rifugiati (OSAR) accoglie molto favorevolmente questa sentenza e ritiene che per decidere sul rinvio non è sufficiente valutare solo la situazione giuridica e l’applicazione della legge di un paese ma bisogna anche verificare se i richiedenti l’asilo sono protetti ed al sicuro nei confronti di qualsiasi forma di pericolo anche non governativo e/o privato. Secondo l’OSAR questo caso illustra le carenze generali della Svizzera in materia d’asilo nei confronti delle persone LGBTQI. L’esistenza di leggi che reprimono l’omosessualità nei paesi d’origine dei richiedenti asilo non è sufficiente per ottenere la protezione in Svizzera. Per poterne beneficiare le persone LGBTQI devono poter rendere credibile che il rinvio nei loro paesi d’origine li espone direttamente in pericolo. Le autorità svizzere nelle loro indagini, partono dal presupposto che le persone LGBTQI non hanno nulla di cui temere nei loro paesi d’origine fintanto che “non si fanno notare” e dissimulano il loro orientamento sessuale o la loro identità di genere. OSAR a più riprese ha criticato questo modo di fare delle autorità svizzere. Secondo le direttive internazionali, l’organizzazione fa notare che non si tratta di determinare se le persone in cerca di protezione possono continuare a vivere “discretamente” nei loro paesi d’origine in caso di ritorno, ma quello che potrebbe succeder loro se la loro identità venisse scoperta. L’OSAR considera l’identità sessuale come parte integrante dell’identità della persona e ritiene che essa non debba in alcuna circostanza essere repressa o messa in discussione. Per riconoscere i motivi di fuga degli LGBTQI e garantirne i diritti d’asilo dei richiedenti d’asilo LGBTQI, l’OSAR ed altre organizzazioni hanno stilato, un po’ di tempo fa, una guida per i rappresentanti giuridici. Quest’opera contiene anche dei consigli sull’accoglienza, l’alloggio e la cura dei richiedenti asilo LGBTQI. Fonte: https://www.osar.ch/publications/news-et-recits/renvoi-dun-gambien-homosexuel-la-cedh-reprimande-la-suisse
Read MoreLa violenza fisica e quella psicologica nella testimonianza di una donna, vittima per due volte Due matrimoni: uno segnato dalle botte e l’altro da una forma di maltrattamento psicologico. La violenza contro le donne può manifestarsi in molti modi all’interno di una relazione di coppia. Bruna (che ci ha chiesto di non usare il suo vero nome) è stata due volte una vittima di questo fenomeno. In occasione della giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, ha accettato di raccontare quanto ha patito, per spingere altre potenziali vittime a rompere il silenzio. È stato dopo esserne uscita, per due volte, che la mostra “Parole posate” l’anno scorso ha aperto in lei una nuova breccia. Al centro del lavoro dell’artista ticinese Marco Meier c’era proprio la violenza domestica. Sul libro delle dediche, Bruna aveva lasciato un lungo messaggio firmato, con un suo recapito di posta elettronica. Oggi ci spiega perché e i contorni delle vicende dietro quelle parole. “Le botte puoi nasconderle agli amici, ai parenti, però non a te stessa. Invece con il maltrattamento psicologico rischi per anni di restare in quella situazione e di non capirla nemmeno” ha spiegato alle Cronache della Svizzera italiana. Il primo marito ha alzato le mani una volta sola ed è bastato per dire basta. Bruna era poco più che ventenne e aveva una figlia di pochi mesi, ha sporto denuncia ed è stata ospite di una casa per mamme in difficoltà. Anni dopo si è risposata e solo dopo alcuni anni di matrimonio si è accorta che le critiche che l’allora coniuge le faceva continuamente, controllandola di continuo, non facevano parte di una relazione sana. Minata nell’autostima, ha avuto risvolti anche fisici. “Mi criticava sempre. Controllava tutto di me. Ti distrugge anche più delle botte, me ne sono resa conto solo dopo aver letto molti libri. Ti fa mettere in dubbio chi sei, quello che sai fare, il tuo valore”. Romina Lara Fonte: https://www.rsi.ch/news/ticino-e-grigioni-e-insubria/“Controllava-tutto-di-me”-13631263.html?fbclid=IwAR1QCauCARim3HD24ckFMOC7EcuOoRWD8PlIIuyLDqVgztMGuaUGIfJkFK8
Read MoreConosciuta come la ‘16 Days Campaign‘, la campagna 16 giorni di attivismo contro la violenza di genere promossa dalle Nazioni Unite viene sostenuta da cittadini e organizzazioni in tutto il mondo per promuovere la prevenzione e l’eliminazione della violenza contro le donne e le ragazze. In vista del 25 novembre, Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, DAISI (gruppo Donne Amnesty International della Svizzera Italiana) e la Fondazione Diritti Umani uniscono le proprie forze e aderiscono a questa campagna internazionale per dire NO alla violenza di genere. Mettete anche voi la faccia per dire “Io dico NO! alla violenza sulle donne“: inviateci i vostri selfie taggando @DonneAmnestySvizzera, cambiate la vostra immagine di profilo Facebook e Twitter, usate l’hashtag #25NoV. Sarà un’azione incentrata sulla sensibilizzazione e sulla necessità di un impegno per mettere in luce il fenomeno e attuare misure per prevenirlo e contrastarlo. La campagna 16 giorni di attivismo contro la violenza di genere è un’importante opportunità per evidenziare il problema della violenza di genere, promuovere l’uguaglianza, la non discriminazione e il rispetto dei diritti umani. Immagine Profilo: Immagine Cover: Per informazioni o richieste di interviste:Gabriela Giuria Tasville, Fondazione Diritti Umani Lugano079 444 42 81 – g.giuria@fondazionedirittiumani.ch https://www.facebook.com/DonneAmnestySvizzera https://www.fondazionedirittiumani.ch/ Si può anche aderire alla campagna delle Nazioni Unite, condividendo fotografie, video e messaggi su:facebook.com/SayNO.UNiTE e twitter.com/SayNO_UNiTE e usando gli hashtag #orangetheworld e #16days.
Read MoreLa nave della ONG Open Arms ha soccorso oltre 100 migranti nel Mediterraneo dopo che l’imbarcazione su cui viaggiavano era affondata. Le operazioni di salvataggio erano cominciate nella tarda mattinata e, secondo la ONG, sono terminate un paio di ore fa. Sono state salvate 111 persone e sono stati portati a bordo anche cinque cadaveri. Un bambino di sei mesi è morto a bordo. Open Arms, su Twitter, ha scritto che aveva chiesto per lei e per altre persone in condizioni gravi «un’evacuazione urgente», che però non è arrivata in tempo. Per ora è impossibile dire se ci siano dispersi. I medici a bordo della nave stanno lavorando per soccorrere i casi più gravi. Secondo Repubblica, l’imbarcazione era alla deriva da ieri ed era stata identificata da un aereo di Frontex, la guardia costiera europea. La sua posizione (oltre 50 chilometri a nord di Sabratha, in Libia) era stata segnalata a Open Arms. Riccardo Gatti, presidente di Open Arms Italia, ha detto in un video pubblicato su Twitter che l’imbarcazione sarebbe affondata perché avrebbe ceduto il fondo dello scafo. Secondo Oscar Camps, il fondatore di Open Arms, sulla nave della ONG si trovano attualmente 199 migranti: i 111 salvati oggi più altri salvati ieri. Nella serata di oggi, infine, Open Arms ha soccorso un’altra imbarcazione alla deriva, con 65 persone a bordo. Fonte: https://www.ilpost.it/2020/11/11/open-arms-migranti-naufragio/
Read MoreDick Marty si batte in favore dell’iniziativa per imprese responsabili, sottoposta a votazione federale il prossimo 29 novembre. L’ex procuratore e senatore vuole che le società con sede in Svizzera siano chiamate a rispondere di fronte a un tribunale se con le loro attività all’estero hanno violato i diritti umani o inquinato l’ambiente. Il 29 novembre il popolo svizzero si esprimerà sull’iniziativa “per imprese responsabili”. Il testo propone di aggiungere un articolo nella Costituzione federale affinché le aziende con sede in Svizzera e le ditte da loro controllate rispettino anche all’estero i diritti umani e gli standard ambientali valevoli a livello internazionale. Il parlamento ha elaborato un controprogetto indiretto che entra in vigore se l’iniziativa viene bocciata alle urne, a meno di un’opposizione tramite referendum. In futuro, le aziende sarebbero così chiamate a stilare rapporti riguardanti le questioni ambientali, i diritti umani e la corruzione. Inoltre, il controprogetto impone degli obblighi di dovuta diligenza in materia di lavoro minorile e dei minerali estratti in zone in conflitto. Tuttavia, non fissa nuove regole per quanto riguarda la responsabilità delle imprese. Intervista swissinfo.ch: Signor Marty, le aziende con sede in Svizzera violano spesso i diritti umani o inquinano l’ambiente con le loro attività all’estero? Dick Marty: La maggior parte delle imprese svizzere si comporta in maniera corretta. Solo una minima parte non rispetta le regole. Tuttavia, il loro comportamento ha un impatto negativo sulla popolazione e sull’ambiente locale. Inoltre, le loro violazioni in materia di diritti umani e ambiente rovinano la reputazione della Svizzera e della sua economia. Non siamo l’unico Paese confrontato con questo problema. Ci sono cause pendenti in Gran Bretagna, Canada, Paesi Bassi e Francia. La Svizzera è però lo Stato con la più alta concentrazione di sedi di multinazionali. Con la vostra iniziativa è possibile cambiare questo stato di cose? Nel corso della mia vita ho avuto la fortuna di visitare vari Paesi. A sconvolgermi è stata la constatazione che negli Stati particolarmente ricchi di risorse minerarie si registra il tasso di povertà e di violenza più elevato al mondo e i cittadini non sono protetti dai loro governi. Questa ricchezza è trasferita in Occidente e la popolazione resta a mani vuote. Soprattutto coloro che subiscono dei danni causati dalle multinazionali straniere non hanno la possibilità di rivolgersi alla giustizia perché nel loro Paese non funziona o è corrotta. Due recenti sentenze della Corte suprema britannica vanno proprio nella direzione auspicata dalla nostra iniziativa. Visto che i cittadini della Zambia non hanno accesso alla giustizia, è giusto che possano chiamare in giudizio per danni la società in Gran Bretagna, dove ha sede la casa madre. Si tratta di una causa civile che non chiamerebbe in causa la Confederazione. Si tratterebbe di un affare tra un cittadino che ha subito un torto in qualsiasi parte del mondo e l’azienda che ha sede in Svizzera. Le denunce possono riguardare unicamente le violazioni dei diritti umani o degli standard riconosciuti a livello internazionale in materia di protezione dell’ambiente. Crede che in gioco ci sia anche il buon nome della Svizzera all’estero? La politica svizzera sembra sia incapace di prevedere i problemi. Ci sono vari esempi: il riciclaggio di denaro sporco, i beni in giacenza, la Swissair, l’UBS e il segreto bancario. Fino alla fine abbiamo sostenuto il regime dell’apartheid in Sud Africa. Eppure c’erano segnali molto chiari dell’imminenza della crisi. Non abbiamo mai reagito in tempo e così l’immagine della Svizzera è stata gravemente compromessa. È la ragione per cui mi indigno oggi, tenendo anche conto che l’ONU, l’OCSE e il Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa chiedono agli Stati di adottare misure legislative per rendere responsabili le società multinazionali per le loro attività ovunque nel mondo. Per essere sostenibile, un’economia non può perseguire solo il profitto. Martin Luther King ci ha ricordato che “un’ingiustizia commessa in qualsiasi parte del mondo è una minaccia per la giustizia ovunque”. Fonte: https://www.swissinfo.ch/ita/votations-du-29-novembre—entreprises-responsables_-se-ignoriamo-i-diritti-umani-per-essere-competitivi–abbiamo-perso-ogni-dignità-/46135208
Read MoreLa pandemia di COVID-19 ha dato vita, fin dal principio, ad una nuova ondata di incitamento all’odio e con esso, di discriminazione. Il discorso d’odio che proviene dal COVID-19 comprende una vasta gamma di espressioni denigratorie antisemite, in particolare contro cinesi e asiatici individuati come colpevoli di quanto sta avvenendo a livello globale. In relazione a questo, Fernand de Varennes, il Relatore Speciale delle Nazioni Unite per le Minoranze, ha affermato, nel cuore dell’emergenza sanitaria, come la pandemia di COVID-19 non sia solo una problematica sanitaria, ma anche un virus che incentiva la xenofobia, l’odio e l’esclusione. Human Rights Watch riprende quanto detto da de Varennes, sostenendo che tale problematica peggiori dal momento che, spesso, gli stessi leader politici incoraggiano, direttamente o indirettamente, l’odio e il razzismo, utilizzando una retorica “anti-Cinese”. Questa scheda mira ad analizzare e testimoniare questo aumento repentino dei casi di hate speech contro cinesi e asiatici, e come la cosiddetta tossicità dell’ internet stia “contagiando” bambini e adolescenti. Inoltre, verranno ripercorse le raccomandazioni che le Nazioni Unite hanno stilato per garantire che la preoccupazione del diffondersi e dell’uso dell’hate speech venga affrontata in modo efficace, sia a livello nazionale che globale, assicurando una risposta completa alla pandemia di COVID-19. L1ght, una start-up dell’AI (Start-up nel mercato dell’Intelligenza Artificiale) nata nel 2018 che rileva e filtra i contenuti tossici online per proteggere i bambini, ha registrato un aumento del 900% nel fenomeno dell’hate speech nei confronti dei cinesi, e del 40% nella tossicità online tra adolescenti e bambini. Nello studio intitolato “Rising Levels of Hate Speech & Online Toxicity During This Time of Crisis”, L1ght attribuisce l’aumento dell’incitamento all’odio online al fatto che sempre più persone siano, a causa della pandemia, costrette in casa, avendo quindi più tempo da spendere online. La start-up riporta quindi: Una diffusione di tweets contenenti hate speech, principalmente contro i cinesi e più in generale contro gli asiatici. Chi incita all’odio approfitta dell’incertezza e della crescente tensione che dominano in questo periodo per suscitare comportamenti discriminatori, utilizzando un linguaggio di esplicita accusa contro gli asiatici. Tra gli Hashtags più comuni, L1ght individua #chinaliedpeopledied, #kungflu, #communistvirus, #Whuanvirus, #chinesevirus. Figura 1. Tweet #ChinaLiedPeopleDied Figura 2. Tweet #chinaliedpeopledied, #kungflu, #communistvirus, #Whuanvirus, #chinesevirus Una maggiore ricerca di siti che diffondono l’odio in rete. In particolare, L1ght registra un aumento del 200%. Una crescita del 70% dell’hate speech tra gli adolescenti e i bambini. Una crescita della tossicità online fra i “gamers” del 40%. A maggio 2020, il Segretario Generale delle Nazioni Unite, António Guterres, ha lanciato, infatti, un appello contro l’hate speech, in cui richiede uno sforzo globale a leader politici, istituzioni educative, media e attivisti della società civile, per mettere fine all’incitamento all’odio. In particolare, egli si rivolge ai leader politici chiedendo di mostrare solidarietà nei confronti dei membri della società e di costruire così un clima di coesione sociale. Alle istituzioni educative, invece, chiede di garantire a bambini e ragazzi un’alfabetizzazione digitale. Ai media richiede un maggiore controllo dei contenuti messi in rete, mettendo in pratica un processo di censura di tutti quei contenuti razzisti, misogini e quindi dannosi. Infine, Guterres spinge la società civile a svolgere un lavoro maggiore nel raggiungere le persone più vulnerabili. Con questo obiettivo, le Nazioni Unite hanno quindi redatto un documento intitolato “United Nations Guidance Note on Addressing and Countering COVID-19 related Hate Speech” pubblicato in data 11 Maggio 2020. Questo documento parte proprio dalla premessa che fin dall’inizio della pandemia, individui considerati etnicamente cinesi o asiatici, o coloro che appartengono ad una determinata minoranza religiosa o etnica, migranti e stranieri siano stati accusati e diffamanti per la diffusione del virus. Fonte: https://unipd-centrodirittiumani.it/it/schede/Hate-Speech-e-COVID-19-la-pandemia-dellodio-online/456
Read MoreDeportazioni nei campi di concentramento, sterilizzazioni forzate, matrimoni combinati. Settembre 2019. Un video girato da un drone e postato su YouTube sconvolge l’opinione pubblica internazionale. La registrazione ritrae centinaia di uomini bendati, rasati, fatti inginocchiare in una stazione e costretti da gruppi armati di polizia a salire su dei treni. Le immagini sembrano provenire da un altro mondo o da un’altra epoca, invece sono state girate in Cina, nel ventunesimo secolo. Le persone inginocchiate sono uiguri, un’etnia turcofona di religione musulmana che vive nello Xinjiang, regione situata nell’ex Turkestan orientale, a nord-ovest del Paese. Perché quegli uomini sono bendati e rasati? Dove sono diretti i treni su cui vengono obbligati a salire? Quando, durante uno show televisivo della BBC, il conduttore pone queste domande all’ambasciatore cinese nel Regno Unito, Liu Xiaoming, quest’ultimo non risponde. “Non so da dove provenga questo video”, si limita a commentare, laconico. Ma una serie di inchieste, articoli di prestigiose testate e testimonianze dirette rivelano una verità agghiacciante. E’ in atto una persecuzione di massa, in Cina, e le vittime sono milioni di donne, uomini e bambini appartenenti ad un’etnia con un nome difficile da pronunciare (e quindi da ricordare) per chi vive in Europa. Le testimonianze dei sopravvissuti – quelle, però – una volta sentite non si dimenticano facilmente. «Chiunque ascolti un testimone, diventa testimone» ha affermato Kelley Currie, ambasciatrice generale per i diritti delle donne presso le Nazioni Unite durante un panel online organizzato da Campaign For Uyghurs. Fonte: https://www.tio.ch/dal-mondo/attualita/1463303/campi-xinjiang-cina-cinese-uiguri-zumrat-interno-donne-genocidio-uigura Per maggiori approfondimenti Intervista Isa Dolkunll FFDUL è onorato di poter dare spazio alla voce e alla testimonianza di ISA DOLKUN, presidente del World Uyghur Congress (organizzazione che denuncia il genocidio in corso nello Xinjiang), presente per un incontro con il pubblico in occasione della proiezione, in prima svizzera, del film WE HAVE BOOTS di Evans Chan, che narra i primi movimenti di protesta ad Hong Kong.
Read Moredi Pierre Haski Una delle principali debolezze dell’Europa è la sua incapacità di prendere decisioni rapide e forti sui temi esterni che la riguardano, e di far rispettare i valori che professa. Il 16 settembre, nel suo primo discorso sullo “stato dell’Unione”, la presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen ha affrontato l’argomento in modo risoluto, con un annuncio e una sfida lanciata agli stati. L’annuncio risponde a una richiesta avanzata diversi anni fa durante un voto al parlamento europeo: l’adozione di una “legge Magnitskij” europea. Si tratta di una norma statunitense del 2012 che porta il nome di Sergej Magnitskij, un avvocato russo impegnato nella lotta contro la corruzione e morto in un carcere russo nel 2009. La legge ha permesso di sanzionare tutte le persone legate alla morte di Magnitskij e di evitarne l’impunità. Da allora la norma è stata ampliata e usata in diversi contesti, per esempio nei confronti dei funzionari sauditi coinvolti nella morte del giornalista Jamal Khashoggi. Una svolta evidenteUna legge di questo tipo permetterebbe all’Europa di agire in un caso come quello dell’avvelenamento dell’oppositore russo Aleksej Navalnyj (vittima del Novichok, un prodotto sviluppato dallo stato russo) o di affrontare con decisione la repressione in Bielorussia. La presidente della Commissione ha inoltre fatto riferimento alla situazione di Hong Kong e alla sorte degli uiguri nell’ovest della Cina, lasciando intravedere sanzioni mirate contro il regime cinese. Si tratta evidentemente di una svolta per l’Unione europea, ormai ridotta al silenzio in materia di difesa dei diritti umani. Ursula Von der Leyen ha deciso di lanciare una sfida ai 27: passare dall’unanimità a una maggioranza qualificata per le decisioni legate ai diritti umani o all’imposizione di sanzioni. I 27 sono davvero pronti a compiere questo passo? È una domanda ragionevole, perché la principale debolezza dell’Unione è interna. Il 16 settembre Ursula Von der Leyen ha invitato l’Europa a cambiare orientamento quando si tratta del rispetto dei valori. Secondo la presidente l’Unione non può tollerare “zone senza lgbt” come quelle proclamate in alcune località polacche. Nel contesto delle varie sfide che attendono l’Europa, dalla pandemia con le sue conseguenze economiche alla transizione ecologica e alla sovranità tecnologica, questo soffermarsi sui valori e la difesa dei diritti umani ha un grande significato simbolico. Resta da capire se l’Europa sarà capace di diventare una potenza completa e soprattutto di agire come tale. (Traduzione di Andrea Sparacino) Fonte: https://www.internazionale.it/opinione/pierre-haski/2020/09/17/von-der-leyen-diritti-umani
Read MoreNel mondo, almeno 3’000 professionisti del settore sanitario hanno pagato con la propria vita gli sforzi per far fronte alla pandemia. Anche in Svizzera il personale sanitario ha lavorato sotto pressione, a volte in condizioni difficili. In una lettera aperta comune – già co-firmata dai sindacati VPOD/SSP e UNIA e dall’associazione professionale ASI – Amnesty chiede al Consiglio federale di ordinare una perizia indipendente della crisi del Coronavirus. Quest’ultima dovrebbe evidenziare le conseguenze della pandemia sul personale sanitario e fare chiarezza sulla gestione della crisi da parte del governo. Secondo le stime disponibili, oltre 230’000 lavoratori e lavoratrici del settore sanitario sono stati contagiati dal Covid-19 nel mondo fino al mese di luglio 2020. Ricerche svolte da Amnesty rivelano che oltre 3’000 di loro hanno pagato con la propria vita gli sforzi per arginare la pandemia. “Molti hanno dovuto e devono tuttora lavorare senza materiale di protezione sufficiente e con miseri salari. In diversi paesi, dei professionisti del settore sanitario che hanno criticato la gestione della crisi da parte del governo hanno subito sanzioni, sono stati licenziati o perfino incarcerati,” spiega Pablo Cruchon, coordinatore della campagna per Amnesty International Svizzera. Anche in Svizzera, i professionisti del settore sanitario sono stati particolarmente esposti al virus e hanno dovuto fare prova di grande impegno e flessibilità in un contesto di crisi e incertezza inedito. Attualmente però non esistono dati affidabili sulle conseguenze della pandemia sul personale sanitario. “Per definire le misure suscettibili di meglio proteggere il personale sanitario di fronte al virus in futuro, è necessario avere dei dati affidabili. Dobbiamo sapere quante persone impiegate nel settore sanitario hanno contratto il virus al lavoro e se tra queste delle persone sono decedute. Dei dati di questo genere dovrebbero anche stabilire in quale misura il Coronavirus è stato considerato una malattia professionale quando il virus è stato contratto sul luogo di lavoro, e rivelare la natura del sostegno offerto alle persone infettate,” si legge nella lettera. Per migliorare le misure di protezione dei professionisti del settore sanitario in vista di una possibile nuova ondata nel nostro paese, Amnesty International e le organizzazioni partner chiedono al Consiglio federale di ordinare una perizia indipendente dell’impatto della crisi sul personale sanitario e sulle persone di origine straniera impiegate in queste professioni, che dovrebbe pure integrare una prospettiva di genere e legata all’origine del personale. Fonte: https://www.amnesty.ch/it/campagne/la-nostra-salute-i-loro-diritti/garantire-i-diritti-del-personale-sanitario Per maggiori approfondimenti Il manifesto di Amnesty a sostegno del personale sanitario
Read Moredi MAZZUCCO LEONARDO JACOPO MARIA L’ascesa al trono saudita di Salman bin Abdulaziz e la nomina di suo figlio Mohammed bin Salman (MbS) alla carica di principe ereditario, avvenute rispettivamente nel 2015 e nel 2017, hanno segnato l’avvio di una stagione di progressiva liberalizzazione dei diritti delle donne in Arabia Saudita. Sebbene le riforme introdotte negli ultimi anni abbiano segnato un innegabile miglioramento della condizione dei diritti delle donne, non si può negare che delle forti criticità continuino ad ostacolare un pieno riconoscimento della donna quale cittadino pari ed eguale all’uomo. In primo luogo, bisogna evidenziare come i decreti, per quanto rappresentino un’iniziativa di rinnovamento, restino il risultato concesso, controllato e circoscritto di una decisione politica assunta ed implementata da parte dell’élite governativa saudita che non coinvolge minimamente i movimenti sociali legati all’attivismo femminista. A conferma di ciò vi è l’esempio delle decine di attiviste legate al “Women to Drive Movement”, come Loujain al-Hathloul, Aisha Al-Mana ed Madeha al-Ajroush, le quali sono state arrestate nel maggio 2018 con l’accusa di “tentare di destabilizzare la monarchia” e che restano tuttora in carcere. In secondo luogo, per quanto le riforme abbiamo introdotto delle importanti novità nella struttura sociale e civile saudita, queste ultime spesse volte si limitano a rimanere sul piano dei proclami formali e non si traducono in politiche concrete. Fonte: http://www.mondopoli.it/2020/07/24/i-diritti-delle-donne-in-arabia-saudita-tra-riforme-ed-immobilismo/ PER MAGGIORI APPROFONDIMENTI “Boxed In: Women and Saudi Arabia’s Male Guardianship System” di Human Rights Watch, 2016.
Read MoreLa norma punisce gli atti di sovversione, secessione, terrorismo e collusione con le forze straniere compiuti nell’ex colonia britannica. L’attivista Joshua Wong lascia la leadership di Demosisto per il timore di essere uno dei “primi bersagli” di Pechino di FILIPPO SANTELLI PECHINO – La legge sulla sicurezza nazionale per Hong Kong è stata approvata. Secondo diversi media locali i 162 membri del comitato permanente dell’Assemblea nazionale del popolo di Pechino, versione cinese del parlamento, hanno dato il via libera alla contestata norma questa mattina, all’unanimità. La legge, il cui testo dovrebbe essere reso noto nelle prossime ore, punisce gli atti di sovversione, secessione, terrorismo e collusione con le forze straniere compiuti nell’ex colonia britannica. Una procedura lampo, a conferma della volontà di Pechino di riaffermare il proprio controllo su Hong Kong. Una prima conseguenza è stato l’annuncio, a poche ore dall’approvazione, dell’abbandono di Joshua Wong del suo ruolo di leader del gruppo Demosisto, motivato proprio con il timore di essere uno dei “primi bersagli” della nuova legge. Poi, su Twitter, Wong ha lanciato il suo messaggio: è “la fine della Hong Kong che il mondo conosceva. Con poteri spazzati via e una legge indefinita, la città diventerà uno Stato di polizia segreta”. Fonte: https://www.repubblica.it/esteri/2020/06/30/news/hong_kong_la_cina_approva_la_legge_sulla_sicurezza_nazionale-260560316/
Read MoreApple, Dell, Microsoft e Tesla sono alcune aziende citate in causa per la morte di bambini nelle miniere di cobalto della Repubblica Democratica del Congo. La ong per i diritti umani International rights advocates rappresenta quattordici famiglie congolesi in una causa storica alla corte distrettuale di Washington, negli Stati Uniti, contro le aziende di tecnologia più importanti del mondo. Le famiglie rappresentate sostengono che i loro bambini siano stati uccisi o menomati mentre lavoravano in miniera per estrarre una sostanza chimica molto costosa chiamata cobalto, utilizzata per alimentare smartphone, computer e batterie di auto elettriche. Sono state chiamate in causa aziende del calibro di Apple, Aphabet (l’azienda madre di Google), Dell, Microsoft e Tesla. Lavoro minorile e morti di bambini nella causa contro i giganti tech Nella causa la ong International rights advocates sostiene che “il processo di produzione sia volontariamente nascosto per permettere ai partecipanti di trarre beneficio economico dall’uso di cobalto estratto in condizioni estremamente pericolose da bambini disperati, obbligati a fare lavori molto pericolosi senza attrezzatura di sicurezza di alcun tipo”. Una querelante (anonima) identificata come Jane Doe 1 afferma di essere la custode legale di suo nipote, James Doe 1, che ha iniziato a lavorare a quindici anni come “mulo umano”, trasportando sulla schiena sacchi da più di trenta chili di roccia contenente cobalto per 70-95 centesimi di dollari al giorno. James Doe 1 è morto mentre stava lavorando nel tunnel di una miniera. Mentre altri bambini avevano iniziato a correre perché spaventati da alcuni soldati che stavano entrando, James Doe 1 aveva iniziato a gattonare per cercare di uscire, ma il tunnel è collassato uccidendolo sul colpo. Un altro bambino, identificato come John Doe 1, dice di avere iniziato al lavorare in miniera quando aveva nove anni. Nella causa si sostiene che nel 2019 lavorasse come mulo umano per la Kamoto Copper Company, trasportando sacchi di pietre contenenti cobalto per 75 centesimi al giorno quando è caduto in un tunnel. John Doe 1 sostiene che dopo essere stato trascinato fuori da altri lavoratori, è stato lasciato da solo sul suolo dell’area di estrazione finché i suoi genitori non hanno saputo dell’incidente e sono venuti ad aiutarlo. John Doe 1 ora è paralizzato dal petto in giù e non camminerà mai più. Un altro querelante sostiene di aver lavorato in miniere di proprietà della Zhejiang Huayou Cobalt, una importante impresa cinese, che, sempre secondo il testo della causa, rifornisce Apple, Dell e Microsoft e altre compagnie menzionate nella causa. Eliminare il lavoro minorile nelle miniere Il governo della Rdc afferma di star cercando di fermare la presenza di bambini nelle miniere artigianali di cobalto e si impegna ad eliminare il lavoro minorile nel settore minerario entro il 2025. Questa nuova strategia viene considerata una risposta diretta al rapporto di Amnesty International pubblicato l’anno scorso, nel quale sono state rivelate le violazioni dei diritti umani celate dietro al commercio di cobalto. Senza un controllo appropriato la fame mondiale di tecnologia continuerà ad alimentare la domanda di cobalto e i bambini poveri in Congo continueranno a morire. Questa causa dà voce alle loro sofferenze e getta un barlume di speranza perché sia fatta finalmente giustizia. Fonte: https://www.lifegate.it/miniere-di-cobalto-congo-causa
Read MorePioniera nel riconoscimento delle coppie omosessuali, la Svizzera oggi è in ritardo rispetto ad altri Paesi europei in fatto di diritti delle persone LGBTIQ (lesbiche, gay, bisessuali, transessuali, intersessuali e queer). di Katy Romy La più recente piccola vittoria per la comunità LGBTIQ risale al 9 febbraio 2020. Gli svizzeri hanno votato chiaramente a favore del perseguimento penale della discriminazione basata sull’orientamento sessuale, alla stessa stregua del razzismo. Nonostante i continui progressi nell’accettazione dell’omosessualità nella società, l’omofobia rimane ancora un problema in Svizzera. Persone della comunità LGBTIQ sono tuttora vittime di discriminazioni, attacchi verbali e fisici basati sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere. “La particolarità dell’omofobia e della transfobia è che il sentimento di rigetto può nascere in seno alla famiglia stessa”, spiega Caroline Dayer, esperta di questioni di genere e di uguaglianza. Negli ultimi anni sono state avviate azioni per combattere l’omofobia, in particolare nelle scuole. Si tratta spesso di iniziative private basate sul volontariato, come quella dell’associazione bernese ABQ. La Svizzera un tempo era all’avanguardia in termini di diritti LGBTIQ. Ha depenalizzato l’omosessualità nel 1942, quando la repressione contro gli omosessuali era la normalità negli Stati vicini. Nel 2007, quando ha introdotto l’unione registrata, è diventato il primo Paese al mondo in cui il riconoscimento delle coppie omosessuali è stato concesso direttamente e in modo chiaro (il 58% dei votanti) dal popolo. Dal gennaio 2018, gli omosessuali hanno il diritto di adottare il figlio del loro partner. Tuttavia, l’unione registrata non pone gli omosessuali e gli eterosessuali su un piano di parità. Questa unione civile non consente alle coppie dello stesso sesso di adottare figli o di ricorrere alla procreazione medicalmente assistita (PMA). La Svizzera ha compiuto un passo storico in giugno: la Camera del popolo (camera bassa) si è espressa in favore del matrimonio per tutti e dell’accesso alla donazione di sperma per le coppie lesbiche. Ma il cammino è ancora lungo, visto che la Camera dei Cantoni deve ancora pronunciarsi e che un voto popolare non è da escludere. La Svizzera potrebbe tuttavia recuperare il suo ritardo sui suoi vicini europei… Fonte: https://www.swissinfo.ch/ita/lgbtiq–le-mentalità-evolvono-faticosamente-in-svizzera/45810706
Read MoreNel Rapporto annuale rende omaggio a chi difende i propri diritti, ma si denunciano abusi e violazioni di Fabio Caironi LONDRA/LUGANO – Amnesty International ha pubblicato il proprio Rapporto annuale sui diritti umani in Europa per il 2019. Da un lato l’organizzazione con sede a Londra rende omaggio alle persone che sono scese in strada per difendere i propri diritti e quelli degli altri. Allo stesso tempo, Amnesty International ha avvertito che le violazioni dei diritti umani continuano a verificarsi in tutta la regione, senza che i governi siano chiamati a risponderne. Critiche alla Svizzera – Anche la Svizzera non viene risparmiata dalle critiche, in primis per quanto riguarda la nuova procedura di asilo accelerata. «Nessun sistema affidabile è stato messo in funzione per individuare a monte i richiedenti vulnerabili, come pure i loro bisogni in materia di procedura e di alloggio». I richiedenti asilo hanno faticato ad accedere a cure mediche specialistiche, mentre le persone che cercavano di venire loro in aiuto hanno incontrato limitazioni di accesso ai Centri federali. Il Regolamento di Dublino è stato applicato rigidamente dalle autorità elvetiche, prosegue Amnesty International: persone vulnerabili o con parenti residenti in Svizzera sono state regolarmente inviate verso il primo paese di entrata in Europa. Ma non c’è solo questo. Un’indagine sulla diffusione delle molestie e delle violenze sessuali ha rivelato che il 22% delle donne di età superiore ai 16 anni hanno subito atti sessuali non desiderati nella loro vita. Amnesty International ha chiesto una riforma del diritto penale per fare in modo che lo stupro sia definito sulla base dell’assenza di reciproco consenso, conformemente alle norme internazionali in materia di diritti umani. Attualmente, la definizione dello stupro nella legislazione penale svizzera rimane basata sulla violenza, le minacce di violenza o altri mezzi di coercizione. Infine, le leggi antiterrorismo che dovrebbero essere adottate nel corso dell’anno. «Permettendo alle autorità di limitare fortemente le libertà individuali sulla base non degli atti di una persona ma di ciò che potrebbe eventualmente commettere in futuro, la legislazione antiterrorismo proposta apre la porta a ogni genere di abusi. Queste misure, di cui alcune potrebbero essere applicate a bambini a partire dai 12 anni, non sono accompagnate da garanzie sufficienti, fatto che potrebbe sfociare in una messa in atto arbitraria e discriminatoria». Fonte:https://www.tio.ch/svizzera/attualita/1431922/diritti-international-amnesty-svizzera-violazioni-europa
Read Moredi Ahmet Insel Centinaia, forse migliaia, di profughi sono presi in ostaggio da Turchia, Grecia e Unione europea nella terra di nessuno alla frontiera turco-greca. Le forze dell’ordine greche, sostenute dal personale di Frontex e da alcuni abitanti del luogo, si sforzano di respingere questi richiedenti asilo verso l’altra sponda del fiume Evros, a colpi di gas lacrimogeni, bastonate e umiliazioni multiple, ricorrendo talvolta a spari con pallottole vere. Ci sarebbero alcuni feriti gravi e uno o due morti tra i profughi, ma le informazioni sono difficilmente verificabili poiché le autorità rendono impossibile il lavoro dei giornalisti da entrambi i lati della frontiera. Dal lato turco vari giornalisti sono stati imprigionati per aver diffuso reportage e immagini relative a quest’ennesimo dramma umano alle porte dell’Europa. La prima vittima collaterale di questo dramma umano è una delle più grandi conquiste del diritto umanitario internazionale. In seguito alla decisione della Grecia, con il sostegno dell’Unione europea, di sospendere l’accettazione di qualsiasi domanda d’asilo, la convenzione di Ginevra del 1951 è di fatto sepolta. Ormai qualsiasi paese, riferendosi a questa “legittimità internazionale” creatasi grazie alla benedizione garantita dall’Ue, potrà prendere una decisione simile e respingere lontano dalle sue frontiere i richiedenti asilo. Fonte:https://www.internazionale.it/opinione/ahmet-insel/2020/03/10/profughi-siriani-ostaggio-turchia
Read MoreAnche in Svizzera lesbiche, gay e bisessuali saranno finalmente protetti da odio e discriminazione. Con la maggioranza dei voti favorevoli, i votanti svizzeri hanno approvato l’estensione della norma penale antirazzismo per includere anche l’orientamento sessuale – secondo Amnesty un passo importante verso una protezione estesa dei diritti della comunità LGBTI*. Negli ultimi anni la Svizzera ha perso posizioni nella classifica riguardo l’atteggiamento nei confronti della co- munità LGBTI*, collocandosi al 27esimo posto su 49 paesi europei. Questo anche perché la Svizzera rimaneva uno dei pochi paesi in Europa a non prevedere una legislazione specifica per la protezione dal hate speech nei confronti delle persone LGBTI*. La decisione presa oggi dall’elettorato svizzero modifica almeno in parte la situazione: le diffamazioni, gli appelli pubblici all’odio e alla discriminazione basati sull’orientamento sessuale saranno punibili, ma l’identità di genere purtroppo non è ancora coperta dalla norma penale estesa. Amnesty si è impegnata nella campagna in favore del SI perché gli appelli pubblici all’odio e alla violenza, la denigrazione generalizzata e la discriminazione sono una violazione della dignità delle persone colpite e non un’espressione del diritto alla libertà di espressione. Le discussioni e le opinioni critiche, per esempio sulla questione del matrimonio omosessuale, non saranno influenzate dall’estensione dell’articolo penale – questo è stato perfettamente dimostrato dall’esperienza con la norma penale antirazzismo in vigore dal 1995. Fonte: https://www.amnesty.ch/it/news/2020/svizzera-amnesty-saluta-il-201csi201d-alla-protezione-da-odio-e-discriminazione-omo-e-bi-sessuali
Read MoreROMA – Attivisti per i diritti umani del Somaliland, Stato auto-proclamato indipendente dell’Africa orientale, che non ha alcun riconoscimento della comunità internazionale, formato dalle province settentrionali della Somalia, hanno confermato l’esecuzione dei sei detenuti nella prigione di Mandheera, situata nella capitale Hargeisa. Il funzionario del Somaliland Human Rights Center, Guleid Ahmed Jama, ha detto che i sei sono stati giustiziati il 15 gennaio mattina. Lo si apprende dal portale di “Nessuno Tocchi Caino”. Secondo l’attivista per i diritti umani, questa esecuzione è la prima per un caso relativo ad Al-Shabaab in Somaliland dal 2016.Il Somaliland, ufficialmente la Repubblica del Somaliland, è considerato a livello internazionale come una regione autonoma della Somalia. BIELORUSSIA Un colpo alla nuca: emesse le prime 2 condanne del 2020. Il tribunale regionale di Mogilev il 10 gennaio 2020 ha condannato a morte due fratelli, di 19 e 21 anni, che sono stati giudicati colpevoli di aver commesso un omicidio in modo particolarmente violento, ha reso noto il Centro per i Diritti Umani Viasna. La Bielorussia è l’unico paese europeo che applica la pena di morte. Il metodo d’esecuzioni è il seguente: il condannato viene bendato, costretto a inginocchiarsi e ad aspettare circa 2 minuti prima che il boia lo finisca con un colpo alla nuca sparato con una pistola. I due fratelli giustiziati. Sono stati giustiziati due fratelli, Ilya Kostin e Stanislav Kostin, in un’udienza fuori sede a Cherikov. Sono stati accusati di aver ucciso la loro insegnante, che era anche loro vicina, dando fuoco alla sua casa”, ha detto il Centro. Nell’aprile 2019, mentre spegnevano un incendio in una casa a Cherikov, gli addetti dei servizi di emergenza trovarono il corpo della sua proprietaria di 47 anni. Numerose ferite da taglio furono trovate sul cadavere. I presunti autori dell’omicidio furono identificati poco dopo; erano due fratelli con precedenti penali, di 19 e 21 anni, che avevano litigato con la donna il giorno prima. ARABIA SAUDITA 184 giustiziati nel 2019. L’Arabia Saudita ha messo a morte 184 persone nel 2019, il numero più alto in un anno solare da sei anni, ha reso noto l’organizzazione per i diritti umani Reprieve, definendola una “tragica pietra miliare” per il Regno. Delle esecuzioni annunciate dall’agenzia di stampa saudita l’anno scorso, 88 sono state di cittadini sauditi, 90 di cittadini stranieri mentre sei persone erano di nazionalità sconosciuta, secondo quanto dichiarato da Reprieve il 13 gennaio 2020. Il gruppo per i diritti ha riferito che 37 persone sono state messe a morte dal governo saudita in un solo giorno il 23 aprile, inclusi tre prigionieri che erano minorenni quando hanno commesso i loro presunti reati. “Questa è un’altra tragica pietra miliare per l’Arabia Saudita di Mohammed bin Salman – ha detto la direttrice del gruppo per i diritti, Maya Foa – i sovrani del Regno credono chiaramente di avere totale impunità nel violare il diritto internazionale quando pare a loro”. La dichiarazione di Reprieve ha sottolineato che il principe ereditario saudita aveva dichiarato, in un’intervista televisiva nel 2018: “Abbiamo cercato di ridurre al minimo la pena di morte. Ci vorrà un anno, forse un po’ di più, per porre fine. Non ci riusciremo al 100%, ma la ridurremo notevolmente”. Fonte: https://www.repubblica.it/solidarieta/diritti-umani/2020/01/18/news/pena_di_morte-246076739/ Per approfondimenti visita il portale: “Nessuno Tocchi Caino“
Read MoreGiornata internazionale dei Diritti Umani dedicata all’importante impegno dei volontari attivi per dare un’accoglienza calorosa e dignitosa alle persone migranti. Con noi: Giorgia Linardi, portavoce di Sea-Watch in Italia, Lisa Bosia e Daniele Biella. Proiezione del documentario svizzero Volontaires, di Chloé Seyssel.
Read MoreQuesta brochure descrive i diritti e la situazione giuridica delle persone LGBT* in Svizzera. Le specificità cantonali si riferiscono alle leggi del Cantone Ticino (in particolare per quanto riguarda la procedura). Le risposte fornite sono valide per l’intera Svizzera, a meno che sia indicato il contrario.
Read MoreLa versione digitale della brochure è ora disponibile per scaricare qui programma 18h00 Saluti istituzionaliProfessoressa Daniela MondiniProrettrice per la ricerca nelle scienze umane e per le pari opportunità USI 18h15 Introduzione tematica Avv. Prof. Paolo Bernasconi Dr.h.c.Fondazione Diritti Umani 18h25 Saluti Law Clinic GinevraNesa ZimmermannCo-responsabile Law Clinic sui diritti delle persone vulnerabili 18h30 Intervento in videoconferenza di Lorena PariniProfessoressa associata all’Università di Ginevra e Direttrice dell’Istituto di Studi di Genere 19h00 Tavola rotonda con:Valerie DebernardiFondazione Diritti Umani, e alunna della Law Clinic sui diritti delle persone vulnerabiliImbarco ImmediatoManuele BertoliDirettore del Dipartimento dell’educazione, della cultura e dello sport 19h30 – 19h45 Saluti conclusivi Modera Philip Di SalvoGiornalista e ricercatore post-doc presso l’Istituto di media e giornalismo dell’Università della Svizzera italiana Segue rinfresco Scarica programma come immagine Scarica programma in formato PDF Scarica la brochure in formato PDF
Read MoreLe violenze sessuali sono molto più diffuse in Svizzera di quanto lo si creda. Almeno una donna su cinque di un’età superiore ai 16 anni ha subito degli atti sessuali non consensuali e più di una donna su dieci ha avuto un rapporto sessuale contro la sua volontà. Questo l’esito di un’indagine rappresentativa condotta dall’istituto gfs.bern su mandato di Amnesty International e che ha coinvolto circa 4’500 donne.
Read MoreI Film del Festival 2019 Con i film dell’edizione 2019 ci avvicineremo alle devastanti conseguenze delle guerre e all’oblio ingiustificato verso conflitti in corso ma oscurati. Ogni titolo descrive una preoccupante condizione dell’umanità, che spesso causa fughe disperate, l’abbandono delle proprie radici e, alla lunga, lo smarrimento della propria identità. Il Festival Diritti Umani cresce grazie alla condivisione con altre realtà che operano per la salvaguardia dei diritti umani. Sinergie con altri festival per far circolare opere che raccontano l’orrore per la guerra e la difficile strada per la pace.
Read MoreNel Mediterraneo si è passati da un decesso ogni 38 arrivi nel 2017 a uno ogni 14 l’anno scorso MADRID / GINEVRA – In termini assoluti, il numero dei migranti morti nel Mediterraneo centrale è più che dimezzato nel 2018 rispetto al 2017. Il tasso di mortalità in mare rispetto agli arrivi, tuttavia, è salito drasticamente: lungo la rotta Libia-Europa si è passati da un decesso ogni 38 arrivi nel 2017 a uno ogni 14 l’anno scorso. Il bilancio delle vittime è stato particolarmente pesante nel Mediterraneo occidentale, lungo la rotta verso la Spagna, dove il numero dei morti è quasi quadruplicato nel 2018 rispetto al 2017. È quanto emerge dal rapporto dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) intitolato ‘Viaggi disperati’ e anticipato da ‘Repubblica’. Il rapporto rivela inoltre che in seguito ad un rafforzamento delle attività della Guardia Costiera libica, l’85% dei migranti tratti in salvo o intercettati nella cosiddetta Regione Libica di Ricerca e Salvataggio (SRR) sono stati portati in Libia, dove sono stati soggetti a «incarcerazione in condizioni spaventose». Per questo, un maggior numero di barconi hanno cercato di oltrepassare la SRR libica per sfuggire alla Guardia Costiera del Paese facendo rotta verso Malta o l’Italia. Fonte: https://www.tio.ch/dal-mondo/attualita/1349270/migranti-aumenta-il-tasso-di-mortalita-in-mare
Read More90 anni compiuti il 7 dicembre, Noam Chomsky rimane forse il più noto e più influente intellettuale a livello mondiale. In occasione del suo compleanno, il grande linguista e politologo ha concesso un’intervista a Roberto Antonini in cui affronta alcune delle grandi questioni della nostra epoca: ambiente, disuguaglianze, crescita del sovranismo e dei nazionalismi, i gilet jaunes francesi, il Medio Oriente, il ruolo degli intellettuali in un mondo dominato dall’immediatezza, dai social, dalla superficialità in rete. Dopo anni al MIT di Boston, Noam Chomsky è andato a vivere in Arizona. Non insegna più ma rimane molto attivo nel campo dell’analisi politica, con posizioni molto profilate e inevitabilmente anche controverse. Non mancheranno anche riflessioni biografiche sul suo lungo percorso umano e intellettuale. di Roberto Antonini Consulta il dossier dedicato a Noam Chomsky nel Canale Cultura Fonte: https://www.rsi.ch/rete-due/programmi/cultura/laser/Happy-Birthday-Dr.-Chomsky-11203281.html
Read More90 anni compiuti il 7 dicembre, Noam Chomsky rimane forse il più noto e più influente intellettuale a livello mondiale. In occasione del suo compleanno, il grande linguista e politologo ha concesso un’intervista a Roberto Antonini in cui affronta alcune delle grandi questioni della nostra epoca: ambiente, disuguaglianze, crescita del sovranismo e dei nazionalismi, i gilet jaunes francesi, il Medio Oriente, il ruolo degli intellettuali in un mondo dominato dall’immediatezza, dai social, dalla superficialità in rete. Dopo anni al MIT di Boston, Noam Chomsky è andato a vivere in Arizona. Non insegna più ma rimane molto attivo nel campo dell’analisi politica, con posizioni molto profilate e inevitabilmente anche controverse. Non mancheranno anche riflessioni biografiche sul suo lungo percorso umano e intellettuale. di Roberto Antonini Consulta il dossier dedicato a Noam Chomsky nel Canale Cultura Fonte: https://www.rsi.ch/rete-due/programmi/cultura/laser/Happy-Birthday-Dr.-Chomsky-11203281.html
Read MoreSiamo un gruppo di donne, apartito e aconfessionale, che lotta contro le discriminazioni di genere, contro il patriarcato e per costruire una società migliore per tutte e tutti. Il nostro è un femminismo intersezionale, che vuole battersi per l’emancipazione di tutte le donne e non solo di una minoranza di noi. Lottiamo contro la violenza maschile in tutte le sue forme. Lottiamo contro le discriminazioni di genere, contro gli stereotipi sessisti. Lottiamo nel mondo del lavoro. Lottiamo nelle scuole. Lottiamo nella sfera privata. Lottiamo nelle strade.
Read MoreNel 2015 la Cancelleria dello Stato, tramite la Delegata per le pari opportunità, ha lanciato una campagna per favorire la partecipazione femminile nelle commissioni e nei gruppi di lavoro extraparlamentari del Canton Ticino. Le commissioni e i gruppi di lavoro extraparlamentari sono gruppi composti da specialiste e specialisti, che hanno il compito di consigliare e aiutare i politici a prendere decisioni su temi molto specifici che riguardano tutti i settori dell’Amministrazione cantonale. La loro istituzione avviene su decisione del Consiglio di Stato, che nel 2019 dovrà procedere al loro rinnovo sostituendo i membri uscenti e coloro che hanno accumulato 12 anni di attività.
Read MoreIl 19 ottobre 1969, il 63% degli uomini ticinesi votarono a favore dell’introduzione del suffragio femminile in materia cantonale. In occasione del 50° anniversario dall’introduzione del diritto di voto alle donne, la Commissione consultiva per le pari opportunità fra i sessi, in collaborazione con la Delegata per le pari opportunità e diverse Associazioni femminili ticinesi, lancia una campagna della durata di un anno, scandita da una serie di eventi proposti tra il 19 ottobre 2018 e il 19 ottobre 2019.
Read MorePari opportunità nei media Radio e TV della Svizzera italiana Con questo premio la Commissione consultiva per le pari opportunità, grazie al sostegno di alcune associazioni femminili, intende sensibilizzare e promuovere presso le redazioni radiofoniche e televisive un’attenzione maggiore rispetto alle tematiche di genere per superare pregiudizi e stereotipi anacronistici rispetto agli obiettivi di pari opportunità e alla realtà presente.
Read MoreLa violenza domestica è una realtà quotidiana che può colpire chiunque. Il primo studio svizzero su questo problema, pubblicato nel 1997, ha rivelato che una donna su cinque ha subito almeno una volta nel corso della vita atti di violenza fisica o sessuale da parte del partner. La violenza domestica può manifestarsi in diverse forme (fisica, sessuale e psichica), denominatore comune è il fatto che viene commessa nello spazio privato e che tra le persone interessate sussiste un legame affettivo e una dipendenza che può assumere varie connotazioni. La violenza domestica, oltre ad avere conseguenze devastanti su chi ne è direttamente coinvolto, ha ripercussioni anche sulla società in termini di problemi di sicurezza, di sanità pubblica e di costi. Dalla metà degli anni 1990 sono stati avviati in varie città della Svizzera i cosiddetti progetti d’intervento contro la violenza domestica. Tramite misure coordinate e un’efficace collaborazione fra servizi statali e privati, essi si prefiggono di proteggere meglio le vittime delle violenze domestiche.I progetti d’intervento si fondano sulle esperienze raccolte in altri Paesi con iniziative analoghe, in particolare sul progetto “Domestic Abuse Intervention” di Duluth nello Stato americano del Minnesota. Gli obiettivi principali di un progetto d’intervento sono: Fermare la violenze Proteggere le vittime Responsabilizzare gli autori dei reati Informazioni utili Schede informative violenza domestica dell’Ufficio federale per l’uguaglianza fra donna e uomo Fonte: https://www4.ti.ch/can/sgcds/pari-opportunita/violenza-domestica/la-violenza-domestica/
Read MoreLa Legge federale sulla parità dei sessi (LPar) La Legge federale sulla parità dei sessi (LPar), entrata in vigore nel 1996, ha per obiettivo la promozione della parità fra donne e uomini nella vita professionale. Le discriminazioni delle donne nel mondo del lavoro sussistono ancora, in particolare quelle salariali. Da statistiche ufficiali si rileva come nell’economia privata le donne ricevono in media un salario del 21.9% più basso rispetto agli uomini.
Read MoreIn Svizzera esiste un numero considerevole di materiali informativi e di lavoro sulla prevenzione, l’intervento e il dopo-intervento in caso di violenza domestica. Il toolbox Violenza domestica consente di accedere a questa ampia raccolta di materiali di provata utilità sul tema della violenza nei rapporti di coppia, comprendente guide, opuscoli, check list, promemorie, materiali didattici, lettere modello, moduli e altro ancora. La banca dati centrale è concepita come uno strumento di lavoro destinato a specialisti confrontati con vittime o autori di violenza. Il suo scopo è consentire un trasferimento di conoscenze rispettoso delle risorse e basato su un approccio interdisciplinare, e nel contempo promuovere lo sfruttamento di sinergie. Lanciando una ricerca mirata nell’apposita maschera l’utente accede in modo rapido e semplice ai materiali disponibili sul tema richiesto. Modulo segnalazione documenti (DOC, 24 kB, 25.01.2017)
Read MorePortrait Violenza domestica (PDF, 106 kB, 25.01.2017) :
Read MoreLa Svizzera ha aderito alla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica nota come “Convenzione di Istanbul”. Di conseguenza, si impegna a prendere misure globali contro la violenza di genere e domestica, nonché l’uguaglianza di genere. Deutsch Français
Read MoreCette Convention est le premier instrument juridiquement contraignant au niveau européen, offrant un cadre juridique complet pour la prévention de la violence et la protection des victimes, ceci dans le but de mettre fin à l’impunité des auteurs de violences à l’égard des femmes et de violences domestiques. Texte de la Convention Texte: français / anglais
Read MoreLe Comité contre la torture est un organe composé de 10 experts indépendants qui surveille l’application de la Convention contre la torture et autres peines ou traitements cruels, inhumains ou dégradants par les États parties.
Read Morefedpol indaga per conto del Ministero pubblico della Confederazione (MPC) su casi complessi riguardanti forme gravi di criminalità e fornisce, nel quadro di inchieste penali condotte dall’MPC o da autorità cantonali ed estere, prestazioni in materia di coordinamento e di sostegno. Esegue inoltre indagini preliminari di polizia negli ambiti di propria competenza ed elabora analisi strategiche sui fenomeni criminali e le minacce.
Read MoreLa Convenzione contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti obbliga gli Stati parte a impedire e a punire la tortura. La Convenzione è stata adottata dall’Assemblea generale dell’ONU il 10 dicembre 1984. La Svizzera vi ha aderito il 2 febbraio 1986. La Convenzione contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti (CAT) obbliga gli Stati parte a prendere tutti i provvedimenti necessari per impedire e punire gli atti di tortura e i trattamenti crudeli e a proteggere le persone detenute da attacchi contro la loro integrità fisica e psichica. La Convenzione sancisce tra l’altro i seguenti diritti: divieto assoluto di tortura divieto di estradizione di una persona verso un altro Stato qualora vi siano serie ragioni per ritenere che in tale Stato essa rischi di essere sottoposta a tortura (principio del «non-refoulement» o non respingimento) definizione dettagliata di tortura disciplinamento della pena per le persone che compiono atti di tortura e della loro estradizione disciplinamento della prevenzione e dell’individuazione di casi di tortura La Convenzione contro la tortura è stata approvata dall’Assemblea generale dell’ONU il 10 dicembre 1984 ed è entrata in vigore il 26 giugno 1987. La Svizzera vi ha aderito il 2 febbraio 1986. La Convenzione è entrata in vigore per il nostro Paese il 26 giugno 1987. Convenzione contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti (CAT) Stati parte alla CAT (fr) Meccanismo di controllo Gli Stati parte alla Convenzione devono presentare periodicamente al Comitato contro la tortura, che è l’organo di controllo competente, rapporti periodici sui provvedimenti presi per svolgere i compiti che spettano loro in virtù della Convenzione. Il primo rapporto sull’attuazione della Convenzione deve essere presentato entro un anno dall’entrata in vigore di quest’ultima nello Stato parte interessato, dopodiché occorre presentare rapporti quadriennali. Dal 1994 il Comitato emana osservazioni conclusive e raccomandazioni. Nel maggio del 2014 la Svizzera ha stilato il suo settimo rapporto sull’attuazione della Convenzione contro la tortura con la procedura semplificata («Simplified Reporting Procedure»), ossia sulla base di un elenco di domande formulate dal Comitato. Quest’ultimo ha esaminato il rapporto il 3 e il 4 agosto 2015 in occasione della sua 55ª sessione e il 13 agosto dello stesso anno ha trasmesso alla Svizzera le sue osservazioni conclusive e raccomandazioni. L’ente responsabile dei rapporti nazionali della Svizzera per quanto riguarda gli obblighi derivanti dalla Convenzione contro la tortura è l’Ufficio federale di giustizia (UFG). Informazioni sulla Convenzione contro la tortura e sui rapporti nazionali della Svizzera Comitato contro la tortura (fr) Altri meccanismi di controllo Come complemento ai rapporti nazionali, il Comitato contro la tortura può avviare una procedura d’inchiesta (art. 20 CAT) se sospetta una pratica sistematica della tortura. La Convenzione prevede inoltre la possibilità di avviare una procedura di comunicazione interstatale (art. 21 CAT) o una procedura di comunicazione individuale (art. 22 CAT) facoltative. La Svizzera ha riconosciuto la competenza del Comitato a trattare le procedure di comunicazione interstatali e individuali. Protocollo facoltativo Il Protocollo facoltativo alla Convenzione contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti, approvato il 18 dicembre 2002 dall’Assemblea generale dell’ONU, prevede una procedimento di prevenzione nel cui ambito organi nazionali e internazionali visitano ed esaminano periodicamente i penitenziari a scopo preventivo. Il Protocollo facoltativo è entrato in vigore il 22 giugno 2006. Il 24 settembre 2009 la Svizzera ha ratificato il Protocollo facoltativo, che è entrato in vigore per il nostro Paese il 24 ottobre 2009. Protocollo facoltativo alla Convenzione contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti Stati parte al Protocollo facoltativo alla Convenzione contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti (fr) Link Convenzione contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti (CAT) Stati parte alla CAT (fr) Informazioni sulla Convenzione contro la tortura e sui rapporti nazionali della Svizzera Comitato contro la tortura (fr) Protocollo facoltativo alla Convenzione contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti Stati parte al Protocollo facoltativo alla Convenzione contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti (fr) CAT, Ufficio federale di giustizia Documenti Botschaft vom 30. Oktober 1985 betreffend das Übereinkommen gegen Folter und andere grausame, unmenschliche oder erniedrigende Behandlung oder Strafe Botschaft vom 8. Dezember 2006 zum Bundesbeschluss über die Genehmigung und die Umsetzung des Fakultativprotokolls zum Übereinkommen der Vereinten Nationen gegen Folter und andere grausame, unmenschliche oder erniedrigende Behandlung oder Strafe Fonte: https://www.eda.admin.ch/eda/it/dfae/politica-estera/diritto-internazionale-pubblico/convenzione-protezione-diritti-dell-uomo/convenzione-contro-tortura-altre-pene-trattamenti-crudeli-inumani-egradanti.html
Read MoreVous trouverez ici un choix de pages humanrights.ch sur certains thèmes des droits humains.Les contenus les plus pertinents sont placés au début de la liste: vous trouverez tout en haut les dossiers, les listes d’articles et les articles particulièrement importants.
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Read MoreCe dossier thématique vous propose les articles suivants au sujet des droits sociaux: Introduction Standards internationaux / Textes introductifs en ligne Interprétation juridique Refus de justiciabilité / Buts sociaux dans la Constitution / Non ratification de la Charte sociale européenne Interprétation en SuisseLes différents types d’obligations étatiques / les droits directement applicables Fonte: http://www.humanrights.ch/fr/dossiers-droits-humains/droits-sociaux/
Read MoreIl settore tematico Polizia e giustizia del CSDU si occupa dell’attuazione delle prescrizioni in materia di diritti umani nei settori polizia, detenzione e giustizia. La Convenzione europea sui diritti dell’uomo, il Patto ONU relativo ai diritti civili e politici o la Convenzione ONU contro la tortura sono solo alcuni dei numerosi trattati internazionali sui diritti umani che contemplano garanzie per la protezione dei diritti delle persone detenute, nel corso di un procedimento giudiziario o in occasione dell’esercizio del potere coercitivo dello Stato. Inoltre, la Svizzera è parte contraente di accordi europei e universali per la prevenzione della tortura e di trattamenti o pene inumani o degradanti, che prevedono lo svolgimento di inchieste da parte di organismi indipendenti. Istanze internazionali hanno più volte constatato in Svizzera problemi di attuazione delle prescrizioni in questione nei settori della polizia e della giustizia. Il settore tematico Polizia e giustizia si occupa prioritariamente delle seguenti problematiche: uso della forza da parte della polizia (uso di armi da fuoco, delega di compiti di sicurezza a privati, protezione giuridica in caso di maltrattamenti), attuazione di condizioni di detenzione rispettose dei diritti umani (p.es. sovrappopolazione nelle carceri), garanzia dei diritti procedurali, attuazione degli obblighi in materia di diritti umani da parte della giustizia e in particolare possibilità per il singolo di appellarsi ai diritti umani in ambito economico, sociale e culturale (giustiziabilità). Competenze Il settore tematico Polizia e giustizia del CSDU è gestito dall’Institut für öffentliches Recht dell’Università di Berna. In possesso di comprovate competenze specialistiche nei settori prevenzione della tortura, esternalizzazione di compiti di polizia, riforma del sistema giudiziario e recepimento dei diritti umani internazionali nel diritto nazionale, l’istituto in questione si distingue per l’ampia attività peritale svolta per Confederazione, ONU e ONG; vanta un’esperienza pluriennale nella formazione continua in materia di diritti umani per gli operatori del settore e, grazie a queste attività, si è creato una vasta rete nazionale e internazionale. Servizi Il CSDU documenta e valuta sulla base di mandati la prassi di attuazione delle norme sui diritti umani in Svizzera, fornisce informazioni su standard e buone pratiche, elabora studi rilevanti per la prassi e orientati all’applicazione pratica, e offre formazione continua e consulenza. I suoi servizi sono rivolti ad autorità federali, cantonali e comunali, istituzioni private, imprese e società civile. Responsabile Collaboratori del settore tematico Polizia e giustizia Istituto di diritto pubblico dell’università di Berna Articoli Articoli del settore tematico Polizia e giustizia (in tedesco, in francese) Traduzione in italiano di articoli selezionati della newsletter del CSDU Pubblicazioni Opuscolo sull’importanza della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) per i giornalisti svizzeri, 2016 Altri pubblicazioni del settore tematico Polizia e giustizia (in tedesco, in francese) Pubblicazioni del CSDU in italiano Tutte le pubblicazioni del CSDU (in tedesco, in francese) Informazioni di fondo disponibili su humanrights.ch (in francese e tedesco) Lavoro della polizia / Violenza da parte della polizia Stabilimenti di detenzione / Esecuzione delle pene Protezione giuridica / Diritti procedurali Tortura / Trattamento inumano Interpretazione dei diritti sociali in Svizzera Fonte: http://www.skmr.ch/it/settori/polizia/index.html
Read MoreCréée en 1985, l’OMCT constitue aujourd’hui la principale coalition internationale d’organisations non gouvernementales (ONG) luttant contre la torture, les exécutions sommaires, les disparitions forcées et tout autre traitement cruel, inhumain ou dégradant. Avec près de 300 organisations affiliées dans le monde à son Réseau SOS-Torture et plusieurs dizaines de milliers de correspondants dans tous les pays, l’OMCT est le plus important réseau d’organisations non gouvernementales actives dans la protection et la promotion des droits de l’homme dans le monde.
Read MoreIl Consiglio di Stato (CdS) propone una modifica della legittimazione per la propria legge sulla polizia per permettere indagini quando non c’è ancora sospetto di reato. O almeno, quella è l’idea in cui ci si muove quando si applica il diritto cantonale di polizia (diritto amministrativo) invece che il Codice di procedura penale. Esempi concreti sono le attività “a strascico” della polizia su internet che mirano a scovare se qualcuno vuole commettere un reato (tipica è la lotta alla pedofilia nelle chat room). La persona dall’altra parte dello schermo è infatti sconosciuta e non ha ancora fatto niente, non può quindi ancora esserci un sospetto…
Read MoreDa oltre 65 anni, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) tutela i diritti e il benessere dei rifugiati in tutto il mondo. L’UNHCR è la principale organizzazione al mondo impegnata in prima linea a salvare vite umane, a proteggere i diritti di milioni di rifugiati, di sfollati e di apolidi, e a costruire per loro un futuro migliore, come evidenziato nel nostro statuto. Lavora in 127 Paesi del mondo e si occupa di oltre 60 milioni di persone.
Read MoreFondée en 1951, l’OIM est la principale organisation intergouvernementale dans le domaine de la migration et travaille en étroite collaboration avec les partenaires gouvernementaux, intergouvernementaux et non-gouvernementaux. L’OIM travaille pour aider à assurer la gestion humaine et ordonnée des migrations, à promouvoir la coopération internationale sur les questions de migration, pour aider à la recherche de solutions pratiques aux problèmes de migration et de fournir une assistance humanitaire aux migrants dans le besoin, y compris les réfugiés et les personnes déplacées à l’intérieur.
Read MoreAn estimated 258 million people, approximately 3 per cent of the world’s population, currently live outside their country of origin, many of whose migration is characterised by varying degrees of compulsion. Notwithstanding that many migrant choose to leave their countries of origin each year, an increasing number of migrants are forced to leave their homes for a complex combination of reasons, including poverty, lack of access to healthcare, education, water, food, housing, and the consequences of environmental degradation and climate change, as well as the more ‘traditional’ drivers of forced displacement such as persecution and conflict. While migration is a positive and empowering experience for many, it is increasingly clear that a lack of human rights-based migration governance at the global, regional and national levels is leading to the routine violation of migrants’ rights in transit, at international borders, and in the countries they migrate to. While migrants are not inherently vulnerable, they can be vulnerable to human rights violations. Migrants in an irregular situation tend to be disproportionately vulnerable to discrimination, exploitation and marginalization, often living and working in the shadows, afraid to complain, and denied their human rights and fundamental freedoms. Human rights violations against migrants can include a denial of civil and political rights such as arbitrary detention, torture, or a lack of due process, as well as economic, social and cultural rights such as the rights to health, housing or education. The denial of migrants’ rights is often closely linked to discriminatory laws and to deep-seated attitudes of prejudice or xenophobia. In this context, OHCHR works to promote, protect and fulfill the human rights of all migrants, regardless of their status, with a particular focus on those women, men and children who are most marginalized and at risk of human rights violations. OHCHR promotes a human rights-based approach to migration, which places the migrant at the center of migration policies and governance, and seeks to ensure that migrants are included in all relevant national action plans and strategies, such as plans on the provision of public housing or national strategies to combat racism and xenophobia. Source: Office of the High Commissioner for Human Rights
Read MoreThe global compact for migration is the first, intergovernmentally negotiated agreement, prepared under the auspices of the United Nations, to cover all dimensions of international migration in a holistic and comprehensive manner. Today, there are over 258 million migrants around the world living outside their country of birth. This figure is expected to grow for a number of reasons including population growth, increasing connectivity, trade, rising inequality, demographic imbalances and climate change. Migration provides immense opportunity and benefits – for the migrants, host communities and communities of origin. However, when poorly regulated it can create significant challenges. These challenges include overwhelming social infrastructures with the unexpected arrival of large numbers of people and the deaths of migrants undertaking dangerous journeys. In September 2016 the General Assembly decided, through the adoption of the New York Declaration for Refugees and Migrants, to develop a global compact for safe, orderly and regular migration. The process to develop this global compact started in April 2017. The pages in this section detail 18 months of consultation and negotiation, and provide the relevant documentation for each of the events. On 13 July 2018 UN Member States finalized the text for the Global Compact for Safe, Orderly and Regular Migration (Text available in all official languages). The Intergovernmental Conference to Adopt the Global Compact for Safe, Orderly and Regular Migration will be held on 10 – 11 December in Marrakech, Morocco. Global Compact The Global Compact for Migration is the first-ever UN global agreement on a common approach to international migration in all its dimensions. The global compact is non-legally binding. It is grounded in values of state sovereignty, responsibility-sharing, non-discrimination, and human rights, and recognizes that a cooperative approach is needed to optimize the overall benefits of migration, while addressing its risks and challenges for individuals and communities in countries of origin, transit and destination. The global compact comprises 23 objectives for better managing migration at local, national, regional and global levels. The compact: aims to mitigate the adverse drivers and structural factors that hinder people from building and maintaining sustainable livelihoods in their countries of origin; intends to reduce the risks and vulnerabilities migrants face at different stages of migration by respecting, protecting and fulfilling their human rights and providing them with care and assistance; seeks to address the legitimate concerns of states and communities, while recognizing that societies are undergoing demographic, economic, social and environmental changes at different scales that may have implications for and result from migration; strives to create conducive conditions that enable all migrants to enrich our societies through their human, economic and social capacities, and thus facilitate their contributions to sustainable development at the local, national, regional and global levels. The list of the 23 objectives can be found in paragraph 16 of the Global Compact for Migration. Fonte: https://refugeesmigrants.un.org/migration-compact
Read MoreLa Segreteria di Stato della migrazione (SEM) attribuisce grande importanza alla tutela e ai diritti dei migranti e dei rifugiati nelle regioni di provenienza e di transito. In questo spirito, la SEM sostiene Stati di prima accoglienza e di transito, come per esempio gli Stati limitrofi della Siria nonché Stati del Corno d’Africa e dell’Africa settentrionale.
Read MoreL’Accordo di associazione a Schengen agevola la mobilità tra la Svizzera e l’Unione europea (UE) grazie all’abolizione dei controlli delle persone alle frontiere interne e migliora la cooperazione internazionale in materia di giustizia e polizia nella lotta contro la criminalità. L’Accordo di associazione a Dublino garantisce che le richieste di asilo siano esaminate da un solo Stato nello spazio Dublino definendo i criteri che stabiliscono la competenza nazionale. In tal modo consente di evitare che i richiedenti l’asilo siano rinviati da uno Stato all’altro oppure che, dopo il rifiuto della loro richiesta, non ne presentino una nuova in un altro Stato membro del sistema Dublino.
Read Morehttps://www.sem.admin.ch/sem/it/home/themen.html
Read MoreLa Commissione federale contro il razzismo CFR si occupa delle questioni di discriminazione razziale, promuove la comprensione reciproca tra persone di diversa razza, colore della pelle, origine nazionale ed etnica, religione, combatte ogni forma di discriminazione razziale diretta e indiretta e presta particolare attenzione a una prevenzione efficace.
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Read MoreAu service des droits humains depuis 1936, nous nous engageons à protéger et à promouvoir les droits et les intérêts des requérant-e-s d’asile et des réfugié-e-s.
Read MoreQuestions d’argent, de couple, juridiques, d’intégration professionnelle, questions liées à la migration : les professionnel-le-s des CSP soutiennent toute personne en difficulté, sans distinction de nationalité ou de religion.
Read MoreL’ONU e la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani L’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) fu fondata nel 1945 subito dopo la fine della seconda guerra mondiale. I diritti e i doveri degli Stati membri sono disciplinati nello Statuto delle Nazioni Unite, l’accordo istitutivo dell’organizzazione. Sito delle Nazioni Unite (francese e inglese) Adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948, la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (DUDU) è la base del diritto internazionale in materia di diritti umani. Nel 1966 entrarono in vigore il Patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali (Patto ONU I) e il Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici (Patto ONU II). La DUDU, il Patto ONU I e il Patto ONU II costituiscono la Carta internazionale dei diritti umani. Dichiarazione Universale dei Diriti Umani (italiano) Dichiarazione universale dei diritti umani (francese e inglese) Patto internazionale del 16 dicembre 1966 relativo ai diritti economici, sociali e culturali Patto internazionale del 16 dicembre 1966 relativo ai diritti civili e politici Le convenzioni internazionali dell’ONU sui diritti umani, attualmente nove, si ispirano alla DUDU. Tutti gli Stati membri ne hanno ratificata almeno una. Convenzioni internazionali delle Nazioni Unite relative ai diritti umani (francese e inglese Il Consiglio d’Europa e la Convenzione europea dei diritti umani Del Consiglio d’Europa fanno parte 47 Stati, tra cui i 28 membri dell’UE e la Svizzera. Tutti gli Stati membri del Consiglio d’Europa hanno sottoscritto la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU). L’attuazione della CEDU è controllata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo. Chiunque venga limitato nell’esercizio dei diritti fondamentali protetti dalla CEDU e abbia esaurito le vie legali nazionali può ricorrervi. Nell’aprile del 2006, il Consiglio d’Europa ha adottato un piano d’azione per le persone con disabilità. Il piano si articola in 15 linee d’azione che toccano diversi temi, come la partecipazione alla vita politica e pubblica, l’istruzione, i trasporti, l’assistenza sanitaria e l’occupazione. Per dare seguito al Piano d’azione 2006-2015, il Consiglio d’Europa ha adottato la strategia per le persone con disabilità 2017-2023 «Diritti umani: una realtà per tutti». Gli obiettivi sovraordinati sono l’uguaglianza, il rispetto della dignità e le pari opportunità delle persone disabili nella sfera di competenza del Consiglio d’Europa. Cinque le aree tematiche prioritarie: uguaglianza e non discriminazione, sensibilizzazione, accessibilità, uguale riconoscimento di fronte alla legge e protezione dallo sfruttamento, dalla violenza e dagli abusi. Cinque anche i temi trasversali: partecipazione, cooperazione e coordinamento, progettazione universale e accomodamento ragionevole, parità di genere, discriminazione multipla ed educazione e formazione. Per maggiori dettagli consultare il sito: Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali CEDU Consiglio d’Europa – persone con disabilità Raccomandazione Rec(2006)5 del Comitato dei ministri agli Stati membri sul Piano d’azione del Consiglio d’Europa 2006-2015 (tedesco e francese) Fonte: https://www.edi.admin.ch/edi/it/home/fachstellen/ufpd/diritto/international0/menschenrechte.html
Read MoreCette rubrique présente des articles relatant le débat en Suisse autour des zones conflictuelles entre la démocratie directe et le droit international. Ce sont en particulier certaines initiatives populaires qui se sont heurtées aux engagements du devoir de respect des droits humains pris par la Suisse.
Read MoreAssociazione apartitica di esperti e personalità del mondo giuridico ticinese uniti a combattere l’iniziativa “giudici stranieri” in votazione federale il 25 novembre 2018. L’associazione coordina la campagna del NO all’iniziativa anti-diritti umani nella Svizzera italiana. L’iniziativa è un attacco frontale ai diritti individuali degli svizzeri. Siamo convinti che non dobbiamo indebolire la protezione giuridica di cui godiamo per difenderci. Una democrazia sana ha bisogno del rispetto del diritto superiore internazionale e del rispetto della Convenzione Europea dei Diritti Umani. Per questo ci impegniamo, giuristi, avvocati, cittadini e cittadine svizzeri per combattere questa disastrosa iniziativa!
Read MoreL’iniziativa dell’UDC mira a cambiare tre articoli della Costituzione svizzera andando a toccare il delicato equilibrio esistente tra diritto internazionale e leggi nazionali. Il presente documento contiene un commento all’iniziativa. Inizialmente si trova una spiegazione del sistema attuale e segue poi la spiegazione delle modifiche proposte dall’UDC.
Read MoreFonte: Amnesty International Attraverso le urne, i cittadini hanno respinto un attacco frontale alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo in un referendum chiave tenutosi a livello nazionale. Ciononostante gli inte- ressi delle grandi imprese e della politica di sicurezza continuano a dettare le priorità politi- che del paese, e minacciano la protezione internazionale dei diritti umani. Le persone richie- denti asilo al centro di una retorica ostile mentre le nuove legislazioni in materia di sorve- glianza e di lotta al terrorismo mettono in pericolo i diritti fondamentali di tutti i residenti in Svizzera. In un referendum tenutosi il 25 novembre 2018, la cittadinanza ha chiaramente respinto – con il 66% di no – una proposta dell’Unione democratica di centro (UDC). La cosiddetta “iniziativa per l’autodeterminazione” mirava a stabilire il primato della Costituzione svizzera sul diritto internazionale e avrebbe potuto portare la Svizzera a denunciare la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU). Settant’anni dopo l’adozione della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, attraverso le urne i cittadini svizzeri hanno inviato un messaggio chiaro e importante in tutta Europa, affermando l’importanza del diritto internazionale. Il popolo svizzero ha quindi preso posizione con forza contro coloro che cercano di erodere il sistema europeo di protezione dei diritti umani. Il risultato inequivocabile del referendum è stato possibile solo grazie al grande impegno di molti attori della società civile e ai sostenitori di Amnesty International. Non solo hanno sostenuto la CEDU e la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, ma sono anche riusciti a convincere la popolazione dell’importanza della tutela dei diritti umani. Maggiore coerenza nella politica dei diritti umani Affinché la Svizzera – con Ginevra “capitale mondiale dei diritti umani” – possa presentarsi come promotrice e sostenitrice dei diritti umani, è necessario un riorientamento della politica in questa direzione. La priorità generalmente data dal Consiglio federale agli interessi economici o securitari – in particolare per quanto riguarda il controllo delle esportazioni di armi – è in contraddizione con l’immagine di tradizione umanitaria di cui la Svizzera ama abbellirsi. Il rifiuto di firmare il Trattato internazionale sulla proibizione delle armi nucleari e il ritardo nella creazione di un’istituzione nazionale per i diritti umani, sono in contraddizione con gli obiettivi di politica estera di promozione della pace e dei diritti umani e con le dichiarazioni della diplomazia svizzera proprio in questi ambiti. La lotta per un mondo senza armi nucleari è stata portata avanti per decenni dal Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE), che ha sostenuto il trattato fin dall’inizio, per poi non firmarlo. Nel mese di marzo si è concluso il terzo Esame periodico universale della Svizzera davanti al Consiglio per i Diritti Umani dell’ONU. La Svizzera ha accettato 160 raccomandazioni sulle 251 formulate: sono state accolte tutte le raccomandazioni per la creazione di un’istituzione nazionale indipendente per i diritti umani secondo i Principi di Parigi, ma invece di attuare rapidamente questi impegni, il Consiglio federale tergiversa su questo progetto da oltre 15 anni. Eccessivo rigore con i richiedenti asilo Motivo di preoccupazione è anche l’inasprimento delle leggi sull’asilo e sugli stranieri, accompagnato dal trattamento sempre più restrittivo nei confronti di richiedenti asilo e migranti in Svizzera. Si è imposto un discorso politico ostile, in particolare nei confronti dei richiedenti asilo provenienti dall’Eritrea, con tentativi di screditare le persone provenienti dai paesi dell’A- frica orientale come “rifugiati economici”. Questo discorso si riflette anche nelle pratiche più dure delle autorità competenti in materia di asilo. In settembre, ad esempio, la Segreteria di Stato della migrazione (SEM) ha deciso di sospendere l’ammissione provvisoria di circa 3’000 eritrei in Svizzera e di esaminare l’ipotesi di un loro rimpatrio. Questo malgrado non vi siano segnali di un miglioramento della situazione dei diritti umani nel Paese. Dal momento che quasi nessuno rientra volontariamente e il rimpatri forzati verso Asmara non sono possibili, un gran numero di eritrei in Svizzera saranno costretti a vivere nella precarietà, con un semplice aiuto d’urgenza, e saranno spinti verso l’illegalità. Nelle sue più recenti decisioni riguardo l’Eritrea, il Tribunale amministrativo federale (TAF) aveva riconosciuto le continue violazioni dei diritti umani nel paese e l’impossibilità di esaminare la situazione sul posto. Il Tribunale amministrativo federale ha inoltre qualificato espressamente il “servizio nazionale” esistente in Eritrea come lavori forzati, vietato ai sensi dell’arti- colo 4 della CEDU. Tuttavia, lo stesso tribunale ha emesso sentenze secondo cui i rimpatri sono ammissibili e ragionevoli, anche nei casi in cui le persone potevano aspettarsi di venir arruolate nel “servizio nazionale”. Le continue pressioni da parte di diversi partiti e politici per maggior rigore nei confronti dei richiedenti asilo contrastano con la diminuzione del numero di richieste di asilo a seguito della chiusura della rotta balcanica e alle limitazioni alle vie di fuga attraverso il Mediterraneo. Invece di mostrare maggiore solidarietà nei confronti di Paesi come l’Italia o la Grecia, che devono trattare la maggior parte delle richieste di asilo in Europa, la Svizzera mantiene un alto tasso di rinvii verso l’Italia, possibili ai sensi del regolamento di Dublino, che determina quale Stato membro dell’UE è competente per l’esame di una domanda d’asilo. Nel novembre 2017 Amnesty International, con 200 organizzazioni e 33’000 persone, ha consegnato al Consiglio federale l’Appello nazionale Dublino, che invita le autorità svizzere competenti in materia d’asilo a ricorrere maggiormente alla clausola discrezionale (articolo 17 del regolamento di Dublino) nel trattare le domande di richiedenti particolarmente vulnerabili. Nel settembre 2018, di fronte al rigore delle autorità svizzere, il Comitato delle Nazioni Unite contro la tortura (CAT) ha fissato dei limiti agli allontanamenti di persone particolarmente vulnerabili nell’ambito del sistema di Dublino. Questa importante decisione è stata presa dalla CAT in merito al caso di un cittadino eritreo che era stato imprigionato nel suo paese d’origine per cinque anni per motivi politici ed era stato ripetutamente torturato e maltrattato. Dopo il suo rilascio era stato arruolato con la forza e aveva servito come guardia di frontiera fino a quando è riuscito a fuggire dal paese. Quando ha presentato domanda di asilo in Svizzera nel settembre 2015, era gravemente traumatizzato, necessitava
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Read More18.30 Hotel Internazionale – Viale Stazione 35,Bellinzona – Brasile – Diritti Umani a un bivio?
20.30 Cinema Forum – Viale Stazione 39, Bellinzona – Proiezione del documentario O Processo (Il Processo)
Read MoreIl 25 giugno ricorre il 18º anniversario del lancio del Global Compact (o Patto Globale), un’iniziativa delle Nazioni Unite volta a promuovere una maggiore responsabilità delle imprese in materia di diritti umani, tutela dell’ambiente e diritto del lavoro e a favorire la cooperazione tra l’ONU e il settore privato. La Svizzera è uno dei principali Paesi partner di questa iniziativa.
Read MoreThis project was initiated by the Business and Human Rights Arbitration Working Group, a private group of international practicing lawyers and academics, aimed to create an international private judicial dispute resolution avenue available to parties involved in business and human rights issues as claimants and defendants, thereby contributing to filling the judicial remedy gap in the UN Guiding Principles on Business and Human Rights.
Read MoreLavoro minorile: prevale la protezione I giovani sotto i diciotto anni possono lavorare, ma gli orari e il tipo di lavoro devono tenere conto dell’età e della loro inesperienza.
Read MoreProteggere i bambini, rendere i bambini più forti!Tuteliamo i bambini dalla violenza.Rafforzando i loro diritti.
Read MoreSotto questo capitolo sono elencate le prestazioni dei servizi incaricati di assicurare aiuto e sostegno sociale ed educativo alle famiglie e ai minorenni.
Read MoreL’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce l’handicap come una difficoltà che l’individuo incontra nell’ambiente circostante a causa di un danno organico e/o funzionale.
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