La fame come strategia di guerra

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La fame come strategia di guerra

La fame come strategia di guerra

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La violazione dei diritti umani nel Tigrai si aggiunge alla fame e all’insicurezza alimentare

Pubblicato da Naufraghi.ch di Letizia Pinoja

Fra gli obiettivi di sviluppo sostenibile 2030 vi è quello di porre fine alla fame nel mondo. Tuttavia, ad oggi, nella regione semi-autonoma del Tigrai (Etiopia), 350’000 persone soffrono la fame. Altri 5,5 milioni di persone vivono in condizioni di grave insicurezza alimentare. Ma cosa ha reso l’Etiopia, storicamente una delle regioni più fertili del mondo, il teatro di quella che, secondo gli esperti, rischia di essere la peggiore crisi alimentare del decennio?

Nel Novembre 2020 l’esercito federale etiope entrava nel Tigrai per disarmare il Fronte Popolare di Liberazione del Tigrai (FPLT), entità considerata ribelle da Addis Abeba. Le cause delle tensioni fra la regione del Tigrai e il governo centrale sono varie e di lunga data. Di particolare importanza è stata l’elezione del premier Abiy Ahmed nel 2018 e lo smantellamento del dominio tigrè a favore di una coalizione governativa non comprendente il Tigrai. La miccia che ha fatto scoppiare gli scontri è stata il posticipo delle elezioni nazionali causato dalla pandemia. Lo stato federato del Tigrai si è infatti opposto a tale decisione, definendola incostituzionale e indicendo delle elezioni in settembre del 2020. Un anno dopo essere stato insignito del Premio Nobel per la Pace, il Premier etiope ha reagito alla contestazione tigrè invadendo la regione nel Novembre 2020.

Le perplessità riguardo all’onorificenza di Abiy Ahmed risalgono fin dal momento della premiazione alla fine del 2019, in particolare per quanto riguarda la pace con l’Eritrea. Un conflitto nato negli anni Novanta con l’indipendenza di quest’ultima dall’Etiopia, esso si fonda sulla contesa territoriale di una parte della regione del Tigrai. Essendo il FPLT “nemico comune” dei governi eritrei e etiopi, varie sono state le accuse contro Abiy Ahmed di opportunismo politico. Il coinvolgimento delle truppe eritree nel conflitto in Tigrai non ha fatto che corroborare tali accuse, e le gravi violazioni dei diritti umani emerse nel conflitto mettono sempre più in dubbio la legittimità dell’onorificenza.

Infatti, la violenza che pervade il Tigrai da novembre ha conseguenze nefaste per la popolazione locale. Recentemente, le agenzie dell’ONU (FAO, WFP e UNICEF) hanno denunciato il rischio imminente di carestia nella regione. Oltre alle sfide poste dal cambiamento climatico – invasione di locuste, inondazioni e siccità – la sicurezza alimentare della regione è messa a dura prova da quella che l’Associated Press (AP) ha denunciato come “fame quale strategia di guerra”. Quest’ultima è perpetrata dalle truppe etiopi ed eritree, accusate di bloccare i convogli di aiuti umanitari.

Inoltre, l’AP ha denunciato gli eserciti di impedire ai contadini tigrè di coltivare le proprie terre rubando sementi, uccidendo bestiame e saccheggiando materiale agricolo. Gli operatori di Medici Senza Frontiere (MSF) hanno infine segnalato come le distruzioni sistematiche di case, pozzi, ospedali e altre infrastrutture fondamentali alla sopravvivenza, abbia spinto più di 40’000 persone a lasciar le proprie terre per cercare rifugio nel vicino Sudan o affrontare il pericoloso viaggio alla volta dell’Europa.

Gli eserciti etiopi ed eritrei stanno volontariamente inducendo una carestia. Tali pratiche costituiscono una grave violazione del diritto universale ad un’alimentazione sana. Indirettamente, sono tuttavia vari i diritti umani violati. Per esempio, la fame impedisce ai bambini di andare a scuola, priva le persone del lavoro e della salute. La fame compromette il funzionamento economico e sociale della società, e ne nega lo sviluppo. Le carestie conducono a miseria e violenza.

La situazione nel Tigrai è drammatica, ma non ancora irreparabile. Il 29 giugno 2021 il governo etiope ha dichiarato unilateralmente un “cessate il fuoco”, ha ritirato le proprie truppe e il FPLT è rientrato nel capoluogo Macallé. Si auspica che gli aiuti umanitari, benché limitati nelle risorse, possano raggiungere la popolazione tigrè al più presto e porre fine alla disperazione di 5,5 milioni di persone.

Fotografia © Ben Curtis/AP