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19 Agosto 2021 | La giornata internazionale per l’aiuto umanitario, e un ricordo a Gino Strada

19 Agosto 2021 | La giornata internazionale per l’aiuto umanitario, e un ricordo a Gino Strada

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Di Letizia Pinoja

“Spero che si rafforzi la convinzione che le guerre, tutte le guerre sono un orrore. E che non ci si può voltare dall’altra parte, per non vedere le facce di quanti soffrono in silenzio.”

Gino Strada, “Pappagalli verdi: cronache di un chirurgo di guerra”, Feltrinelli, 1999

Quest’anno – in data il 19 agosto, in cui si celebrala giornata internazionale dedicata all’aiuto umanitario – le Nazioni Unite hanno deciso di commemorare le vittime delle crisi umanitarie causate dal cambiamento climatico.[1] Infatti, gli allarmi lanciati negli ultimi mesi da esperti scientifici e attivisti per il clima inducono a pensare che i conflitti armati generati dai cambiamenti climatici non faranno altro che aumentare. In questi giorni si sente spesso parlare dell’Afghanistan, paese al collasso. Spesso però si dimentica di menzionare che anche le conseguenze del cambiamento climatico hanno avuto un ruolo fondamentale in questa guerra: l’emergenza di lotte etniche per la scarsità delle risorse porrebbe fine ad ogni speranza di un futuro pacifico.[2]

Di questo rischio ne era ben cosciente Gino Strada, al quale dedichiamo un pensiero in questo giorno di commemorazione. Ed è proprio sull’Afghanistan che Strada si è espresso prima di lasciarci: “Ho vissuto in Afghanistan complessivamente 7 anni: ho visto aumentare il numero dei feriti e la violenza, mentre il Paese veniva progressivamente divorato dall’insicurezza e dalla corruzione. Dicevamo 20 anni fa che questa guerra sarebbe stata un disastro per tutti. Oggi l’esito di quell’aggressione è sotto i nostri occhi: un fallimento da ogni punto di vista.”[3] Non è però tutto un fallimento. Anzi, grazie alla sua dedizione e al suo coraggio, si stima che una persona su sei abbia ricevuto cure mediche nei vari centri ambulatoriali di Emergency, totalizzando più di 7 milioni di persone curate in 22 anni di presenza sul territorio.[4]

“Gli ospedali e lo staff di Emergency – pieni di feriti – continuano a lavorare in mezzo ai combattimenti, correndo anche dei rischi per la propria incolumità: non posso scrivere di Afghanistan senza pensare prima di tutto a loro e agli afghani che stanno soffrendo in questo momento, veri “eroi di guerra”: Testimoniava Gino Strada nel suo ultimo intervento al La Stampa qualche giorno fa.[5] Il suo animo buono l’ha sempre spinto a non arrendersi davanti ai pericoli pur di salvare vite umane perché, come disse lui un giorno: “Curare i feriti non è né generoso né misericordioso, è semplicemente giusto. Lo si deve fare.”

In questa giornata dedicata a tutti coloro che si battono e si sono battuti per alleviare le sofferenze delle crisi umanitarie, è allora giusto includere Gino, insieme a tutto lo staff di Emergency e al popolo afghano, a quelli che lui stesso ha definito “veri eroi di guerra”. 


Fotografia © https://www.emergency.it/gino-strada-chirurgo-fondatore-emergency/

[1] https://www.worldhumanitarianday.org/front

[2] https://berghof-foundation.org/news/climate-and-conflict-as-a-vicious-cycle-the-case-of-afghanistan

[3] https://www.lastampa.it/topnews/lettere-e-idee/2021/08/13/news/cosi-ho-visto-morire-kabul-1.40594569

[4] https://www.emergency.it/cosa-facciamo/afghanistan/

[5] https://www.lastampa.it/topnews/lettere-e-idee/2021/08/13/news/cosi-ho-visto-morire-kabul-1.40594569


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La fame come strategia di guerra

La fame come strategia di guerra

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La violazione dei diritti umani nel Tigrai si aggiunge alla fame e all’insicurezza alimentare

Pubblicato da Naufraghi.ch di Letizia Pinoja

Fra gli obiettivi di sviluppo sostenibile 2030 vi è quello di porre fine alla fame nel mondo. Tuttavia, ad oggi, nella regione semi-autonoma del Tigrai (Etiopia), 350’000 persone soffrono la fame. Altri 5,5 milioni di persone vivono in condizioni di grave insicurezza alimentare. Ma cosa ha reso l’Etiopia, storicamente una delle regioni più fertili del mondo, il teatro di quella che, secondo gli esperti, rischia di essere la peggiore crisi alimentare del decennio?

Nel Novembre 2020 l’esercito federale etiope entrava nel Tigrai per disarmare il Fronte Popolare di Liberazione del Tigrai (FPLT), entità considerata ribelle da Addis Abeba. Le cause delle tensioni fra la regione del Tigrai e il governo centrale sono varie e di lunga data. Di particolare importanza è stata l’elezione del premier Abiy Ahmed nel 2018 e lo smantellamento del dominio tigrè a favore di una coalizione governativa non comprendente il Tigrai. La miccia che ha fatto scoppiare gli scontri è stata il posticipo delle elezioni nazionali causato dalla pandemia. Lo stato federato del Tigrai si è infatti opposto a tale decisione, definendola incostituzionale e indicendo delle elezioni in settembre del 2020. Un anno dopo essere stato insignito del Premio Nobel per la Pace, il Premier etiope ha reagito alla contestazione tigrè invadendo la regione nel Novembre 2020.

Le perplessità riguardo all’onorificenza di Abiy Ahmed risalgono fin dal momento della premiazione alla fine del 2019, in particolare per quanto riguarda la pace con l’Eritrea. Un conflitto nato negli anni Novanta con l’indipendenza di quest’ultima dall’Etiopia, esso si fonda sulla contesa territoriale di una parte della regione del Tigrai. Essendo il FPLT “nemico comune” dei governi eritrei e etiopi, varie sono state le accuse contro Abiy Ahmed di opportunismo politico. Il coinvolgimento delle truppe eritree nel conflitto in Tigrai non ha fatto che corroborare tali accuse, e le gravi violazioni dei diritti umani emerse nel conflitto mettono sempre più in dubbio la legittimità dell’onorificenza.

Infatti, la violenza che pervade il Tigrai da novembre ha conseguenze nefaste per la popolazione locale. Recentemente, le agenzie dell’ONU (FAO, WFP e UNICEF) hanno denunciato il rischio imminente di carestia nella regione. Oltre alle sfide poste dal cambiamento climatico – invasione di locuste, inondazioni e siccità – la sicurezza alimentare della regione è messa a dura prova da quella che l’Associated Press (AP) ha denunciato come “fame quale strategia di guerra”. Quest’ultima è perpetrata dalle truppe etiopi ed eritree, accusate di bloccare i convogli di aiuti umanitari.

Inoltre, l’AP ha denunciato gli eserciti di impedire ai contadini tigrè di coltivare le proprie terre rubando sementi, uccidendo bestiame e saccheggiando materiale agricolo. Gli operatori di Medici Senza Frontiere (MSF) hanno infine segnalato come le distruzioni sistematiche di case, pozzi, ospedali e altre infrastrutture fondamentali alla sopravvivenza, abbia spinto più di 40’000 persone a lasciar le proprie terre per cercare rifugio nel vicino Sudan o affrontare il pericoloso viaggio alla volta dell’Europa.

Gli eserciti etiopi ed eritrei stanno volontariamente inducendo una carestia. Tali pratiche costituiscono una grave violazione del diritto universale ad un’alimentazione sana. Indirettamente, sono tuttavia vari i diritti umani violati. Per esempio, la fame impedisce ai bambini di andare a scuola, priva le persone del lavoro e della salute. La fame compromette il funzionamento economico e sociale della società, e ne nega lo sviluppo. Le carestie conducono a miseria e violenza.

La situazione nel Tigrai è drammatica, ma non ancora irreparabile. Il 29 giugno 2021 il governo etiope ha dichiarato unilateralmente un “cessate il fuoco”, ha ritirato le proprie truppe e il FPLT è rientrato nel capoluogo Macallé. Si auspica che gli aiuti umanitari, benché limitati nelle risorse, possano raggiungere la popolazione tigrè al più presto e porre fine alla disperazione di 5,5 milioni di persone.

Fotografia © Ben Curtis/AP


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12 Agosto 2021 | Giornata internazionale della gioventù

12 Agosto 2021 | Giornata internazionale della gioventù

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Di Letizia Pinoja

Ogni anno il 12 agosto si celebrano i giovani di tutto il mondo. Lo scopo è quello d’incitare una migliore presa di coscienza e implementazione dei loro diritti fondamentali.[1]

Quest’anno il focus si è posato sul sistema alimentare mondiale, e su come, senza la partecipazione attiva dei giovani, la sua trasformazione verso un mondo più equo e sostenibile non sarà fattibile.[2] Come dichiarato dal Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, i giovani sono la nostra unica risorsa per migliorare l’avvenire dell’umanità e, per questo motivo, vanno ascoltati e inclusi nei processi decisionali.[3]

Ma è proprio a livello di sicurezza alimentare che i giovani costituiscono la categoria più vulnerabile. Fra gli obiettivi sostenibili dell’Agenda 2030 vi è quello di porre fine alla fame nel mondo.[4] Tuttavia, negli ultimi anni l’insicurezza alimentare ha ricominciato a crescere. Nel 2020, 149 milioni di bambini di età inferiore ai 5 anni erano sottosviluppati, 45 milioni troppo magri per la loro altezza, mentre che 39 milioni di bambini erano in sovrappeso. Più in generale, 3 miliardi di persone nel mondo, bambini compresi, non hanno potuto nutrirsi in modo sano.[5]

Fra le cause di questa crescente insicurezza alimentare vi sono gli effetti del cambiamento climatico. Eventi atmosferici anomali come inondazioni e incendi distruggono i raccolti e compromettono la fertilità dei terreni. L’aumento delle temperature favorisce l’emergenza di malattie e parassiti negli allevamenti e nei raccolti.[6]

Nelle ultime settimane la Svizzera, come il resto dell’Europa, è stata teatro di eventi climatici estremi quali forti piogge, grandine e inondazioni. I danni sono ingenti ma un paese ricco come la Svizzera riuscirà a far loro fronte.[7] La situazione è però diversa per i paesi più poveri del mondo: la condizione economica già fortemente precaria è messa a dura prova dalle catastrofi ambientali che attanagliano le loro terre, le quali, a loro volta, incrinano la sempre più incerta sicurezza alimentare della popolazione. Per di più, i paesi con un rischio di carestia e/o malnutrizione più elevato sono coloro che generano il minor tasso di anidride carbonica.[8]

Ed è quindi questo uno dei messaggi della giornata internazionale della gioventù di quest’anno: la gioventù mondiale deve unirsi e lottare insieme per un futuro più prospero ed equo. Per poterlo fare, deve venir data la parola ai giovani, devono essere interpellati e inclusi nei processi decisionali. Il movimento globale lanciato con lo sciopero per il clima ne è la dimostrazione:[9] la gioventù mondiale non starà in silenzio di fronte alla distruzione del loro futuro. E i governi non possono che ammirarla e ascoltarla.


Photo credits: © LaRegione https://www.laregione.ch/cantone/ticino/1369836/il-prossimo-sciopero-per-il-clima-sara-contro-l-inquinamento-bancario

[1] https://www.un.org/development/desa/youth/world-programme-of-action-for-youth.html

[2] https://www.un.org/development/desa/youth/iyd2021.html

[3] https://www.un.org/development/desa/youth/wp-content/uploads/sites/21/2021/08/YouthDay.French.pdf

[4] https://www.eda.admin.ch/agenda2030/it/home.html

[5] https://www.unicef.ch/it/lunicef/attualita/comunicati-stampa/2021-07-12/welthunger-steigt-wegen-pandemiejahr-drastisch-copy

[6] https://theecologist.org/2020/aug/21/climate-change-and-global-hunger

[7] https://www.laregione.ch/cantone/ticino/1527523/grandine-danni-genini-perdite-agricoltura-piogge-franchi-sem-maltempo

[8] https://www.weforum.org/agenda/2019/08/climate-change-is-causing-hunger-in-some-of-the-worlds-poorest-countries-and-those-most-at-risk-are-the-least-to-blame/

[9] https://climatestrike.ch/fr/movement


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La timida lotta del governo svizzero per l’eliminazione del lavoro minorile

La timida lotta del governo svizzero per l’eliminazione del lavoro minorile

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di Letizia Pinoja

Il 29 novembre 2020 i Cantoni svizzeri respinsero l’iniziativa popolare per delle multinazionali responsabili. La Svizzera si è opposta all’obbligazione per le aziende di rispettare i diritti umani in tutta la catena di fornitura. Tuttavia, visto il supporto popolare per l’iniziativa (al voto popolare passò al 50,7%), il Consiglio Federale si è impegnato a proporre un controprogetto indiretto. Come esposto dal professore Nicolas Bueno in un articolo sul La Regione[1] della settimana scorsa, il controprogetto consiste nel richiedere alle imprese svizzere, più grandi di 250 dipendenti e con un fatturato maggiore di 40 milioni, di redigere dei rapporti annui su come l’azienda rispetta i diritti umani. Ciononostante, sempre secondo il professor Bueno e varie ONG attive per i diritti umani, questo controprogetto parte con delle basi estremamente fragili e la sua credibilità è minata dalle varie deroghe concesse alle grandi aziende svizzere.

Una delle tematiche più calde in questo senso è il lavoro minorile. La Svizzera si è allineata alla comunità internazionale unendosi all’Alleanza 8.7, un insieme di Stati e attori della società civile, che si impegnano a eliminare la tratta di esseri umani, la schiavitù moderna, il lavoro forzato e il lavoro minorile.[2] L’Alleanza chiede ai membri di «adottare misure immediate ed efficaci per eliminare il lavoro forzato, porre fine alla schiavitù moderna e alla tratta di esseri umani, garantire la proibizione e […] porre fine al lavoro minorile in tutte le sue forme».[3] Questa richiesta stona, però, con l’attuale controprogetto proposto dal Parlamento e sostenuto dal Consiglio Federale. Esso prevede l’obbligo di dovuta diligenza per le aziende che operano in paesi dove il lavoro minorile è una realtà. Eppure, quest’obbligo non prevede dei veri e propri meccanismi di controllo. In fin dei conti, le autorità svizzere si fidano della buona condotta di multinazionali che non hanno un passato immacolato per quanto riguarda il rispetto dei diritti umani.

Un’altra situazione che fa storcere il naso degli attivisti per il rispetto dei diritti umani è la scelta, del governo svizzero, di non far rientrare il cobalto nella categoria di minerali provenienti da “aree di conflitto e ad alto rischio” o dove “può essere coinvolto il lavoro minorile”.[4] La Repubblica Democratica del Congo (RDC) è il paese con le più grandi riserve di cobalto al mondo.[5] Oltre ai minerali e le pietre preziose, la Repubblica Democratica del Congo è famosa per le guerre uterine che distruggono il paese da decenni. Situazioni di tratta di esseri umani, schiavitù moderna e sfruttamento sessuale non sono rare nella RDC. I più colpiti da questa violenza sono i bambini: vengono arruolati, sotto minaccia o somministrazione di droghe, nei gruppi armati delle varie fazioni ribelli, sfruttati sessualmente e venduti come merce di scambio. Infine, essi vengono obbligati a lavorare fin dalla tenera età nell’industria dell’estrazione di minerali e pietre preziose.[6]

Il 2021 è stato dichiarato l’anno internazionale per l’eliminazione del lavoro minorile.[7] La Svizzera si è fin da subito allineata alla comunità internazionale. Questo supporto pare, però, semplicemente simbolico: le posizioni prese ultimamente da governo e parlamento svizzeri cozzano con l’impegno dichiarato nella lotta al lavoro minorile. Per porre fine allo sfruttamento dei bambini non bastano le belle parole; il nostro paese deve impegnarsi ad adottare misure legislative contro le violazioni dei diritti umani delle multinazionali svizzere, anche se queste ultime possono risultar loro scomode e indurle a “scappare” dal suolo elvetico.


[1] https://www.laregione.ch/svizzera/svizzera/1525936/obbligo-diligenza-lavoro-progetto-imprese-federale-consiglio-svizzera-ordinanza-paesi

[2] https://www.seco.admin.ch/seco/it/home/Arbeit/Internationale_Arbeitsfragen/menschenhandel.html

[3] https://www.ilo.org/rome/risorse-informative/comunicati-stampa/WCMS_768733/lang–it/index.htm

[4] https://www.swissinfo.ch/ita/economia/commercio-responsabile-di-cobalto_la-legge-svizzera-sul-commercio-responsabile-deve-includere-il-cobalto/46724936

[5] https://www.statista.com/statistics/264930/global-cobalt-reserves/

[6] https://www.dol.gov/agencies/ilab/resources/reports/child-labor/congo-democratic-republic-drc ; https://www.unicef.org/drcongo/en/press-releases/thousands-children-continue-be-used-child-soldiers

[7] https://endchildlabour2021.org/

Photo Credits © NOELLA NYIRABIHOGO, GJP DRC


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30 Giugno 2021 | Giornata mondiale contro la tratta di esseri umani - L’esperienza di Valerie Debernardi, in prima linea per difendere le vittime della tratta di esseri umani

30 Giugno 2021 | Giornata mondiale contro la tratta di esseri umani – L’esperienza di Valerie Debernardi, in prima linea per difendere le vittime della tratta di esseri umani

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Di Letizia Pinoja

Parlare di tratta di esseri umani nel 2021 può apparire obsoleto. Tuttavia, la tratta di esseri umani è una pratica ancora molto presente nella nostra società: secondo i dati delle Nazioni Unite, oggi 40 milioni di persone ne sono ancora vittime.[1] A tal proposito l’Agenda 2030 ha fra i suoi Obiettivi per uno Sviluppo Sostenibile quello di sradicare la tratta e lo sfruttamento di esseri umani.[2] Ma cosa si intende per tratta di esseri umani e perché è importante parlarne?

Un fenomeno mondiale

La tratta di esseri umani è considerata una forma di schiavitù moderna che si manifesta in quattro forme principali. Lo sfruttamento a fini sessuali è la pratica più conosciuta e implica la prostituzione forzata, la produzione e la rappresentazione pornografica sotto costrizione. Le donne sono le principali vittime di questa tratta.

Un altro importante sistema di sfruttamento è quello della manodopera nei settori agricolo, edile, alberghiero e del personale domestico. Spesso si tratta di migranti da paesi a basso reddito che accettano condizioni di vita e lavoro precarie poiché pur sempre meglio della disoccupazione nei loro paesi d’origine.[3] I trafficanti di esseri umani approfittano infatti della vulnerabilità delle loro vittime.[4] Le traggono in inganno con false promesse per un futuro migliore nel paese di destinazione. Anche in questo caso, le donne sono più colpite degli uomini dalla tratta.

Il traffico di organi umani costituisce il terzo tipo di sfruttamento. Le vittime, il più delle volte spinte dalla miseria, si vedono costrette a vendere i propri organi in condizioni igienico-sanitarie precarie. Il diritto internazionale vieta tuttavia la vendita di organi e tessuti umani, anche quella di organi “non indispensabili” o con il quali ne basta uno per vivere (per esempio i reni) per evitare qualsiasi tipo di abuso e costrizione.[5]

Infine, la precarietà può spingere le persone a dare in adozione i propri figli in cambio d’infime somme. Quest’ultima pratica – la tratta di minori – racchiude varie modalità e scopi abominevoli quali l’adozione illegale,[6] il matrimonio forzato, la pedopornografica, la prostituzione infantile, far commettere reati a bambini e adolescenti o costringerli a elemosinare.[7]

“Neanche la Svizzera è esente dalla tratta di esseri umani”  

Nel 2018 il Global Slavery Index stimava che nel nostro paese 14’000 persone fossero vittima della tratta di esseri umani.[8] Una cifra esorbitante che dimostra come le persone richiedenti d’aiuto – più di 300 nel 2020, un record assoluto per la Confederazione – costituiscano solo la punta dell’iceberg.[9] A tal proposito Valerie Debernardi – ex stagista alla Fondazione Diritti Umani e attualmente praticante legale presso lo studio legale Peter & Moreau di Ginevra – ci ha parlato dei sempre più numerosi casi di denuncia di tratta di esseri umani nell’ambito del personale domestico. È importante sottolineare che la tratta di esseri umani è un problema anche in Svizzera. Se ne parla poco e ci sono pochi casi portati davanti al tribunale federale. Ginevra in questo è pioniera”.

Infatti, è proprio con lo studio legale ginevrino per cui lavora che Valerie partecipa al caso di un gruppo di donne originarie delle Filippine. Si tratta perlopiù di donne impiegate come personale domestico da missioni diplomatiche, che non vengono pagate per il lavoro svolto, lavorando così “gratuitamente” per i diplomatici e trovandosi costrette a lavorare parallelamente per altri datori di lavoro, cumulando in questo modo orari di lavoro impossibili da sostenere. I corpi diplomatici beneficiano di un permesso di soggiorno speciale – la carta di legittimazione – il quale copre anche il loro personale di servizio. Quest’ultimo dettaglio è stato il motivo per il quale ci è voluto così tanto tempo prima che le vittime si ribellassero.

“Alcune donne hanno vissuto in condizione di vera e propria schiavitù per oltre vent’anni. Temevano di perdere il diritto di restare in Svizzera e quindi non poter garantire la sopravvivenza delle proprie famiglie nei paesi d’origine. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata l’imposizione alle donne di pagare i contributi della cassa malati. Certe donne vivono con 50-100 franchi al mese. Potersi permettere l’assicurazione sanitaria è letteralmente impossibile. Quest’ultimo affronto ha dato loro il coraggio di chiedere aiuto ai sindacati e denunciare a livello penale, grazie ai loro legali, la situazione di schiavitù in cui si trovavano”.   

Valerie ci tiene a precisare che “non sono solo i diplomatici stranieri ad essere coinvolti nella tratta di esseri umani. Non sono poche le famiglie svizzere che assumono personale di servizio, tate e badanti vittime della tratta di esseri umani e approfittano della loro vulnerabilità per sottopagarle e sfruttarle”.

Gli strumenti di lotta

Attualmente il traffico di esseri umani è punibile ai sensi dell’articolo 182 del Codice Penale Svizzero.[10] Inoltre, la Convenzione sulla lotta contro la tratta degli esseri umani del Consiglio d’Europa, ratificata nel 2013 dalla Svizzera,[11]è cruciale nel lavoro di protezione delle vittime di tratta” ci dice ancora Valerie, “l’articolo 14 prevede il rilascio di un permesso di soggiorno in Svizzera per le vittime della tratta. Questo costituisce un incentivo a denunciare le situazioni di schiavitù. Permette di interrompere il circolo vizioso in cui troppo spesso si trovano le vittime.”

Infine, la Svizzera lotta contro la schiavitù moderna attraverso il suo impegno nell’Alleanza 8.7. Essa è un’alleanza mondiale di paesi e organizzazioni internazionali che, attraverso diversi gruppi di lavoro, intende smantellare il sistema internazionale che favorisce e permette lo sfruttamento e la tratta di esseri umani.[12]

Anche a livello individuale è possibile agire e contribuire alla fine della schiavitù moderna, e la giornata mondiale contro la tratta di esseri umani esiste per ricordarcelo. Innanzitutto, e come sottolineato da Valerie, è fondamentale rendersi conto che il problema esiste anche in Svizzera. Questo primo passo è la chiave per diventare più vigili nel riconoscere potenziali vittime. Ogni individuo che si rende conto della situazione di sfruttamento può aiutare la vittima a richiedere aiuto. Spesso le vittime sono sotto stretta sorveglianza dei loro aguzzini. Anche solo mettendo a disposizione il proprio telefono per contattare gli aiuti, si potrebbe aprire un varco verso la libertà e la giustizia.

Di seguito i contatti delle organizzazioni attive in Svizzera per la tutela delle vittime della tratta di esseri umani:

https://piattaforma-tratta.ch/

https://www.fiz-info.ch/it/FIZ-Angebot

https://www4.ti.ch/dss/dasf/uap/dlav/servizio-lav/


[1] https://traite-des-etres-humains.ch/

[2] https://www.eda.admin.ch/agenda2030/it/home/agenda-2030/die-17-ziele-fuer-eine-nachhaltige-entwicklung.html

[3] https://www.skppsc.ch/it/temi/violenza/traffico-di-esseri-umani/

[4] https://www.sem.admin.ch/sem/it/home/asyl/menschenhandel.html

[5] https://www.bag.admin.ch/bag/it/home/medizin-und-forschung/transplantationsmedizin/internationale-zusammenarbeit-transplantationsmedizin/organhandelskonvention.html

[6] https://backtotheroots.net/ueber-uns/

[7] https://www.skppsc.ch/it/temi/violenza/traffico-di-esseri-umani/

[8] https://www.globalslaveryindex.org/2018/data/maps/#prevalence

[9] https://traite-des-etres-humains.ch/

[10] https://www.fedlex.admin.ch/eli/cc/54/757_781_799/it#a182

[11] https://www.fedlex.admin.ch/eli/cc/2013/94/it

[12] https://www.alliance87.org/

Immagine © CC Flikr/ILO/J. Aliling


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18 Luglio: Giornata Internazionale di Nelson Mandela

18 Luglio: Giornata Internazionale di Nelson Mandela

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Di Letizia Pinoja

“Nessuno nasce odiando i propri simili a causa della razza, della religione o della classe alla quale appartengono. Gli uomini imparano a odiare, possono anche imparare ad amare, perché l’amore, per il cuore umano, è più naturale dell’odio”

Nelson Mandela, Lungo cammino verso la libertà. Autobiografia, 1995

Nella sua lotta per porre fine al regime segregazionista sudafricano, Mandela si è battuto per cambiare la società globale e renderla più giusta e inclusiva. Egli ha creduto fermamente nell’uguaglianza e nella dignità di ogni essere umano. Soprattutto, è stato un fervente sostenitore del dialogo e della solidarietà fra parti diverse, anche opposte.

La pandemia di Covid-19 non ha fatto che accentuare le persistenti ineguaglianze nella nostra società.[1] L’esplosione del movimento #BlackLivesMatter in seguito alla morte, per mano della polizia statunitense, di George Floyd nel maggio del 2020 ne è un tragico esempio.[2] Sul continente Europeo, il supporto elettorale guadagnato da partiti tendenti a posizioni di estrema destra, e l’aumento delle segnalazioni di casi di discriminazione razziale dimostrano come discorsi populisti siano sempre più apprezzati dalla popolazione.[3]

In Svizzera, la diversità e lo scambio interculturale non sono più percepiti come arricchenti e interessanti, bensì vi è una tendenza a percepirli come una minaccia identitaria.[4] Sono sempre più i casi di discriminazione razziale nei media, nei discorsi pubblici e politici verso cui, in modo molto preoccupante, è aumentata la tolleranza e la condivisione.[5] Casi di profiling razziale da parte della polizia, battute razziste, discriminazioni nella vita quotidiana basate sulle presunte origini di una persona, diventano sempre più frequenti e accettati dalla società. [6]

In questi giorni si stanno tirando le somme degli Europei di calcio 2020. Essi sono stati teatro di rivendicazioni politiche – come nel caso delle proteste LGBTQIA+ nella partita Germania contro Ungheria – e di prese di posizione contro il razzismo – il supporto al movimento Black Lives Matter dimostrato dai giocatori inginocchiatisi a inizio partita. Le critiche a queste espressioni di solidarietà sono però l’ennesima dimostrazione di come le discriminazioni razziali e omofobe sono ancora troppo presenti nella nostra società. Il Mandela Day non è quindi solo una ricorrenza. È importante celebrare Nelson Mandela per ricordarsi che l’amore per il prossimo non può essere messo in dubbio da fobie e pregiudizi; e questo per il bene comune della società, per la democrazia e i diritti fondamentali di ogni persona, indipendentemente dalle origini del proprio cognome o il colore della pelle.

Approfondimenti:

https://www.mandeladay.com

https://www.nelsonmandela.org

https://www.lospiegone.com – “Ricorda 1918: l’eredità di Nelson Mandela”

Immagine: © Nelson Mandela Foundation / Matthew William

[1] Commissione federale contro il razzismo – Episodi di razzismo trattati nell’attività di consulenza 2020, Prof. Avv. Nora Refaeil – https://www.ekr.admin.ch/i148.html

[2] https://www.repubblica.it/esteri/2021/05/25/news/usa_un_anno_fa_la_morte_di_george_floyd_la_famiglia_alla_casa_bianca_oggi_celebriamo_la_sua_vita_e_stato_capace_di_camb-302790113/

[3] https://network-racism.ch/it/rappporto-sul-razzismo/index.html

[4] https://www.ekr.admin.ch/pubblicazioni/i827.html

[5] Commissione federale contro il razzismo – Episodi di razzismo trattati nell’attività di consulenza 2020, Martine Brunschwig Graf https://www.ekr.admin.ch/i342.html

[6] https://www.humanrights.ch/de/ipf/menschenrechte/rassismus/dossier/rassistisches-profiling/


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Il lato oscuro degli avocado

Il lato oscuro degli avocado – Le conseguenze negative della produzione di avocado

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Di Letizia Pinoja

Negli Stati Uniti dal 1990 al 2017 la consumazione pro capite di avocado è aumentata del 406%.[1] Su scala mondiale, si stima che attualmente la popolazione consumi all’incirca cinque milioni di tonnellate di avocado l’anno. Nel 2018, il cittadino europeo ha consumato in media 1,05 kg di avocado. A causa della popolarità raggiunta fra le nuove generazioni questa cifra è destinata a salire,[2] ma a quale prezzo? 

Produzione e consumo di avocado

Originario dell’America Centrale, oggi l’avocado è coltivato in varie regioni tropicali del mondo.[3] Il principale esportatore è il Messico, producendo il 40% dell’offerta mondiale.[4] Grazie alle sue proprietà nutritive e alla sua versatilità, l’avocado viene sfruttato sia nel campo alimentare, sia nell’industria cosmetica. Da ciò derivano profitti enormi: tra il 2018 e il 2019 le esportazioni di avocado hanno fruttato globalmente 2,8 miliardi di dollari.[5] Come spesso accade, queste cifre esorbitanti sono possibili solo a scapito di terzi. È infatti sempre più grande la preoccupazione riguardo all’impatto negativo sull’ambiente causato dal consumo di avocado, nonché alle gravi violazioni dei diritti umani implicate nel processo.

Una produzione insostenibile

La coltivazione di avocado richiede ingenti quantità d’acqua. Nel 2018 la produzione globale di avocado ha portato al consumo di 6,96 km cubi di acqua, l’equivalente di 2,82 milioni di piscine olimpioniche.[6] Inoltre, vista la crescente domanda per gli avocado, tante industrie hanno optato per una monocultura di avocado, mettendo a dura prova la biodiversità e la sicurezza alimentare d’intere regioni.[7] Un’ulteriore conseguenza della “avocado-mania” è la deforestazione: in Messico, per esempio, sono sempre più frequenti gli incendi illegali di foreste.[8] 

Le conseguenze ambientali nefaste portano anche a violazioni dei diritti umani, e il caso del Cile ne è un esempio. A causa di una legge del 1981[9], in Cile è possibile comprare e possedere fonti d’acqua. Esiste quindi un vero e proprio monopolio dell’acqua controllato dalle agroindustrie produttrici di avocado.[10] Le falde acquifere e i fiumi, se non inquinati dall’uso di pesticidi e fertilizzanti illegali in Europa, sono stati prosciugati in nome del frutto. La popolazione locale è totalmente privata dell’acqua, al punto da essere costretta a fare i propri bisogni in sacchetti di plastica.[11] Nel 2010 le Nazioni Unite hanno sancito il diritto all’acqua quale diritto umano.[12] Imporre alle persone di vivere in condizioni precarie, provvedendo con camion d’acqua non del tutto potabile trasportata da altre regioni cilene, è una grave violazione dei loro diritti fondamentali.  

Il costo umano degli avocado

La popolazione cilena non è l’unica a subire le conseguenze della produzione di avocado. Gli enormi profitti hanno attirato gang criminali in tutto il mondo, in particolare i cartelli della droga messicani.[13] Esse manipolano le comunità agricole locali, impongono la monocoltura di avocado e beneficiano dei profitti.[14] Se i contadini si ribellano o resistono spesso vengono intimiditi, rapiti o uccisi.[15] Inoltre, le possibilità di arricchimento fanno gola a tante gang, creando situazioni violente pericolose per la popolazione locale.[16] Solo nel 2018 nella cittadina messicana di Uruapan, capitale mondiale dell’avocado abitata da 300’000 anime, 297 persone sono state vittima di uccisioni da parte della criminalità organizzata.[17]

E quindi cosa fare? Boicottare non è di certo la soluzione, poiché migliaia di famiglie sopravvivono grazie alla coltura degli avocado. Inoltre, i cartelli della droga possono diventare più aggressivi ed esigenti per compensare le perdite che una diminuzione della domanda comporterebbe. Tuttavia, un primo passo che potrebbero fare i singoli è fare pressione sui distributori locali e le multinazionali coinvolte nella produzione di avocado, cercando di ottenere giustizia e la salvaguardia dei diritti umani.[18]


[1] https://www.dw.com/en/green-gold-avocado-farming-on-the-rise-in-africa/a-57390367

[2] Sommaruga, R. and Eldridge, H.M. (2021), Avocado Production: Water Footprint and Socio-economic Implications. EuroChoices. https://doi.org/10.1111/1746-692X.12289

[3] https://www.statista.com/statistics/593211/global-avocado-production-by-country/

[4] https://www.dw.com/en/mexicos-bloody-fight-over-avocados/a-52606013

[5] https://www.slowfood.com/the-dark-side-of-your-avocado-toast/

[6] Sommaruga, R. and Eldridge, H.M. (2021), Avocado Production: Water Footprint and Socio-economic Implications. EuroChoices. https://doi.org/10.1111/1746-692X.12289

[7] https://www.dw.com/en/green-gold-avocado-farming-on-the-rise-in-africa/a-57390367

[8] Sommaruga, R. and Eldridge, H.M. (2021), Avocado Production: Water Footprint and Socio-economic Implications. EuroChoices. https://doi.org/10.1111/1746-692X.12289

[9] https://content.next.westlaw.com/9-547-7926?__lrTS=20210203103555733&transitionType=Default&contextData=(sc.Default)&firstPage=true

[10] https://www.internazionale.it/video/2019/07/25/esportazione-avocado-acqua-cile

[11] https://www.internazionale.it/reportage/alice-facchini/2017/07/24/avocado-cile-acqua

[12] https://www.eda.admin.ch/deza/it/home/temi-dsc/acqua/acqua-esseri-umani.html

[13] https://www.slowfood.com/the-dark-side-of-your-avocado-toast/

[14] https://www.wbur.org/hereandnow/2020/02/07/avocados-mexican-drug-cartels

[15] https://www.businessinsider.com/us-avocado-consumption-helping-mexican-drug-cartels-border-guns-2020-2?r=US&IR=T

[16] https://www.latimes.com/world-nation/story/2019-11-20/mexico-cartel-violence-avocados

[17] https://www.dw.com/en/mexicos-bloody-fight-over-avocados/a-52606013

[18] https://www.businessinsider.com/us-avocado-consumption-helping-mexican-drug-cartels-border-guns-2020-2?r=US&IR=T