2018/2019 La situazione dei Diritti Umani in Svizzera: un impegno per i diritti umani e il diritto internazionale

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2018/2019 La situazione dei Diritti Umani in Svizzera: un impegno per i diritti umani e il diritto internazionale

2018/2019 La situazione dei Diritti Umani in Svizzera: un impegno per i diritti umani e il diritto internazionale

Fonte: Amnesty International

Attraverso le urne, i cittadini hanno respinto un attacco frontale alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo in un referendum chiave tenutosi a livello nazionale. Ciononostante gli inte- ressi delle grandi imprese e della politica di sicurezza continuano a dettare le priorità politi- che del paese, e minacciano la protezione internazionale dei diritti umani. Le persone richie- denti asilo al centro di una retorica ostile mentre le nuove legislazioni in materia di sorve- glianza e di lotta al terrorismo mettono in pericolo i diritti fondamentali di tutti i residenti in Svizzera. 

In un referendum tenutosi il 25 novembre 2018, la cittadinanza ha chiaramente respinto – con il 66% di no – una proposta dell’Unione democratica di centro (UDC). La cosiddetta “iniziativa per l’autodeterminazione” mirava a stabilire il primato della Costituzione svizzera sul diritto internazionale e avrebbe potuto portare la Svizzera a denunciare la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU). Settant’anni dopo l’adozione della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, attraverso le urne i cittadini svizzeri hanno inviato un messaggio chiaro e importante in tutta Europa, affermando l’importanza del diritto internazionale. Il popolo svizzero ha quindi preso posizione con forza contro coloro che cercano di erodere il sistema europeo di protezione dei diritti umani. Il risultato inequivocabile del referendum è stato possibile solo grazie al grande impegno di molti attori della società civile e ai sostenitori di Amnesty International. Non solo hanno sostenuto la CEDU e la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, ma sono anche riusciti a convincere la popolazione dell’importanza della tutela dei diritti umani. 

Maggiore coerenza nella politica dei diritti umani 

Affinché la Svizzera – con Ginevra “capitale mondiale dei diritti umani” – possa presentarsi come promotrice e sostenitrice dei diritti umani, è necessario un riorientamento della politica in questa direzione. La priorità generalmente data dal Consiglio federale agli interessi economici o securitari – in particolare per quanto riguarda il controllo delle esportazioni di armi – è in contraddizione con l’immagine di tradizione umanitaria di cui la Svizzera ama abbellirsi. 

Il rifiuto di firmare il Trattato internazionale sulla proibizione delle armi nucleari e il ritardo nella creazione di un’istituzione nazionale per i diritti umani, sono in contraddizione con gli obiettivi di politica estera di promozione della pace e dei diritti umani e con le dichiarazioni della diplomazia svizzera proprio in questi ambiti. La lotta per un mondo senza armi nucleari è stata portata avanti per decenni dal Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE), che ha sostenuto il trattato fin dall’inizio, per poi non firmarlo. Nel mese di marzo si è concluso il terzo Esame periodico universale della Svizzera davanti al Consiglio per i Diritti Umani dell’ONU. La Svizzera ha accettato 160 raccomandazioni sulle 251 formulate: sono state accolte tutte le raccomandazioni per la creazione di un’istituzione nazionale indipendente per i diritti umani secondo i Principi di Parigi, ma invece di attuare rapidamente questi impegni, il Consiglio federale tergiversa su questo progetto da oltre 15 anni. 

Eccessivo rigore con i richiedenti asilo 

Motivo di preoccupazione è anche l’inasprimento delle leggi sull’asilo e sugli stranieri, accompagnato dal trattamento sempre più restrittivo nei confronti di richiedenti asilo e migranti in Svizzera. Si è imposto un discorso politico ostile, in particolare nei confronti dei richiedenti asilo provenienti dall’Eritrea, con tentativi di screditare le persone provenienti dai paesi dell’A- frica orientale come “rifugiati economici”. Questo discorso si riflette anche nelle pratiche più dure delle autorità competenti in materia di asilo. 

In settembre, ad esempio, la Segreteria di Stato della migrazione (SEM) ha deciso di sospendere l’ammissione provvisoria di circa 3’000 eritrei in Svizzera e di esaminare l’ipotesi di un loro rimpatrio. Questo malgrado non vi siano segnali di un miglioramento della situazione dei diritti umani nel Paese. Dal momento che quasi nessuno rientra volontariamente e il rimpatri forzati verso Asmara non sono possibili, un gran numero di eritrei in Svizzera saranno costretti a vivere nella precarietà, con un semplice aiuto d’urgenza, e saranno spinti verso l’illegalità. 

Nelle sue più recenti decisioni riguardo l’Eritrea, il Tribunale amministrativo federale (TAF) aveva riconosciuto le continue violazioni dei diritti umani nel paese e l’impossibilità di esaminare la situazione sul posto. Il Tribunale amministrativo federale ha inoltre qualificato espressamente il “servizio nazionale” esistente in Eritrea come lavori forzati, vietato ai sensi dell’arti- colo 4 della CEDU. Tuttavia, lo stesso tribunale ha emesso sentenze secondo cui i rimpatri sono ammissibili e ragionevoli, anche nei casi in cui le persone potevano aspettarsi di venir arruolate nel “servizio nazionale”. 

Le continue pressioni da parte di diversi partiti e politici per maggior rigore nei confronti dei richiedenti asilo contrastano con la diminuzione del numero di richieste di asilo a seguito della chiusura della rotta balcanica e alle limitazioni alle vie di fuga attraverso il Mediterraneo. 

Invece di mostrare maggiore solidarietà nei confronti di Paesi come l’Italia o la Grecia, che devono trattare la maggior parte delle richieste di asilo in Europa, la Svizzera mantiene un alto tasso di rinvii verso l’Italia, possibili ai sensi del regolamento di Dublino, che determina quale Stato membro dell’UE è competente per l’esame di una domanda d’asilo. Nel novembre 2017 Amnesty International, con 200 organizzazioni e 33’000 persone, ha consegnato al Consiglio federale l’Appello nazionale Dublino, che invita le autorità svizzere competenti in materia d’asilo a ricorrere maggiormente alla clausola discrezionale (articolo 17 del regolamento di Dublino) nel trattare le domande di richiedenti particolarmente vulnerabili. 

Nel settembre 2018, di fronte al rigore delle autorità svizzere, il Comitato delle Nazioni Unite contro la tortura (CAT) ha fissato dei limiti agli allontanamenti di persone particolarmente vulnerabili nell’ambito del sistema di Dublino. Questa importante decisione è stata presa dalla CAT in merito al caso di un cittadino eritreo che era stato imprigionato nel suo paese d’origine per cinque anni per motivi politici ed era stato ripetutamente torturato e maltrattato. Dopo il suo rilascio era stato arruolato con la forza e aveva servito come guardia di frontiera fino a quando è riuscito a fuggire dal paese. Quando ha presentato domanda di asilo in Svizzera nel settembre 2015, era gravemente traumatizzato, necessitava di cure mediche urgenti, e dipendeva dal sostegno di suo fratello, che vive in Svizzera. Nonostante questi elementi le autorità svizzere competenti in materia di asilo hanno ordinato il suo trasferimento in Italia. Secondo la CAT il rinvio avrebbe costituito un trattamento disumano, in violazione della Convenzione ONU contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti (violazione del principio di non-refoulement che vieta il rinvio forzato verso un Paese in cui l’individuo rischierebbe gravi violazioni dei diritti dell’uomo). Il Comitato ha invitato la Svizzera a non espellere il denunciante, e ad entrare in materia in merito alla sua domanda d’asilo. 

In base a questa sentenza, Amnesty International ha chiesto alla SEM di elaborare nuove linee guida per la valutazione dei richiedenti asilo particolarmente vulnerabili e, in attesa della loro pubblicazione, di incaricare i Cantoni di sospendere i loro trasferimenti. 

Violazioni della Convenzione sui diritti del fanciullo 

L’espulsione di una famiglia siriana residente in Ticino verso la Grecia è stata fermata grazie all’intervento di un organismo internazionale. Il Comitato delle Nazioni Unite per i diritti del fanciullo ha chiesto alle autorità svizzere competenti in materia di asilo di sospendere temporaneamente l’allontanamento. Le autorità svizzere non avevano preso in considerazione gli effetti sui minori interessati di una deportazione in Grecia, una possibile violazione dell’articolo 3 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo. La Convenzione, che è vincolante per la Svizzera, esige che nelle decisioni in materia di asilo sia data priorità al benessere dei minori.

Nell’ambito dell’Esame periodico universale gli Stati partecipanti hanno criticato la detenzione amministrativa dei minorenni stranieri in attesa del rinvio. Amnesty International invita la Svizzera a cercare soluzioni alternative e a lavorare per mettere fine alla detenzione di minorenni per motivi legati alla migrazione. 

Solidarietà criminalizzata 

Preoccupa anche la tendenza a criminalizzare le persone che aiutano migranti e rifugiati. In settembre il Tribunale distrettuale di Losanna ha annullato la condanna di una giovane donna che aveva subaffittato una stanza a un richiedente asilo iraniano che, per motivi di salute, non poteva vivere in alloggio comunitario. La donna era stata multata anche se non aveva tratto alcun vantaggio materiale dall’aiuto dato a questa persona e aveva agito per pura compassione. A Neuchâtel un pastore evangelico si è visto comminare una multa per aver temporaneamente ospitato e nutrito – per altruismo – un uomo del Togo che viveva illegalmente in Svizzera. 

Discriminazione / LGBT 

Amnesty International accoglie con favore gli sforzi in corso in Parlamento per criminalizzare la discriminazione basata sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere. Anche le modifiche previste del Codice civile, volte a facilitare il cambiamento di genere nei registri dello stato civile, sono un passo positivo. In futuro dovrebbe essere più facile per le persone tran- sgender e le persone con un’identità di genere non definita cambiare il proprio genere e il proprio nome nel registro. Invece delle attuali procedure legali, in futuro dovrebbe bastare una dichiarazione rilasciata agli ufficiali dello stato civile competenti. Inoltre, Amnesty International chiede anche la possibilità di scegliere un “terzo genere” se una persona non si sente né femmina né maschio. 

Lotta al terrorismo e rischi per i diritti fondamentali 

Nonostante la Svizzera sia stata risparmiata dagli attacchi terroristici, le autorità hanno rapidamente elaborato diversi pacchetti di leggi e di misure che hanno importanti conseguenze sulla privacy e i diritti individuali delle persone sospettate. Due nuove leggi consentono un ampio margine alla sorveglianza in Svizzera: la legge sulle attività informative (LAIn) e la revi- sione della Legge federale sulla sorveglianza della corrispondenza postale e del traffico delle telecomunicazioni (LSCPT). La LAIn, entrata in vigore nel settembre 2017, conferisce molte nuove competenze al Servizio di attività informative. Consente ad esempio di effettuare intercettazioni telefoniche, una forma di sorveglianza di massa indiscriminata. Le disposizioni sulla conservazione dei metadati previste dalla revisione della LSCPT sono problematiche dal punto di vista dei diritti umani. I fornitori di servizi postali, telefonici e Internet sono tenuti a conservare per sei mesi i dati di comunicazione dei loro clienti. Poiché questa misura riguarda tutti, senza eccezioni, costituisce una violazione sproporzionata della sfera privata. Nel settembre 2018 la “Digitale Gesellschaft” ha intentato una causa per conto di varie persone davanti alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) per la violazione di diversi diritti fondamentali causata dalla conservazione dei loro dati. 

Amnesty International critica anche la revisione del Codice penale svizzero, che per la prima volta introduce una definizione di “terrorismo”. Poiché non esiste una definizione di terrorismo riconosciuta a livello internazionale, gli Stati elaborano definizioni proprie, spesso vaghe ed imprecise. Norme antiterrorismo ambigue possono però avere conseguenze pesanti per i sospettati. Nel progetto di legge il divieto delle “organizzazioni terroristiche” e del loro sostegno è stato definito in modo vago. Inoltre la responsabilità di decidere se un’organizzazione è considerata terrorista o meno non sarebbe più di un’autorità politica ma verrebbe attribuita ai sin- goli tribunali. Una disposizione, questa, che viola il principio di legalità, secondo il quale il diritto penale deve essere il più preciso possibile così da garantire che tutti sappiano cosa costituisce un reato e le sue conseguenze. Prendendo di mira i cosiddetti “potenziali aggressori” – persone che non hanno commesso un reato né sono sospettate di pianificarne uno, ma che corrispondono solo a un determinato profilo – la legge sulle misure di polizia contro il terrorismo si spinge troppo in là. 

Sorveglianza degli assicurati 

La revisione della legge federale sulla parte generale del diritto delle assicurazioni sociali (LPGA), accettata in votazione popolare il 25 novembre scorso, potrebbe anche sfociare in violazioni sproporzionate dei diritti fondamentali. Al fine di condannare i sospetti “truffatori sociali”, la legge svizzera prevede ora esplicitamente la sorveglianza dei clienti da parte di investigatori privati impiegati dalle agenzie sociali, come pure l’uso di tecnologie per intercettare conversazioni telefoniche, droni con telecamere e dispositivi di localizzazione GPS. Questo tipo di monitoraggio può interessare chiunque: dai disoccupati alle persone disabili, come pure gli assicurati delle casse malati o dell’assicurazione per infortunio. Amnesty International si è pronunciata contro questa nuova legge poiché ritiene che non garantisca il diritto alla privacy sancito dalla Costituzione federale e dalla CEDU.