Puniti senza processo

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Puniti senza processo

Puniti senza processo

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Una parte delle misure previste dalla legge sulle misure di polizia per la lotta al terrorismo (MPT) vengono già applicate in Francia. La proroga di poteri eccezionali, ben oltre il periodo di incertezza seguito agli attentati di Parigi, ha ampiamente contribuito alla messa in atto di queste sanzioni che hanno delle ripercussioni terribili per le persone di cui sono vittime.

Il caso di Joël

Militante ecologista della prima ora, l’impegno di Joël gli è costato gli arresti domiciliari e una sorveglianza costante, ci racconta il suo quotidiano:

Joël Domenjoud, 34 anni, percorre le stradine deserte di Bure (Mosa), con due baguettes sotto il braccio. Militante ecologista della prima ora, Joël si è visto attribuire agli arresti domiciliari al momento della Conferenza di Parigi sul clima, che si è tenuta nel dicembre 2015. Nel momento in cui il governo dichiara lo stato d’emergenza, Joël esce di casa e ha la sensazione di essere seguito. “Ho girato in tondo nel quartiere, qualcuno mi seguiva”, ricorda. Preso dal panico, sale su un bus e smonta il suo telefono. Quando lo riaccende, due ore più tardi, la sua vicina di casa lo chiama, preoccupata: nelle scale della palazzina sono allineati una ventina di poliziotti, che lo cercano. Joël si reca allora al commissariato dove viene informato che, per tre settimane, non potrà uscire da Malakoff, dove abita.

Ogni giorno degli agenti di polizia si alternavano per seguirlo. A volte l’uomo sente che una vettura segue la sua bicicletta per assicurarsi che sarà puntuale in commissariato. “Dovevo presentarmi tre volte al giorno: alle 9, alle 13.30 e alle 19.30”.

Joël trascorre i suoi pomeriggi ad organizzare gli incontri associativi a Malakoff, dedicati alle grandi sfide internazionali legate al clima. Un modo per lui di partecipare, nonostante tutto, all’evento che aspettava da tempo. Ma, a partire dalle 20, deve rinchiudersi in casa.

Amici e parenti temono di chiamarlo o di scrivergli messaggi mail. Chi lo fa ne paga le conseguenze. Una sera, un amico lo avverte che sta per arrivare con “una piccola sorpresa”. Sarà immediatamente perquisito all’uscita dalla metro. Nel suo zaino: una scatola di biscotti.

In un rapporto del ministero degli Interni, il giovane uomo vien dipinto come un “individuo violento” che partecipa a delle manifestazioni che causano un disturbo all’ordine pubblico. Ciononostante, per una sua amica, anche lei militante ecologista, “Joël è il tipo di persona alla quale ci si rivolge quando c’è da risolvere un conflitto. Riesce sempre a calmare gli animi quando si sta per perdere il controllo della situazione”. 

Joël denuncia il carattere diffamatorio del rapporto ministeriale: “Hanno scritto solo di alcuni raduni che sono degenerati, negando tutto il resto della mia vita militante”. È diventato militante no global quando studiava filosofia. È anche stato attivo nel movimento giovanile di Amnesty e ha partecipato alla rete No Border.

In seguito agli arresti domiciliari, Joël non riesce a cancellare dalla memoria le settimane trascorse sotto alta sorveglianza. “Si era rotto qualcosa. Ho sentito il bisogno di trovare un rifugio, un luogo dove la solidarietà trionfasse su tutto il resto”. Nell’agosto 2016 abbandona la vita parigina e si trasferisce a Bure con una trentina di attivisti ecologisti. Piantano patate, cipolle e cereali nei campi dei dintorni per vivere insieme, “costruire un altro modo di vita”.

Qui, in piena campagna, a 300 chilometri da Parigi, il ritmo dei controlli di polizia rimane lo stesso. “La polizia passa mediamente due volte al giorno per registrare i numeri delle targhe delle automobili parcheggiate davanti a casa nostra”, testimonia una persona che condivide la casa con Joël.

Gli abitanti della casa denunciano una pressione quotidiana, sufficientemente discreta per non fare scalpore. “Bisogna vederlo per crederlo”. Joël ritiene che le pressioni da parte della polizia siano molto aumentate dopo la dichiarazione dello stato d’urgenza. “Si instaura la paura come principio di vita, per poter fermare chiunque in qualsiasi momento”, commenta prima di ammettere che si è abituato, anche lui, a questo stato eccezionale.

Alla vigilia di una mobilitazione, lo sa, il suo telefono emetterà dei “rumori bizzarri”. A ogni nuova visita, l’elicottero della gendarmeria volerà sopra la casa. E ogni mattina saluterà l’uomo in uniforme all’angolo della strada, tenendo due baguettes sotto il braccio.

Maggiori informazioni su Joël Domenjoud  

https://www.amnesty.fr/liberte-d-expression/actualites/joel-la-surveillance-au-quotidien