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L'inclusione nell'educazione è prima di tutto un processo 1

L’inclusione nell’educazione è prima di tutto un processo

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L’istruzione inclusiva è per tutti.

L’istruzione inclusiva è comunemente associata ai bisogni delle persone con disabilità e alla relazione tra l’istruzione speciale e quella tradizionale. Dal 1990, la lotta delle persone con disabilità ha condotto a una nuova prospettiva globale sull’inclusione nell’istruzione, portando al riconoscimento del diritto all’istruzione inclusiva nell’articolo 24 della Convenzione ONU del 2006 sui Diritti delle Persone con Disabilità (CRPD). Tuttavia, come ha riconosciuto il Commento Generale n. 4 sull’articolo nel 2016, l’inclusione deve avere una portata più ampia. Gli stessi meccanismi escludono non solo le persone con disabilità, ma anche altre a causa di genere, età, povertà, etnia, lingua, religione, stato di migrazione o spostamento, orientamento sessuale o espressione di identità di genere, incarcerazione, credenze e atteggiamenti. Sono il sistema e il contesto che non tengono conto della diversità e della molteplicità dei bisogni, come la pandemia Covid-19 ha messo a nudo. Sono la società e la cultura che determinano le regole, definiscono la normalità e percepiscono la differenza come devianza. Il concetto di barriere alla partecipazione e all’apprendimento dovrebbe sostituire quello di bisogni speciali.

L’inclusione è un processo.

L’educazione inclusiva è un processo che contribuisce al raggiungimento dell’obiettivo dell’inclusione sociale. Definire un’educazione equa richiede una distinzione tra “uguaglianza” e “equità”. L’uguaglianza è uno stato di cose (cosa): un risultato. L’equità è un processo (come): azioni volte a garantire l’uguaglianza. Definire l’educazione inclusiva è più complicato perché processo e risultato sono confusi. E’ necessario pensare all’inclusione come ad un processo: azioni che abbracciano la diversità e costruiscono un senso di appartenenza, radicato nella convinzione che ogni persona ha valore e potenziale, e dovrebbe essere rispettata, indipendentemente dal suo background, capacità o identità. Allo stesso modo l’inclusione può anche essere uno stato di cose, un risultato, che il CRPD e il Commento Generale n. 4 non hanno definito con precisione, probabilmente a causa delle diverse opinioni su quale dovrebbe essere il risultato.

Fonte: Global Education Monitoring Report summary, 2020: Inclusion and education: all means all

https://unesdoc.unesco.org/ark:/48223/pf0000373721/PDF/373721eng.pdf.multi


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Nella scuola l'inclusione come un faro

Nella scuola l’inclusione come un faro

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«La differenza, se c’è, è piuttosto un problema nostro, di adulti. Lo sguardo dei ragazzi è uno sguardo che non etichetta». Non potrebbe essere più chiaro, Paolo Iaquinta, per illustrare la sua visione di diversità, di integrazione ed inclusione nel contesto scolastico. A Minusio, sede di Scuola media di cui è direttore, è partito quest ’anno in una classe di prima un progetto inclusivo che favorisce una riflessione a tutto campo sul tema e sulla sua evoluzione nella scuola ticinese.

Questione di attitudine
«Inclusione – dice Iaquinta – non è soltanto strutture, quindi dare un 120%, con un buon docente di pedagogia speciale e un valido appoggio con un secondo docente; non è soltanto avere delle tecniche di differenziazione pedagogica. È, in primo luogo, un’attitudine dell’insegnante, una visione del mondo. Quello stesso mondo fatto di tante persone diverse che convivono in una società unica. Ogni singola classe è una piccola società, che allo stesso modo deve e può accogliere persone diverse fra loro».

Sviluppo di competenze: nessun pregiudizio

Paolo Iaquinta ricorda uno studio del Centro innovazione e ricerca sui sistemi educativi (Cirse) della Supsi, secondo cui «per un allievo di scuola ordinaria il fatto di essere inserito in una classe inclusiva non pregiudica assolutamente lo sviluppo di competenze. Questo ci ha fatto
molta forza, anche per andare a parlare con i genitori, i quali iscrivono i loro figli ad una Scuola media, non ad una Scuola media inclusiva».

Mengoni: ‘Disabilità, cambiato il paradigma’

Secondo il capo della Sezione della pedagogia speciale Mattia Mengoni, «in tema di disabilità, da tempo è cambiato il paradigma: la disabilità non appartiene più alla persona, ma si esprime attraverso il contesto che essa frequenta. Quindi quanto più è accogliente un ambiente, tanto meno emergono determinate caratteristiche intese come difficoltà e tanto più favoriamo lo svolgimento di un’attività». È quindi fondamentale, per Mengoni, «chiedersi cosa può fare il contesto per rendersi più accessibile.
E questo vale anche per la scuola. Non è più sufficiente una dimensione integrativa ancorata già alla vecchia Legge del ’75, ma si punta su diverse forme di sostegno.

‘Per fare passi avanti bisogna crederci’

Un’altra questione è centrale: quella legata al territorio di appartenenza. A molte classi inclusive appartengono ragazzi slegati da quella specifica realtà. «Idealmente, se si parla di inclusione, bisognerebbe partire dal presupposto che l’inclusione si fa nel proprio Comune di domicilio, o almeno nel proprio comprensorio – ammette Mengoni –. Il fatto è che il numero di allievi e la disponibilità delle sedi, per questioni di numeri e di sensibilità storica, non permette ancora di creare dei gruppi con un’attinenza territoriale.

Più si sarà in grado di organizzare un sistema scolastico che risponde al proprio interno aquesti bisogni, «tanto più riusciremo a garantire che ogni Scuola media risponda alle esigenze degli allievi del proprio comprensorio.

Importantissimo, infine, è «pensare all’inclusione come a una misura didattica valutabile e implementabile, e non unicamente come una questione ideologica».

Fonte:

https://www4.ti.ch/fileadmin/DECS/DS/SPS/documenti/Nella_scuola_l_inclusione_come_un_faro_La_Regione_17.11.2020.pdf