Economia e Diritti Umani

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Il lato oscuro degli avocado

Il lato oscuro degli avocado – Le conseguenze negative della produzione di avocado

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Di Letizia Pinoja

Negli Stati Uniti dal 1990 al 2017 la consumazione pro capite di avocado è aumentata del 406%.[1] Su scala mondiale, si stima che attualmente la popolazione consumi all’incirca cinque milioni di tonnellate di avocado l’anno. Nel 2018, il cittadino europeo ha consumato in media 1,05 kg di avocado. A causa della popolarità raggiunta fra le nuove generazioni questa cifra è destinata a salire,[2] ma a quale prezzo? 

Produzione e consumo di avocado

Originario dell’America Centrale, oggi l’avocado è coltivato in varie regioni tropicali del mondo.[3] Il principale esportatore è il Messico, producendo il 40% dell’offerta mondiale.[4] Grazie alle sue proprietà nutritive e alla sua versatilità, l’avocado viene sfruttato sia nel campo alimentare, sia nell’industria cosmetica. Da ciò derivano profitti enormi: tra il 2018 e il 2019 le esportazioni di avocado hanno fruttato globalmente 2,8 miliardi di dollari.[5] Come spesso accade, queste cifre esorbitanti sono possibili solo a scapito di terzi. È infatti sempre più grande la preoccupazione riguardo all’impatto negativo sull’ambiente causato dal consumo di avocado, nonché alle gravi violazioni dei diritti umani implicate nel processo.

Una produzione insostenibile

La coltivazione di avocado richiede ingenti quantità d’acqua. Nel 2018 la produzione globale di avocado ha portato al consumo di 6,96 km cubi di acqua, l’equivalente di 2,82 milioni di piscine olimpioniche.[6] Inoltre, vista la crescente domanda per gli avocado, tante industrie hanno optato per una monocultura di avocado, mettendo a dura prova la biodiversità e la sicurezza alimentare d’intere regioni.[7] Un’ulteriore conseguenza della “avocado-mania” è la deforestazione: in Messico, per esempio, sono sempre più frequenti gli incendi illegali di foreste.[8] 

Le conseguenze ambientali nefaste portano anche a violazioni dei diritti umani, e il caso del Cile ne è un esempio. A causa di una legge del 1981[9], in Cile è possibile comprare e possedere fonti d’acqua. Esiste quindi un vero e proprio monopolio dell’acqua controllato dalle agroindustrie produttrici di avocado.[10] Le falde acquifere e i fiumi, se non inquinati dall’uso di pesticidi e fertilizzanti illegali in Europa, sono stati prosciugati in nome del frutto. La popolazione locale è totalmente privata dell’acqua, al punto da essere costretta a fare i propri bisogni in sacchetti di plastica.[11] Nel 2010 le Nazioni Unite hanno sancito il diritto all’acqua quale diritto umano.[12] Imporre alle persone di vivere in condizioni precarie, provvedendo con camion d’acqua non del tutto potabile trasportata da altre regioni cilene, è una grave violazione dei loro diritti fondamentali.  

Il costo umano degli avocado

La popolazione cilena non è l’unica a subire le conseguenze della produzione di avocado. Gli enormi profitti hanno attirato gang criminali in tutto il mondo, in particolare i cartelli della droga messicani.[13] Esse manipolano le comunità agricole locali, impongono la monocoltura di avocado e beneficiano dei profitti.[14] Se i contadini si ribellano o resistono spesso vengono intimiditi, rapiti o uccisi.[15] Inoltre, le possibilità di arricchimento fanno gola a tante gang, creando situazioni violente pericolose per la popolazione locale.[16] Solo nel 2018 nella cittadina messicana di Uruapan, capitale mondiale dell’avocado abitata da 300’000 anime, 297 persone sono state vittima di uccisioni da parte della criminalità organizzata.[17]

E quindi cosa fare? Boicottare non è di certo la soluzione, poiché migliaia di famiglie sopravvivono grazie alla coltura degli avocado. Inoltre, i cartelli della droga possono diventare più aggressivi ed esigenti per compensare le perdite che una diminuzione della domanda comporterebbe. Tuttavia, un primo passo che potrebbero fare i singoli è fare pressione sui distributori locali e le multinazionali coinvolte nella produzione di avocado, cercando di ottenere giustizia e la salvaguardia dei diritti umani.[18]


[1] https://www.dw.com/en/green-gold-avocado-farming-on-the-rise-in-africa/a-57390367

[2] Sommaruga, R. and Eldridge, H.M. (2021), Avocado Production: Water Footprint and Socio-economic Implications. EuroChoices. https://doi.org/10.1111/1746-692X.12289

[3] https://www.statista.com/statistics/593211/global-avocado-production-by-country/

[4] https://www.dw.com/en/mexicos-bloody-fight-over-avocados/a-52606013

[5] https://www.slowfood.com/the-dark-side-of-your-avocado-toast/

[6] Sommaruga, R. and Eldridge, H.M. (2021), Avocado Production: Water Footprint and Socio-economic Implications. EuroChoices. https://doi.org/10.1111/1746-692X.12289

[7] https://www.dw.com/en/green-gold-avocado-farming-on-the-rise-in-africa/a-57390367

[8] Sommaruga, R. and Eldridge, H.M. (2021), Avocado Production: Water Footprint and Socio-economic Implications. EuroChoices. https://doi.org/10.1111/1746-692X.12289

[9] https://content.next.westlaw.com/9-547-7926?__lrTS=20210203103555733&transitionType=Default&contextData=(sc.Default)&firstPage=true

[10] https://www.internazionale.it/video/2019/07/25/esportazione-avocado-acqua-cile

[11] https://www.internazionale.it/reportage/alice-facchini/2017/07/24/avocado-cile-acqua

[12] https://www.eda.admin.ch/deza/it/home/temi-dsc/acqua/acqua-esseri-umani.html

[13] https://www.slowfood.com/the-dark-side-of-your-avocado-toast/

[14] https://www.wbur.org/hereandnow/2020/02/07/avocados-mexican-drug-cartels

[15] https://www.businessinsider.com/us-avocado-consumption-helping-mexican-drug-cartels-border-guns-2020-2?r=US&IR=T

[16] https://www.latimes.com/world-nation/story/2019-11-20/mexico-cartel-violence-avocados

[17] https://www.dw.com/en/mexicos-bloody-fight-over-avocados/a-52606013

[18] https://www.businessinsider.com/us-avocado-consumption-helping-mexican-drug-cartels-border-guns-2020-2?r=US&IR=T


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Giornata Mondiale dell’Ambiente 2021: serve un’azione urgente per il ripristino dell’ecosistema

Giornata Mondiale dell’Ambiente 2021: serve un’azione urgente per il ripristino dell’ecosistema

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Dalla prima Giornata Mondiale dell’Ambiente nel 1974, l’evento è cresciuto fino a diventare una piattaforma globale per la sensibilizzazione pubblica sul tema dell’ambiente in oltre 100 Paesi.

La Giornata Mondiale dell’Ambiente 2021 è ospitata dal Pakistan e ha come tema il “Ripristino dell’Ecosistema” nell’ambito della campagna “Reimagine. Recreate. Restore.” Quest’anno, la Giornata servirà anche per il lancio ufficiale del Decennio delle Nazioni Unite per il Ripristino dell’Ecosistema 2021-2030. Gli hashtag ufficiali della Giornata sono #GenerationRestoration e #WorldEnvironmentDay.

Ripristino dell’Ecosistema

Quest’anno, la Giornata Mondiale dell’Ambiente sollecita un’azione urgente per far rivivere i nostri ecosistemi danneggiati.

Gli esseri umani stanno perdendo e distruggendo le fondamenta della propria sopravvivenza a un ritmo allarmante. Più di 4,7 milioni di ettari di foreste (pari a un’area più grande della Danimarca) vengono persi ogni anno.

Di conseguenza, la perdita dell’ecosistema sta privando il mondo di pozzi di assorbimento del carbonio come le foreste e le torbiere. Le emissioni globali di gas serra sono cresciute per tre anni consecutivi e il pianeta è sulla strada verso un cambiamento climatico potenzialmente catastrofico.

Riducendo l’habitat naturale per la fauna selvatica, abbiamo creato le condizioni ideali per il diffondersi degli agenti patogeni, compresi i coronavirus, come dimostrato dal COVID-19.

Fonte: https://unric.org/it/giornata-mondiale-dellambiente-2021-serve-unazione-urgente-per-il-ripristino-dellecosistema/


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Economia circolare in Svizzera 1

Economia circolare in Svizzera

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L’economia circolare si contraddistingue per il fatto che le materie prime vengono utilizzate in modo efficiente e il più a lungo possibile. Se si riesce a chiudere il ciclo dei materiali e dei prodotti, le materie prime possono continuare a essere riutilizzate – a beneficio non solo dell’ambiente, ma anche dell’economia svizzera.

Definizione di economia circolare

L’economia circolare, chiamata anche «circular economy», si differenza dai processi produttivi lineari tuttora diffusi. In un sistema economico di tipo lineare, si lavorano le materie prime e si fabbricano, vendono, consumano e gettano prodotti (cfr. grafico seguente). È un modus operandi che comporta scarsità di materie prime, emissioni, ingenti quantità di rifiuti e il conseguente inquinamento ambientale.

Figura 1: Rappresentazione schematica del sistema economico lineare
© UFAM

Nell’economia circolare, invece, i prodotti e i materiali vengono mantenuti all’interno del ciclo (frecce verdi nel grafico sottostante), per cui si consumano meno materie prime primarie rispetto a un sistema economico lineare. Al contempo, il valore dei prodotti si conserva più a lungo nel tempo e si generano meno rifiuti.

L’economia circolare rappresenta un approccio integrato che tiene conto dell’intero ciclo: dall’estrazione delle materie prime alla progettazione, fabbricazione e distribuzione di un prodotto, fino alla sua fase di utilizzo – che dev’essere quanto più lunga possibile – e al riciclaggio. Per far sì che prodotti e materiali rimangano all’interno di questo circuito, occorre un cambiamento di mentalità da parte di tutti i soggetti coinvolti.

Rappresentazione schematica dell’economia circolareFigura 2: Rappresentazione schematica dell’economia circolare
© UFAM

L’economia circolare in Svizzera

Sin dalla metà degli anni Ottanta la Svizzera, nazione povera di materie prime, persegue una politica volta alla realizzazione di un’economia circolare – e da allora è riuscita a chiudere, almeno in parte, alcuni cicli. Nel 2018, ad esempio, dei 17,5 milioni di tonnellate di materiali di risulta quali calcestruzzo, ghiaia, sabbia, asfalto e laterizio, circa 12 milioni sono stati riciclati. Oltre 5 milioni di tonnellate, soprattutto di materiale di demolizione misto, non rientravano ancora in un ciclo di recupero. Sul fronte dei rifiuti urbani, poco più della metà viene raccolto separatamente e riciclato. L’elevata percentuale di riciclaggio della Svizzera, tuttavia, va letta alla luce dell’imponente quantità di rifiuti generata entro i confini nazionali. Non esiste praticamente nazione in cui si registri un simile volume di rifiuti urbani rapportato al numero di abitanti.

C’è ancora parecchio da fare se si vuole rafforzare il principio dell’economia circolare. Fibre tessili, materiali edili, materie plastiche e rifiuti biogeni, ad esempio, in futuro potrebbero essere recuperati in una percentuale maggiore. Da alcuni anni ormai le aziende prendono sempre più in considerazione il principio dell’economia circolare nella loro attività.

Per il buon funzionamento dell’economia circolare, è fondamentale anche il ruolo svolto dai consumatori, che possono contribuire al cambiamento adottando uno stile di consumo sostenibile e utilizzando i prodotti il più a lungo possibile. È altresì compito loro adoperarsi affinché i prodotti vengano maggiormente condivisi, riutilizzati, riparati e ripristinati – e infine anche far sì che quelli non più utilizzabili vengano raccolti e smaltiti in modo differenziato. Un ruolo parimenti centrale nell’evoluzione verso una maggiore economia circolare spetta ai servizi d’acquisto degli enti pubblici federali, cantonali o comunali e ai servizi corrispondenti dell’economia privata.

Fonte: https://www.bafu.admin.ch/bafu/it/home/temi/economia-consumo/info-specialisti/economia-circolare.html


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La decisione del governo giapponese di scaricare in mare l’acqua contaminata ignora i diritti umani e le leggi marittime internazionali

La decisione del governo giapponese di scaricare in mare l’acqua contaminata ignora i diritti umani e le leggi marittime internazionali

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Greenpeace Giappone condanna con forza la decisione del governo guidato dal Primo ministro Suga di disporre lo scarico nell’Oceano Pacifico di oltre 1,23 milioni di tonnellate di acqua reflua radioattiva stoccata in cisterne della centrale nucleare di Fukushima Daiichi. Questa decisione ignora completamente i diritti umani e gli interessi della gente di Fukushima e in generale del Giappone e della parte di Asia che si affaccia sul Pacifico.

La Tokyo Electric Power Company (TEPCO) può dunque avviare lo scarico di rifiuti radioattivi dalla sua centrale nucleare in mare. Secondo quanto è stato anticipato, ci vorranno due anni per preparare lo scarico.

«Il governo giapponese ha ancora una volta deluso i cittadini di Fukushima», dichiara Kazue Suzuki della campagna clima ed energia di Greenpeace Giappone. «Il governo ha preso la decisione del tutto ingiustificata di contaminare deliberatamente l’Oceano Pacifico con acqua radioattiva. Ha ignorato sia i rischi legati all’esposizione alle radiazioni che l’evidenza della sufficiente disponibilità di stoccaggio dell’acqua contaminata nel sito nucleare e nei distretti circostanti. Invece di usare la migliore tecnologia esistente per minimizzare i rischi di esposizione a radiazioni immagazzinando l’acqua a lungo termine e trattandola adeguatamente per ridurre la contaminazione, si è deciso di optare per l’opzione più economica, scaricando l’acqua nell’Oceano Pacifico

Quanto deciso dal governo non proteggerà di certo l’ambiente e trascura l’opposizione su larga scala e le preoccupazioni di cittadini e cittadine di Fukushima, al pari di chi abita in tutto il Giappone. 

I relatori speciali delle Nazioni Unite per i diritti umani – sia nel giugno 2020 che a marzo 2021 – hanno avvertito il governo giapponese che lo scarico dell’acqua nell’ambiente viola i diritti dei cittadini giapponesi e dei suoi vicini, compresa la Corea. Hanno chiesto al governo giapponese di ritardare qualsiasi decisione sullo scarico in mare dell’acqua contaminata fino a quando non sarà finita la crisi del COVID-19 e non si terranno opportune consultazioni internazionali.

Fonte: https://www.greenpeace.org/italy/comunicato-stampa/13459/fukushima-greenpeace-la-decisione-del-governo-giapponese-di-scaricare-in-mare-lacqua-contaminata-ignora-i-diritti-umani-e-le-leggi-marittime-internazionali/

Fonte immagine: https://www.repubblica.it/esteri/2021/04/13/news/giappone_rilascera_acqua_contaminata_fukushima_in_mare-296221153/


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In ricordo di Liu Xiaobo. Europa, Stati Uniti e la difesa dei diritti umani 2

In ricordo di Liu Xiaobo. Europa, Stati Uniti e la difesa dei diritti umani

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Il 6 marzo si celebra la Giornata dei Giusti, indissolubilmente legata ai temi della democrazia e la prevenzione dei genocidi, voluta con tenacia dall’associazione Gariwo, ispirandosi al Giardino dei Giusti di Gerusalemme. La giornata è stata appoggiata nel 2012 dal voto del Parlamento europeo per ricordare coloro che si sono opposti con responsabilità individuale ai crimini contro l’umanità e ai totalitarismi.

Quest’anno sarà ricordato, tra gli altri, il cinese Liu Xiaobo che, insieme alla moglie Liu Xia, fu capace di rilanciare un messaggio, in occasione del suo arresto che, “potrebbe diventare un manifesto per rinnovare il gusto della democrazia e del pluralismo ovunque”. “Non ho nemici, né provo odio” aveva detto ai suoi carcerieri Liu Xiaobo.

Quell’odio che, aggiungeva, “corrompe la coscienza e l’intelligenza dell’uomo, insieme con la mentalità da nemico, che avvelena lo spirito di una nazione, istigano alla lotta brutale in cui domina la regola mors tua vita mea, distruggono la tolleranza e l’umanità di una società, ostacolano il progresso di una nazione verso la libertà e la democrazia.”

Liu Xiaobo, che era stato attivo per anni nella difesa dei diritti umani nel suo Paese, aveva ricevuto il Premio Nobel per la pace nel 2010 “per il suo impegno non violento a tutela dei diritti umani in Cina”. Primo cinese a ricevere questo importante riconoscimento durante la detenzione, lo scrittore Liu, professore di letteratura, aveva iniziato la sua attività di dissidente nel 1989, quando partecipò alle manifestazioni in piazza Tienanmen.

Accusato e condannato nel 1991, successivamente aveva sottoscritto il manifesto Charta 08, nel dicembre del 2008, in occasione del sessantesimo anniversario dell’adozione della Dichiarazione universale dei diritti umani, raccogliendo subito adesioni sia di semplici cittadini che di intellettuali e attivisti.

Liu Xiaobo ha conciliato la tenacia della sua denuncia con la manifestazione di un atteggiamento non violento e non ispirato all’odio. La Storia ci ha insegnato che questi atteggiamenti possono alla fine avere la ragione.

La difesa dei diritti umani si confronta sempre con le azioni di singoli Stati. Ne sa qualcosa l’Unione europea che in questi giorni è impegnata su diversi fronti, in particolare con la Russia dopo l’arresto di Alexei Navalny, dopo il suo rientro a Mosca dalla Germania e un rapido processo.

Il Consiglio dei ministri dell’UE ha infatti deciso, martedì 2 marzo, di imporre misure restrittive per quattro esponenti delle autorità russe, responsabili di serie violazioni dei diritti umani, compreso l’arresto e la detenzione arbitraria, così come la dispersione e la repressione sistematica di pacifiche manifestazioni.

Questa decisione fa parte del nuovo regime globale dell’UE per le sanzioni in caso di violazione dei diritti umani, dovunque accadano nel mondo, adottato dall’UE il 7 dicembre dello scorso anno.

Si tratta di una sorta di “Magnitsky Act” europeo, simile a quello adottato dagli Stati Uniti nel 2012 per sanzionare i responsabili della morte di Sergey Magnitsky, esperto fiscale in Russia, per aver scoperto una frode che coinvolgeva funzionari corrotti. (vedi articolo …

In questo contesto ha fatto irruzione il nuovo Presidente americano Joe Biden. Il suo America is back! è diventato il leit motiv di numerose decisioni che stanno restituendo agli Usa il ruolo (e le responsabilità) che gli spettano sulla scena internazionale (rientro nella Conferenza di Parigi sul cambiamento climatico, rientro nella Commissione diritti umani dell’Onu, la clamorosa denuncia dei responsabili dell’assassinio del giornalista saudita Jamal Khashoggi, ucciso in maniera feroce all’interno dell’Ambasciata del suo Paese in Turchia).

Questo quadro potrebbe essere arricchito da un lato dalla denuncia delle tante, troppe, violazioni della libertà e dei diritti che si perpetrano in tutto il mondo, ma anche di quanto si fa per realizzare nuove convergenze tra attori statali e non nell’azione per contrastare quelle violazioni. È un confine mobile, che ripropone continuamente contraddizioni e limiti. Per questo il Ricordo e il riconoscimento dei Giusti è utile a indicare il cammino da compiere ogni giorno.

Fonte: https://it.gariwo.net/persecuzioni/diritti-umani-e-crimini-contro-l-umanita/in-ricordo-di-liu-xiaobo-europa-stati-uniti-e-la-difesa-dei-diritti-umani-23181.html


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Che cos'è la Giustizia sociale?

Che cos’è la Giustizia sociale?

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La giustizia sociale è un principio di fondo per la coesistenza pacifica e prosperosa dei paesi e tra i paesi. Sosteniamo i principi della giustizia sociale quando promuoviamo l’uguaglianza di genere, i diritti delle popolazioni indegene o dei migranti. Sosteniamo la giustizia sociale quando rimuoviamo le barriere che le persone devono superare a causa del loro genere, dell’età, della razza, dell’appartenenza etnica, della religione, della cultura, o delle disabilità.

Per le Nazioni Unite, il raggiungimento della giustizia sociale per tutti è il punto centrale della missione globale per lo sviluppo e la dignità umana. L’adozione della “Dichiarazione sulla Giustizia sociale per una globalizzazione giusta” (Declaration on Social Justice for a Fair Globalization) dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (International Labour Organization – ILO) è solo uno degli esempi più recenti dell’impegno del Sistema dell’ONU per la giustizia sociale. La Dichiarazione si propone di garantire risultati giusti per tutti, attraverso il lavoro, la protezione e il dialogo sociale, e i principi e i diritti fondamentali del lavoro.

Contesto

Il 10 giugno 2008, l’Organizzazione Internazionale del Lavoro ha adottato all’unanimità la “Dichiarazione dell’ILO sulla giustizia sociale per una globalizzazione giusta”.  La Dichiarazione rappresenta la terza più importante asserzione dei principi e delle politiche adottate dalla Conferenza internazionale del lavoro dal 1919, anno di Costituzione dell’ILO. Il documento si basa sulla Dichiarazione di Filadelfia del 1944 e sulla Dichiarazione sui Principi e Diritti Fondamentali nel Lavoro del 1998. La Dichiarazione del 2008 esprime la visione contemporanea del mandato dell’ILO nell’era della globalizzazione.

Leggi la Dichiarazione dell’ILO sulla giustizia sociale per una globalizzazione giusta: Declaration on Social Justice for a Fair Globalization

Fonte: https://www.onuitalia.it/giornata-internazionale-della-giustizia-sociale-2/


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BARÇA: GRIEZMANN INTERROMPE LA COLLABORAZIONE CON HUAWEI A SOSTEGNO DEGLI UIGURI

Barça: Griezmann interrompe la sua collaborazione con Huawei a sostegno degli Uiguri

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L’attaccante francese del Barcellona Antoine Griezmann ha annunciato giovedì la fine della sua collaborazione con la società cinese Huawei, sospettata di aver istituito un sistema di riconoscimento facciale per gli uiguri, perseguitati in Cina.

Dopo la storica interruzione della partita PSG-Basaksehir di martedì sera in Champions League, questa è un’altra dichiarazione forte da parte di un personaggio del mondo del calcio. Un noto giocatore: Antoine Griezmann. L’attaccante francese del Barcellona ha annunciato giovedì, in un comunicato stampa, che “terminerà immediatamente” la sua collaborazione con la società cinese Huawei, a sostegno della comunità uigura, perseguitata in Cina.

“Invito Huawei non solo a negare queste accuse, ma ad agire per condannare al più presto questa repressione”.

“A seguito dei forti sospetti che Huawei abbia contribuito allo sviluppo di un programma di ‘Allarme uiguro’ utilizzando un software di riconoscimento facciale, annuncio che sto mettendo immediatamente fine alla mia partnership con questa azienda”, spiega il campione del mondo.

“Colgo l’occasione per invitare Huawei non solo a negare queste accuse, ma ad agire concretamente il più presto possibile per condannare questa repressione di massa e per usare la sua influenza per contribuire al rispetto dei diritti umani e delle donne nella società.”

Fonte: https://rmcsport.bfmtv.com/football/barca-en-soutien-aux-ouighours-griezmann-rompt-son-partenariat-avec-huawei-2016820.html


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Gli Stati Uniti bloccano le importazioni di cotone dello Xinjiang a fronte del "lavoro degli schiavi" uiguri

Gli Stati Uniti bloccano le importazioni di cotone dello Xinjiang a fronte del “lavoro degli schiavi” uiguri

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Gli Stati Uniti hanno bloccato le importazioni dalla regione cinese dello Xinjiang, dove un milione di musulmani uiguri sono detenuti nei campi di lavoro.

La US Customs and Border Protection Agency (Dogane e Polizia di Frontiera degli Stati Uniti), mercoledì ha dichiarato che il suo ‘Withhold Release Order’, ovvero la trattenuta dell’ordine di rilascio, avrebbe messo al bando tutti i prodotti in cotone provenienti dal Corpo di Produzione e Costruzione cinese nello Xinjiang, uno dei maggiori produttori cinesi, ha riferito la Reuters.

Il divieto di importazione del cotone è dovuto al fatto che la Cina continui a suscitare in tutto il mondo denunce rispetto alle sue politiche nella regione dello Xinjiang, dove, secondo Amnesty International, quasi un milione di musulmani uiguri sono detenuti nei campi di lavoro.

Il Dipartimento della Sicurezza interna degli Stati Uniti sostiene che i centri nello Xinjiang siano gestiti come ‘campi di concentramento’.

“I prodotti di cotone a buon mercato che si possono acquistare per la famiglia e gli amici durante questo periodo di regali – se provenienti dalla Cina – potrebbero essere stati fatti con il lavoro degli schiavi attraverso alcune delle più gravi violazioni dei diritti umani esistenti oggi nel mondo “, ha detto il Segretario del Dipartimento della Sicurezza Interna, Kenneth Cuccinelli.

Pechino ha difeso con fermezza la sua politica dicendo che i piani di formazione, i programmi di lavoro e una migliore istruzione hanno contribuito a debellare l’estremismo, accusando gli Stati Uniti di ‘fabbricare notizie false del cosiddetto lavoro forzato e di tentare di opprimere le attività economiche dello Xinjiang’.

Fonte: https://www.middleeastmonitor.com/20201204-us-blocks-xinjiang-cotton-imports-over-uyghur-slave-labour/

https://videos.files.wordpress.com/alQZyTgu/201204_trn_us-blocks-cotton-imports-xinjiang_cbm_1_dvd.mp4

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"Se ignoriamo i diritti umani per essere competitivi, abbiamo perso ogni dignità"

“Se ignoriamo i diritti umani per essere competitivi, abbiamo perso ogni dignità”

Dick Marty si batte in favore dell’iniziativa per imprese responsabili, sottoposta a votazione federale il prossimo 29 novembre. L’ex procuratore e senatore vuole che le società con sede in Svizzera siano chiamate a rispondere di fronte a un tribunale se con le loro attività all’estero hanno violato i diritti umani o inquinato l’ambiente.

Il 29 novembre il popolo svizzero si esprimerà sull’iniziativa “per imprese responsabili”. Il testo propone di aggiungere un articolo nella Costituzione federale affinché le aziende con sede in Svizzera e le ditte da loro controllate rispettino anche all’estero i diritti umani e gli standard ambientali valevoli a livello internazionale.

Il parlamento ha elaborato un controprogetto indiretto che entra in vigore se l’iniziativa viene bocciata alle urne, a meno di un’opposizione tramite referendum. In futuro, le aziende sarebbero così chiamate a stilare rapporti riguardanti le questioni ambientali, i diritti umani e la corruzione. Inoltre, il controprogetto impone degli obblighi di dovuta diligenza in materia di lavoro minorile e dei minerali estratti in zone in conflitto. Tuttavia, non fissa nuove regole per quanto riguarda la responsabilità delle imprese.

Intervista

swissinfo.ch: Signor Marty, le aziende con sede in Svizzera violano spesso i diritti umani o inquinano l’ambiente con le loro attività all’estero?

Dick Marty: La maggior parte delle imprese svizzere si comporta in maniera corretta. Solo una minima parte non rispetta le regole. Tuttavia, il loro comportamento ha un impatto negativo sulla popolazione e sull’ambiente locale. Inoltre, le loro violazioni in materia di diritti umani e ambiente rovinano la reputazione della Svizzera e della sua economia. Non siamo l’unico Paese confrontato con questo problema. Ci sono cause pendenti in Gran Bretagna, Canada, Paesi Bassi e Francia. La Svizzera è però lo Stato con la più alta concentrazione di sedi di multinazionali.

Con la vostra iniziativa è possibile cambiare questo stato di cose?

Nel corso della mia vita ho avuto la fortuna di visitare vari Paesi. A sconvolgermi è stata la constatazione che negli Stati particolarmente ricchi di risorse minerarie si registra il tasso di povertà e di violenza più elevato al mondo e i cittadini non sono protetti dai loro governi. Questa ricchezza è trasferita in Occidente e la popolazione resta a mani vuote. Soprattutto coloro che subiscono dei danni causati dalle multinazionali straniere non hanno la possibilità di rivolgersi alla giustizia perché nel loro Paese non funziona o è corrotta. Due recenti sentenze della Corte suprema britannica vanno proprio nella direzione auspicata dalla nostra iniziativa. Visto che i cittadini della Zambia non hanno accesso alla giustizia, è giusto che possano chiamare in giudizio per danni la società in Gran Bretagna, dove ha sede la casa madre.

Si tratta di una causa civile che non chiamerebbe in causa la Confederazione. Si tratterebbe di un affare tra un cittadino che ha subito un torto in qualsiasi parte del mondo e l’azienda che ha sede in Svizzera. Le denunce possono riguardare unicamente le violazioni dei diritti umani o degli standard riconosciuti a livello internazionale in materia di protezione dell’ambiente.

Crede che in gioco ci sia anche il buon nome della Svizzera all’estero?

La politica svizzera sembra sia incapace di prevedere i problemi. Ci sono vari esempi: il riciclaggio di denaro sporco, i beni in giacenza, la Swissair, l’UBS e il segreto bancario. Fino alla fine abbiamo sostenuto il regime dell’apartheid in Sud Africa. Eppure c’erano segnali molto chiari dell’imminenza della crisi. Non abbiamo mai reagito in tempo e così l’immagine della Svizzera è stata gravemente compromessa.

È la ragione per cui mi indigno oggi, tenendo anche conto che l’ONU, l’OCSE e il Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa chiedono agli Stati di adottare misure legislative per rendere responsabili le società multinazionali per le loro attività ovunque nel mondo. Per essere sostenibile, un’economia non può perseguire solo il profitto. Martin Luther King ci ha ricordato che “un’ingiustizia commessa in qualsiasi parte del mondo è una minaccia per la giustizia ovunque”.

Fonte: https://www.swissinfo.ch/ita/votations-du-29-novembre—entreprises-responsables_-se-ignoriamo-i-diritti-umani-per-essere-competitivi–abbiamo-perso-ogni-dignità-/46135208


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Happy Birthday Dr. Chomsky

Happy Birthday Dr. Chomsky

90 anni compiuti il 7 dicembre, Noam Chomsky rimane forse il più noto e più influente intellettuale a livello mondiale. In occasione del suo compleanno, il grande linguista e politologo ha concesso un’intervista a Roberto Antonini in cui affronta alcune delle grandi questioni della nostra epoca: ambiente, disuguaglianze, crescita del sovranismo e dei nazionalismi, i gilet jaunes francesi, il Medio Oriente, il ruolo degli intellettuali in un mondo dominato dall’immediatezza, dai social, dalla superficialità in rete. Dopo anni al MIT di Boston, Noam Chomsky è andato a vivere in Arizona. Non insegna più ma rimane molto attivo nel campo dell’analisi politica, con posizioni molto profilate e inevitabilmente anche controverse. Non mancheranno anche riflessioni biografiche sul suo lungo percorso umano e intellettuale.

di Roberto Antonini

Consulta il dossier dedicato a Noam Chomsky nel Canale Cultura

Fonte: https://www.rsi.ch/rete-due/programmi/cultura/laser/Happy-Birthday-Dr.-Chomsky-11203281.html