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31 marzo: ANTEPRIMA di “Algoritmocrazia”, con Sabina Guzzanti e David Bidussa

31 marzo: ANTEPRIMA di “Algoritmocrazia”, con Sabina Guzzanti e David Bidussa

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Il 31 marzo, alle 18.30, si alza il sipario sulla sesta edizione del Festival dei Diritti Umani grazie a un’anteprima in live streaming. Dal talk con David Bidussa e Sabina Guzzanti alla proiezione del documentario “1984” di Orwell vs “Un Mondo Nuovo” di Huxley: un’occasione per confrontarsi sull’impatto che le nuove tecnologie – dai software per il riconoscimento facciale alle app usate quotidianamente – hanno sulle nostre vite e sui diritti umani.

La tecnologia ha sempre condizionato il nostro modo di vivere, ma mai con la travolgente velocità degli ultimi anni, proponendo scenari inediti sul controllo sociale, sulla libertà di scelta, sulla sicurezza. Ovvero sui nostri diritti.

A questo macro tema e alle tante riflessioni a esso legate è dedicato il prossimo Festival dei Diritti Umani – in programma dal 21 al 23 aprile 2021 – di cui sarà svelata qualche anticipazione il 31 marzo, dalle 18.30 alle 19.30, con un’anteprima in diretta streaming.

«Perché fantasticare su un futuro distopico quando lo stiamo vivendo? Gli algoritmi che regolano i social sanno tutto di noi. L’Intelligenza Artificiale raggiunge frontiere inesplorate nella medicina, ma “big data” non sta fermando la pandemia», sottolinea il direttore del Festival dei Diritti Umani Danilo De Biasio. «Il prossimo Festival dei Diritti Umani si intitolerà Algoritmocrazia e si domanderà se l’intelligenza artificiale stia riducendo o ampliando i nostri diritti. Il futuro da sempre affascina gli scrittori e i migliori lo usano come schermo per parlare del presente: nell’anteprima del 31 marzo partiremo da due di loro, George Orwell e Aldous Huxley che, nel periodo dei totalitarismi, hanno descritto un’umanità sotto rigido controllo. Un controllo così simile a quello che, ieri come oggi, molti accettano come inevitabile».

Un tema che nell’anteprima di FDU del 31 marzo affronteremo insieme allo storico delle idee David Bidussa e all’attrice e scrittrice Sabina Guzzanti.

“1984 di George Orwell VS Il Mondo Nuovo di Aldous Huxley” – Still del film

In occasione di questa preview, inoltre, per tutta la giornata – dalle h. 8 del mattino fino alle h. 24 – sarà trasmesso, in collaborazione conARTE.tv, il film francese 1984” di Orwell vs “Un Mondo Nuovo” di Huxley – Distopie e deriva totalitaria della società dei registi Caroline Benarrosh e Philippe Calderon.

Sono stati scritti oltre 70 anni fa, eppure 1984 di George Orwell e Il Mondo Nuovo di Aldous Huxley sono terribilmente attuali: sorveglianza digitale, manipolazione delle notizie, schedatura di massa, dipendenza da antidepressivi. Questo documentario ripercorre le vicende dei due autori, con le loro personalità conflittuali e al tempo stesso accomunate dalla letteratura e dalla sete di libertà.

“Tavoli” di Studio Azzurro

Film e foto sono sempre stati al centro del Festival dei Diritti Umani: nell’anteprima Antonio Prata svelerà i titoli scelti e Leonardo Brogioni fornirà un assaggio degli autori individuati, a partire da Studio Azzurro. Sarà una cronistoria del percorso artistico di una delle realtà più importanti e longeve nel panorama delle arti visive italiano e internazionale. Un’occasione per parlare dell’avvento delle tecnologie digitali alla fine degli Anni 80 con le sue nuove potenzialità espressive, il confronto con dati e metadati, le caratteristiche della narrazione contemporanea, il ruolo dell’artista in un’epoca invasa dalle immagini e le nuove tendenze di una ricerca artistica basata sull’interattività con il fruitore. L’intervista completa sarà disponibile nei giorni del Festival dei Diritti Umani.

Il Festival dei Diritti Umani si terrà dal 21 al 23 aprile. Ruoterà come sempre intorno a dibattiticollegamenti con studenti e insegnanti che hanno risposto da tutt’Italia alla chiamata del Festival, interviste in esclusiva, film e fotografia.

E ci sono anche corpose novità.

Il Festival sarà online anche per il 2021 – con base operativa all’Arci Bellezza di Milano per sostenere i luoghi di aggregazione, cultura e spettacolo fortemente provati dalla pandemia – ma questa volta, prima novità, userà una propria piattaforma di streaming, sviluppata con il supporto di OpenDDB – Distribuzioni dal Basso, per una più efficace fruizione. Talkdocumentari, intervistemostre fotografiche transiteranno, infatti, da festivaldirittiumani.stream.

Con FDU2021 saranno esplorati – altra novità – nuovi linguaggi attraverso videogame e fumetti, due ambiti fortemente intrecciati con l’intelligenza artificiale. E, nell’anno del loro boom, non potevano mancare i podcast: il Festival ha prodotto 10 podcast su altrettante importanti figure di difensori dei diritti umani, e gli studenti hanno risposto realizzandone altri, individuando i loro eroi per i diritti umani.

Fonte: https://festivaldirittiumani.it/31-marzo-anteprima-di-algoritmocrazia-con-sabina-guzzanti-e-david-bidussa/


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Un progetto sociale di sensibilizzazione contro la violenza delle parole 2

Un progetto sociale di sensibilizzazione contro la violenza delle parole

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Il potere delle parole: commuovono, uniscono, scaldano il cuore. Oppure feriscono, offendono, allontanano.
In Rete, spesso l’aggressività domina tra tweet, post, status e stories.
È vero che i social media sono luoghi virtuali, ma è vero che le persone che vi si incontrano sono reali, e che le conseguenze sono reali.
Per questo oggi, specie in Rete, dobbiamo stare attenti a come usiamo le parole.

Parole O_Stili nasce dall’entusiasmo di circa 300 professionisti, della comunicazione d’impresa e della comunicazione politica, influencer, blogger, a cui in seguito si sono aggiunti molti insegnanti, studenti, imprenditori, professionisti…
Sono persone diverse, accomunate dalla volontà di rendere la Rete un luogo meno violento, più rispettoso e civile.
Ognuno si impegna a contrastare i linguaggi d’odio in Rete e lo fa aderendo al Manifesto della comunicazione non ostile.

I punti principali del Manifesto sono:

  1. Virtuale è reale: Dico o scrivo solo cose che ho il coraggio di dire di persona
  2. Si è ciò che si comunica: le parole che scelgo raccontano la personal che sono: mi rappresentano
  3. Le parole danno forma al pensiero: mi prendo tutto il tempo necessario a esprimere al meglio quel che penso
  4. Prima di parlare bisogna ascoltare: nessuno ha sempre ragione, neanche io. Ascolto con onestà e apertura.
  5. Le parole sono un ponte: scelgo le parole per comprendere, farmi capire, avvicinarmi agli altri.
  6. Le parole hanno conseguenze: So che ogni mia parola può avere conseguenze, piccole o grandi.
  7. Condividere è una responsabilità: condivido testi e immagini solo dopo averli letti, valutati, compresi.
  8. Le idee si possono discutere. Le persone si devono rispettare: non trasformo chi sostiene opinioni che non condivido in un nemico da annientare
  9. Gli insulti non sono argomenti: non accetto insulti e aggressività, nemmeno a favore della mia tesi.
  10. Anche il silenzio comunica: quando la scelta migliore è tacere, taccio.

Fonte:https://paroleostili.it


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Discriminazione razziale in Svizzera 1

Discriminazione razziale in Svizzera

RAPPORTO DEL SERVIZIO PER LA LOTTA AL RAZZISMO 2018

La discriminazione razziale può manifestarsi nelle forme più svariate ed è quindi molto difficile da rilevare. Soltanto incrociando i dati di più fonti è possibile averne un quadro. Il quarto rapporto «Discriminazione razziale in Svizzera» del Servizio per la lotta al razzismo, riferito al periodo 2017-2018, analizza i dati attualmente disponibili e presenta le misure di lotta al razzismo adottate dagli organi statali e da attori della società civile. Opera di riferimento per specialisti e persone altrimenti interessate, il rapporto è uno strumento per il monitoraggio a lungo termine della discriminazione razziale in Svizzera.

Per l’analisi sono stati presi in considerazione i risultati dell’ultima indagine sulla Convivenza in Svizzera (CiS) dell’Ufficio federale di statistica (UST), i dati statistici rilevati per determinati gruppi della popolazione in riferimento ai più importanti ambiti della vita (indicatori dell’integrazione ecc.), i dati registrati nell’attività di consulenza e i dati raccolti sulle sentenze dei tribunali.

L’analisi mostra tendenze e documenta la sistematicità della discriminazione. – I valori della CiS sono stabili, ma a un livello elevato: un terzo degli interpellati si sente infastidito dalla presenza di persone che percepisce come «diverse». Gli atteggiamenti negativi più diffusi sono quelli contro i musulmani.

D’altra parte, però, il razzismo è percepito come problema sociale serio e un terzo degli interpellati ritiene che sia necessario fare di più per combatterlo. – I giovani si sentono discriminati particolarmente spesso – nel quadro dell’indagine CiS, la quota dei 15- 24enni che dichiarano di aver subito discriminazioni negli ultimi cinque anni è nettamente cresciuta rispetto al 2016, passando dal 28 all’attuale 38 per cento. Se i giovani siano effettivamente discriminati più spesso, andrebbe verificato; è però certo che hanno una percezione più acuta della discriminazione razziale.

La discriminazione razziale è presente in tutti gli ambiti della vita. Il presente rapporto descrive dettagliatamente la situazione ambito per ambito. – Casi di discriminazione sono segnalati con particolare frequenza nella ricerca di un posto di lavoro e nella quotidianità lavorativa. Da anni è questo l’ambito in cui si registra il maggior numero di casi di consulenza. Poiché il mondo del lavoro è considerato il più importante motore dell’integrazione, le discriminazioni subite nel contesto professionale feriscono profondamente e inducono spesso a cercare consiglio.

Alla discriminazione razziale nei media e in Internet è dedicato per la prima volta un capitolo a parte. In Internet i discorsi d’odio razziale hanno raggiunto dimensioni qualitative e degli interpellati hanno dichiarato di essere stati personalmente vittima di discriminazione.

I risultati dell’indagine danno un quadro delle tendenze degli atteggiamenti e della discriminazione vissuta in prima persona, ma sulla discriminazione strutturale permettono solo conclusioni limitate. È quindi a maggior ragione importante confrontare i dati dell’indagine CiS con dati che diano indicazioni su disparità sistematiche tra i diversi gruppi della popolazione. Soltanto combinando i risultati dell’indagine CiS con i dati registrati dai consultori e i dati statistici rilevati in diversi ambiti della vita (indicatori dell’integrazione dell’UST, risultati di ricerche specifiche) si possono definire tendenze e provare fenomeni di discriminazione sistematica.

Leggi il Rapporto completo:  Rapporto «Discriminazione razziale in Svizzera 2018»( 02.09.2019)


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Crescono negli Usa i crimini d’odio contro gli asiatici: donne nel mirino 1

Crescono negli Usa i crimini d’odio contro gli asiatici: donne nel mirino

Sei uccise ad Atlanta. 3.800 attacchi nel 2020: cause, Covid e razzismo

– L’uccisione di almeno sei donne asiatiche – tra le otto vittime complessive – nelle sparatorie avvenute in diverse sale per massaggi alla periferia di Atlanta, nello stato americano della Georgia, è soltanto l’ultima manifestazione di odio nei confronti della popolazione di origine asiatica negli Stati Uniti. Violenti attacchi, abusi, molestie e insulti contro asiatici-americani, infatti, si sono moltiplicati a dismisura dall’inizio della pandemia di Covid-19, e secondo attivisti ed esperti di sicurezza si tratterebbe per la maggior parte di crimini d’odio legati alla retorica che vede i cittadini asiatici all’origine della diffusione del coronavirus. Alcuni hanno direttamente incolpato la retorica anti-cinese dell’ex presidente Donald Trump, che ha spesso menzionato la pandemia come “virus cinese” o “influenza kung”.

Alla fine dell’anno scorso, le Nazioni Unite hanno pubblicato un rapporto che descriveva “un livello allarmante” di violenza di matrice razzista e altri episodi di odio contro gli asiatici americani, anche se è difficile determinare i numeri esatti di tali crimini e casi di discriminazione, poiché nessuna organizzazione o agenzia governativa ha monitorato il problema a lungo termine e gli standard di segnalazione possono variare da regione a regione.

Secondo una ricerca pubblicata ieri dal forum “Stop AAPI Hate”, sono stati segnalati quasi 3.800 incidenti in circa un anno, dall’inizio della pandemia. E’ un bilancio significativamente più alto rispetto a quello dell’anno scorso, pari a circa 2.800 episodi di odio a livello nazionale. Le donne rimaste vittime di crimini d’odio rappresentano una quota molto più alta, il 68%, rispetto agli uomini, che sono il 29% del totale. Russell Jeung, professore di studi asiatici americani presso la San Francisco State University e fondatore del forum, ha dichiarato a NBC Asian America che la fusione di razzismo e sessismo, incluso lo stereotipo secondo cui le donne asiatiche sono mansuete e sottomesse, potrebbe essere un altro fattore determinante per questa disparità.

Fonte: https://www.askanews.it/esteri/2021/03/17/crescono-negli-usa-i-crimini-dodio-contro-gli-asiatici-donne-nel-mirino-top10_20210317_105809/


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In ricordo di Liu Xiaobo. Europa, Stati Uniti e la difesa dei diritti umani 2

In ricordo di Liu Xiaobo. Europa, Stati Uniti e la difesa dei diritti umani

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Il 6 marzo si celebra la Giornata dei Giusti, indissolubilmente legata ai temi della democrazia e la prevenzione dei genocidi, voluta con tenacia dall’associazione Gariwo, ispirandosi al Giardino dei Giusti di Gerusalemme. La giornata è stata appoggiata nel 2012 dal voto del Parlamento europeo per ricordare coloro che si sono opposti con responsabilità individuale ai crimini contro l’umanità e ai totalitarismi.

Quest’anno sarà ricordato, tra gli altri, il cinese Liu Xiaobo che, insieme alla moglie Liu Xia, fu capace di rilanciare un messaggio, in occasione del suo arresto che, “potrebbe diventare un manifesto per rinnovare il gusto della democrazia e del pluralismo ovunque”. “Non ho nemici, né provo odio” aveva detto ai suoi carcerieri Liu Xiaobo.

Quell’odio che, aggiungeva, “corrompe la coscienza e l’intelligenza dell’uomo, insieme con la mentalità da nemico, che avvelena lo spirito di una nazione, istigano alla lotta brutale in cui domina la regola mors tua vita mea, distruggono la tolleranza e l’umanità di una società, ostacolano il progresso di una nazione verso la libertà e la democrazia.”

Liu Xiaobo, che era stato attivo per anni nella difesa dei diritti umani nel suo Paese, aveva ricevuto il Premio Nobel per la pace nel 2010 “per il suo impegno non violento a tutela dei diritti umani in Cina”. Primo cinese a ricevere questo importante riconoscimento durante la detenzione, lo scrittore Liu, professore di letteratura, aveva iniziato la sua attività di dissidente nel 1989, quando partecipò alle manifestazioni in piazza Tienanmen.

Accusato e condannato nel 1991, successivamente aveva sottoscritto il manifesto Charta 08, nel dicembre del 2008, in occasione del sessantesimo anniversario dell’adozione della Dichiarazione universale dei diritti umani, raccogliendo subito adesioni sia di semplici cittadini che di intellettuali e attivisti.

Liu Xiaobo ha conciliato la tenacia della sua denuncia con la manifestazione di un atteggiamento non violento e non ispirato all’odio. La Storia ci ha insegnato che questi atteggiamenti possono alla fine avere la ragione.

La difesa dei diritti umani si confronta sempre con le azioni di singoli Stati. Ne sa qualcosa l’Unione europea che in questi giorni è impegnata su diversi fronti, in particolare con la Russia dopo l’arresto di Alexei Navalny, dopo il suo rientro a Mosca dalla Germania e un rapido processo.

Il Consiglio dei ministri dell’UE ha infatti deciso, martedì 2 marzo, di imporre misure restrittive per quattro esponenti delle autorità russe, responsabili di serie violazioni dei diritti umani, compreso l’arresto e la detenzione arbitraria, così come la dispersione e la repressione sistematica di pacifiche manifestazioni.

Questa decisione fa parte del nuovo regime globale dell’UE per le sanzioni in caso di violazione dei diritti umani, dovunque accadano nel mondo, adottato dall’UE il 7 dicembre dello scorso anno.

Si tratta di una sorta di “Magnitsky Act” europeo, simile a quello adottato dagli Stati Uniti nel 2012 per sanzionare i responsabili della morte di Sergey Magnitsky, esperto fiscale in Russia, per aver scoperto una frode che coinvolgeva funzionari corrotti. (vedi articolo …

In questo contesto ha fatto irruzione il nuovo Presidente americano Joe Biden. Il suo America is back! è diventato il leit motiv di numerose decisioni che stanno restituendo agli Usa il ruolo (e le responsabilità) che gli spettano sulla scena internazionale (rientro nella Conferenza di Parigi sul cambiamento climatico, rientro nella Commissione diritti umani dell’Onu, la clamorosa denuncia dei responsabili dell’assassinio del giornalista saudita Jamal Khashoggi, ucciso in maniera feroce all’interno dell’Ambasciata del suo Paese in Turchia).

Questo quadro potrebbe essere arricchito da un lato dalla denuncia delle tante, troppe, violazioni della libertà e dei diritti che si perpetrano in tutto il mondo, ma anche di quanto si fa per realizzare nuove convergenze tra attori statali e non nell’azione per contrastare quelle violazioni. È un confine mobile, che ripropone continuamente contraddizioni e limiti. Per questo il Ricordo e il riconoscimento dei Giusti è utile a indicare il cammino da compiere ogni giorno.

Fonte: https://it.gariwo.net/persecuzioni/diritti-umani-e-crimini-contro-l-umanita/in-ricordo-di-liu-xiaobo-europa-stati-uniti-e-la-difesa-dei-diritti-umani-23181.html


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La Germania condanna uno 007 di Assad per torture

La Germania condanna uno 007 di Assad per torture

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Sentenza storica. La prima contro un elemento del regime siriano grazie all’utilizzo della “giurisdizione universale”

È stato complice dei “crimini contro l’umanità” commessi in Siria. È la storica sentenza pronunciata da un tribunale tedesco nel corso di un processo del tutto atipico: il primo su scala globale a carico di un elemento del regime di Assad. Si tratta di Eyad Al Gharib, 007 siriano, condannato oggi dall’alta Corte di Coblenza a 4 anni e mezzo di detenzione per aver collaborato a forme di tortura e gravissime privazioni di libertà. La procura aveva chiesto per lui cinque anni. Nelle stesse ore è arrivato anche il giudizio per l’uomo ritenuto la massima guida dell’Isis in Germania: Abu Walaa, condannato dalla Corte d’appello di Celle, che dovrà scontare invece 10 anni e mezzo di prigione.

La sentenza sull’agente siriano, scappato in Germania, segna una svolta. Al Gharib, 44 anni, è accusato di aver collaborato all’arresto di 30 persone durante una manifestazione fra il settembre e l’ottobre del 2011. Nel pieno del sollevamento popolare sfociato nella guerra civile che tuttora attraversa il paese, i dissidenti furono portati in un centro dei servizi segreti di Damasco, nominato Al-Kathib, e qui torturati. Ed è la prima volta che un tribunale si pronuncia su un crimine legato alla brutale repressione del regime di Assad. Inizialmente collegato a questo, ma poi separato dai giudici, è ancora in corso invece il processo di Anwar Raslan, 58 anni, che risponde della morte di 58 persone e della tortura di 4.000 detenuti. L’ex colonnello è ritenuto una figura cruciale del sistema di sicurezza del regime di Damasco, e la sentenza per lui non dovrebbe arrivare prima di ottobre. Il giudizio di oggi vuole essere un “segnale” a chi in Siria calpesta sistematicamente i diritti umani, ha spiegato il procuratore capo Jasper Klinge, affermando fra l’altro che la sentenza si fonda sul principio della competenza universale, che permette di perseguire gli artefici di quei crimini, qualsiasi sia la nazionalità e il luogo in cui li abbiano commessi.

Fonte: https://www.laregione.ch/estero/estero/1495206/anni-germania-assad-sentenza-regime

Per approfondimenti:

Convenzione europea sull’imprescrittibilità dei crimini di guerra e dei crimini contro l’umanità:

Convenzione imprescrittibilità


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Il 2021 è stato dichiarato l'Anno internazionale per l'eliminazione del lavoro minorile

Il 2021 è stato dichiarato l’Anno internazionale per l’eliminazione del lavoro minorile

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Che cos’è il lavoro minorile: Il lavoro minorile è definito dalle norme internazionali del lavoro come l’attività lavorativa che priva i bambini e le bambine della loro infanzia, della loro dignità e influisce negativamente sul loro sviluppo psico-fisico.
Il lavoro minorile comprende varie forme di sfruttamento e abuso spesso causate da condizioni di povertà, dalla mancata possibilità di istruzione, da situazioni economiche e politiche in cui i diritti dei bambini e delle bambine non vengono rispettati. Esso nega ai bambini il diritto di andare a scuola, la possibilità di giocare e di godere dei loro affetti.

Quali sono le cause del lavoro minorile?

Spesso i bambini sono costretti a lavorare perché la loro sopravvivenza e quella delle loro famiglie dipende dal loro lavoro, perché i loro genitori non hanno accesso a un lavoro dignitoso, i sistemi d’istruzione e protezione sociale sono deboli e perché gli adulti approfittano della loro vulnerabilità. Il lavoro minorile molto spesso è il risultato di convinzioni e tradizioni radicate nelle società come, ad esempio la convinzione che il lavoro sia un bene peri bambini perché li aiuta a crescere e a sviluppare le loro abilità, o la tradizione secondo la quale i bambini debbano seguire le orme dei loro genitori e imparare il loro mestiere in tenera età, e l’esistenza di tradizioni che spingono le famiglie povere a contrarre debiti che vengono riscattati attraverso il lavoro minorile.

Secondo le stime dell’OIL tra il 2000 e il 2016 c’è stata una diminuzione del 38% del lavoro minorile a livello globale. Inoltre quasi 100 milioni di bambini sono stati affrancati dal lavoro minorile negli ultimi 20 anni. Tuttavia la diffusione della pandemia di COVID-19 minaccia di invertire i progressi raggiunti. Per molti bambini e le loro famiglie, la pandemia ha causato l’interruzione dei percorsi di educazione, istruzione e formazione, ha portato a malattie familiari e alla perdita del reddito familiare.

Anno Internazionale per l’eliminazione del lavoro minorile

L’iniziativa: L’OIL ha lanciato l’Anno Internazionale per l’eliminazione del lavoro minorile.

La risoluzione che proclama il 2021 come Anno internazionale per l’eliminazione del lavoro minorile è stata adottata all’unanimità dell’Assemblea Generale dell’ONU nel 2019 per sollecitare i governi ad adottare le misure necessarie per promuovere il lavoro dignitoso e raggiungere l’Obiettivo 8.7 previsto dall’Agenda 2030 delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile.

Gli obiettivi principali della risoluzione sono porre fine al lavoro minorile entro il 2025, porre fine al lavoro forzato, al traffico di esseri umani e alla schiavitù moderna entro il 2030, accelerare il progresso per raggiungere questo obiettivo.

Con l’Obiettivo 8.7 dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite, tutti i Paesi si sono impegnati ad adottare misure immediate per eliminare le peggiori forme di lavoro minorile entro il 2025. L’ILO ha lanciato insieme ai suoi partner l’ “Alleanza 8.7 ”, un’alleanza mondiale per porre fine al lavoro minorile, al lavoro forzato, alla schiavitù moderna e alla tratta degli esseri umani.

Fonte: Organizzazione Internazionale del Lavoro- Anno Internazionale per l’eliminazione del lavoro minorile

https://www.ilo.org/wcmsp5/groups/public/—europe/—ro-geneva/—ilo-rome/documents/publication/wcms_768873.pdf


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Polonia, in vigore la legge che vieta l'aborto. Le donne tornano in piazza 1

Polonia, in vigore la legge che vieta l’aborto. Le donne tornano in piazza

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La promulgazione è stata decisa all’improvviso ma il movimento femminile non si arrende: manifestazioni in più di 20 città

Le donne polacche tornano in strada contro la legge che limita il diritto all’aborto. Grandi manifestazioni indette dal movimento Strajk Kobiet, (letteralmente, sciopero delle donne) si sono tenute in almeno venti città dopo che il governo ha annunciato pubblicazione e simultanea entrata in vigore con valore di legge della sentenza della Corte costituzionale che vieta  l´aborto, salvo in caso di incesto, stupro o pericolo per la vita della madre.

L’ondata di protesta è stata lanciata da Strajk Kobiet con appelli su Facebook e sugli altri social media. “Si annuncia una notte difficile”, ha affermato Klementyna Suchanow, una delle due leader del movimento insieme a Marta Lempart.

Il governo, mercoledì pomeriggio, aveva annunciato che la legge sarebbe entrata in vigore in serata praticamente in contemporanea con la sua pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale: una pubblicazione che era stata a lungo rinviata, facendo sperare in un compromesso. Ora si torna al confronto muro contro muro.

La sentenza della Corte suprema risale al 22 ottobre scorso: dichiarava anticostituzionale in quanto non conforme agli articoli della Legge fondamentale sulla protezione della vita del nascituro ogni tipo di aborto, eccetto le interruzioni di gravidanza chieste da donne vittima di incesto o stupro, o nel caso che si profili un pericolo per la vita della madre. Illegale anche l´interruzione di gravidanza nel caso di malformazioni gravi e letali del feto e di problemi sanitari tali da implicare l´inevitabile morte post parto del neonato.

Da allora Strajk Kobiet è nato ed è presto divenuto il più importante movimento di opposizione della società civile. “Se il governo ha scelto l’inferno per le donne, noi cucineremo un inferno per questo governo”, ha detto Suchanow invitando le donne a scendere nuovamente in piazza dopo le proteste di novembre.

In Polonia, prima della svolta decretata dalla Corte suprema, secondo dati ufficiali si sono avuti in media duemila aborti legali ogni anno, comprese quindi interruzioni di gravidanza decise per malformazioni letali del nascituro, ora proibite. Media indipendenti e ong calcolano d´altra parte in oltre 200mila gli aborti effettuati clandestinamente, o effettuando viaggi in uno dei Paesi vicini (Germania, Repubblica Ceca, Nord Europa) dove l’interruzione di gravidanza è permessa. Le restrizioni ai viaggi imposte dalla pandemia rendono tali viaggi difficilissimi o impossibili.

Confermando la linea dura, Jaroslaw Kaczynski, ex premier e leader del partito conservatore Diritto e Giustizia aveva colto pochi giorni fa l’occasione del suo discorso alla messa in memoria della  madre Jadwiga affermando che “la Polonia è sotto attacco del Demonio, oggi col movimento contro il diritto alla vita e gli attivisti Lgbt come nel 1939 con i nazisti e nel dopoguerra col comunismo”.

Fonte: https://www.repubblica.it/esteri/2021/01/27/news/legge_aborto_polonia_manifestazioni-284532662/


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Nella scuola l'inclusione come un faro

Nella scuola l’inclusione come un faro

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«La differenza, se c’è, è piuttosto un problema nostro, di adulti. Lo sguardo dei ragazzi è uno sguardo che non etichetta». Non potrebbe essere più chiaro, Paolo Iaquinta, per illustrare la sua visione di diversità, di integrazione ed inclusione nel contesto scolastico. A Minusio, sede di Scuola media di cui è direttore, è partito quest ’anno in una classe di prima un progetto inclusivo che favorisce una riflessione a tutto campo sul tema e sulla sua evoluzione nella scuola ticinese.

Questione di attitudine
«Inclusione – dice Iaquinta – non è soltanto strutture, quindi dare un 120%, con un buon docente di pedagogia speciale e un valido appoggio con un secondo docente; non è soltanto avere delle tecniche di differenziazione pedagogica. È, in primo luogo, un’attitudine dell’insegnante, una visione del mondo. Quello stesso mondo fatto di tante persone diverse che convivono in una società unica. Ogni singola classe è una piccola società, che allo stesso modo deve e può accogliere persone diverse fra loro».

Sviluppo di competenze: nessun pregiudizio

Paolo Iaquinta ricorda uno studio del Centro innovazione e ricerca sui sistemi educativi (Cirse) della Supsi, secondo cui «per un allievo di scuola ordinaria il fatto di essere inserito in una classe inclusiva non pregiudica assolutamente lo sviluppo di competenze. Questo ci ha fatto
molta forza, anche per andare a parlare con i genitori, i quali iscrivono i loro figli ad una Scuola media, non ad una Scuola media inclusiva».

Mengoni: ‘Disabilità, cambiato il paradigma’

Secondo il capo della Sezione della pedagogia speciale Mattia Mengoni, «in tema di disabilità, da tempo è cambiato il paradigma: la disabilità non appartiene più alla persona, ma si esprime attraverso il contesto che essa frequenta. Quindi quanto più è accogliente un ambiente, tanto meno emergono determinate caratteristiche intese come difficoltà e tanto più favoriamo lo svolgimento di un’attività». È quindi fondamentale, per Mengoni, «chiedersi cosa può fare il contesto per rendersi più accessibile.
E questo vale anche per la scuola. Non è più sufficiente una dimensione integrativa ancorata già alla vecchia Legge del ’75, ma si punta su diverse forme di sostegno.

‘Per fare passi avanti bisogna crederci’

Un’altra questione è centrale: quella legata al territorio di appartenenza. A molte classi inclusive appartengono ragazzi slegati da quella specifica realtà. «Idealmente, se si parla di inclusione, bisognerebbe partire dal presupposto che l’inclusione si fa nel proprio Comune di domicilio, o almeno nel proprio comprensorio – ammette Mengoni –. Il fatto è che il numero di allievi e la disponibilità delle sedi, per questioni di numeri e di sensibilità storica, non permette ancora di creare dei gruppi con un’attinenza territoriale.

Più si sarà in grado di organizzare un sistema scolastico che risponde al proprio interno aquesti bisogni, «tanto più riusciremo a garantire che ogni Scuola media risponda alle esigenze degli allievi del proprio comprensorio.

Importantissimo, infine, è «pensare all’inclusione come a una misura didattica valutabile e implementabile, e non unicamente come una questione ideologica».

Fonte:

https://www4.ti.ch/fileadmin/DECS/DS/SPS/documenti/Nella_scuola_l_inclusione_come_un_faro_La_Regione_17.11.2020.pdf


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Legion d'Onore, Corrado Augias nell'ambasciata di Francia restituisce il riconoscimento: "Un gesto simbolico e amaro" 1

Legion d’Onore, Corrado Augias nell’ambasciata di Francia restituisce il riconoscimento: “Un gesto simbolico e amaro”

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L’ambasciatore Masset lo riceve: “Francia impegnata sui diritti umani”. Lui replica: “Si impegni in modo più visibile per Regeni e Zacky”

ROMA – Corrado Augias esce di mattino presto con la Legion d’Onore francese nello zaino. La custodisce in un cofanetto di pelle rossa con la cornice d’oro, che apre con cura e tristezza nel giardino di casa, a Roma. È un ordine istituito da Napoleone Bonaparte nel 1802, quando era console. “È l’onorificenza più alta della Repubblica francese, un altissimo riconoscimento al valore militare, per questo c’è il nastro rosso, che richiama il sangue. Ma è un riconoscimento anche ai meriti sociali e civili”, spiega. Non ne vuole fare una questione personale: “Non ricordo nemmeno l’anno preciso in cui l’ho ricevuta. Mi fece molto piacere, certo, ma il mio gesto amaro era inevitabile. Lo dedico alla memoria di Giulio Regeni, il giovane accademico torturato e ucciso in Egitto, i dettagli di quelle torture sono stati resi noti dalla Procura di Roma proprio mentre il Presidente Al-Sisi riceveva da Macron questa stessa Legion d’Onore. Ma lo dedico anche alla Francia, patria d’origine della mia famiglia e dell’Illuminismo che ha illuminato, appunto, il mondo, ma ogni tanto ha bisogno di essere riacceso”.

Il gesto è la riconsegna della Legion d’Onore all’ambasciata francese di Roma, annunciato in una lettera aperta ieri sulla prima pagina di Repubblica. Con un tweet, l’ambasciatore francese Christian Masset ha risposto a quello sfogo: “Ho grande rispetto per Corrado Augias, la Francia è in prima linea per i diritti umani e non fa compromessi. Più casi sono stati discussi durante la visita del Presidente Al-Sisi a Parigi, nel modo più adeguato e con più efficacia”.

Fonte:https://www.repubblica.it/cronaca/2020/12/14/news/augias_legion_d_onore-278293345/

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