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Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza sessuale nei conflitti armati

Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza sessuale nei conflitti armati

Il 19 giugno si celebra la Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza sessuale nei conflitti armati, voluta dalle Nazioni Unite per combattere questo crimine brutale, che colpisce principalmente donne e ragazze, ma che viene perpetrato anche contro uomini e ragazzi. Nel suo ultimo rapporto su questo dramma, il Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha ricordato l’importanza della Risoluzione 1325 (2000), la prima risoluzione in assoluto che menziona esplicitamente l’impatto della guerra sulle donne ed il contributo delle stesse nella risoluzione dei conflitti per una pace durevole.

La pandemia, purtroppo, ha messo in evidenza l’insufficienza dei progressi raggiunti, spesso a fatica, in questo campo e ha amplificato la disuguaglianza di genere, che spesso è una delle cause alla radice della violenza sessuale nei conflitti armati, ma anche in tempo di pace. Come ha rimarcato Guterres, quanto accaduto in Etiopia, durante il conflitto nel Tigray, testimonia come la violenza sessuale sia ancora utilizzata come “una tattica di guerra e tortura” in quei contesti in cui si sovrappongono crisi umanitaria e di sicurezza.

Sebbene molti sforzi in questo senso siano stati fatti, come la creazione di un apposito ufficio del Segretariato Generale delle Nazioni Unite per la violenza sessuale associata a situazioni di conflitto e di un network di agenzie internazionali impegnate su programmi paese specifici, il fenomeno continua di fatto ad essere sottostimato, complice anche il senso di vergogna che impedisce alle vittime e ai sopravvissuti di denunciare quello che hanno subito, rendendo di conseguenza molto difficile la raccolta dei dati per ogni teatro di conflitto.

A livello internazionale sempre più si sta rafforzando un movimento di opinione, nato dalla società civile, per contrastare in tutti i modi possibili questo crimine e per sostenere le vittime da esso causate.

Fonte: https://www.adnkronos.com/giornata-internazionale-per-leliminazione-della-violenza-sessuale-nei-conflitti-armati_6UFxzclzME3JgWHeoSX5ad?refresh_ce

https://unipd-centrodirittiumani.it/it/news/Nazioni-Unite-Giornata-internazionale-contro-la-violenza-sessuale-nei-conflitti-armati/5217


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La Terra deve essere al centro di qualunque nostra pianificazione

La Terra deve essere al centro di qualunque nostra pianificazione

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Messaggio del Segretario Generale per la Giornata Mondiale contro la Desertificazione e la Siccità

 “L’umanità sta conducendo una guerra contro la natura, incessante e autolesionista.

Si impoverisce la biodiversità mentre aumenta la concentrazione di gas a effetto serra, e l’inquinamento è ormai ovunque, dalle isole più remote alle vette più impervie.

Dobbiamo fare pace con la natura.

La terra può essere il nostro migliore alleato. Ma è una terra che soffre.

Il degrado del suolo causato dal cambiamento climatico e dall’espansione di agricoltura, città e infrastrutture minaccia il benessere di 3,2 miliardi di persone.

Esso danneggia la biodiversità e permette l’insorgere di malattie infettive quali il COVID-19.

La riconversione di terre degradate permetterebbe di rimuovere il carbonio dall’atmosfera e aiuterebbe comunità vulnerabili ad adattarsi al cambiamento climatico. Ciò potrebbe inoltre generare 1400 miliardi di dollari aggiuntivi in termini di produzione agricola annuale.

L’aspetto migliore è che tale riconversione è semplice, economica e accessibile a tutti.

Si tratta di uno dei modi più democratici e favorevoli ai poveri di accelerare il progresso verso il conseguimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile.

Quest’anno segna l’avvio del Decennio ONU sul Ripristino degli Ecosistemi.

In occasione di questa Giornata, mettiamo la terra al centro di qualunque nostra pianificazione.”

La Svizzera e la lotta alla desertificazione

Nel 1996, la Svizzera ha ratificato la «United Nations Convention to Combat Desertification» (UNCCD), la Convenzione dell’ONU per la lotta alla desertificazione, lanciata nel 1994 dopo il vertice della Terra di Rio de Janeiro.

Circa un quarto della superficie della Terra si deve confrontare con il problema della siccità, e delle sue conseguenze quali carestia, povertà e movimenti di migranti.

La Svizzera è attiva nel campo della lotta alla desertificazione fin dagli anni 80, attraverso l’aiuto allo sviluppo che mira a innescare processi sostenibili e gestibili autonomamente.

L’aiuto allo sviluppo si basa sulla collaborazione con autorità locali, istituzioni, organizzazioni non governative (ONG) e direttamente con la popolazione locale.
Andri Bisaz, della Direzione dello sviluppo e della cooperazione (DSC), l’organismo ufficiale svizzero di aiuto allo viluppo, è responsabile per i contatti della DSC con la Commissione per la lotta contro la desertificazione.
«Per la giornata internazionale non ci sono azioni particolari. Ma ovviamente continuiamo a impegnarci contro la desertificazione nell’ambito dei nostri progetti», conferma Bisaz.

Tra il 1997 e il 2000, la DSC ha speso quasi 166 milioni di franchi per la cooperazione bilaterale. Fondi che sono andati in Africa (nella misura del 43 percento), in Asia (38 percento) e nell’America centrale (19 percento).

Fonte: https://unric.org/it/messaggio-del-segretario-generale-per-la-giornata-mondiale-contro-la-desertificazione-e-la-siccita/

https://www.swissinfo.ch/ita/lotta-contro-la-desertificazione/3362518

Fonte immagine : https://www.efanews.eu/resource/13912-suolo.html


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Giornata Mondiale dell’Ambiente 2021: serve un’azione urgente per il ripristino dell’ecosistema

Giornata Mondiale dell’Ambiente 2021: serve un’azione urgente per il ripristino dell’ecosistema

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Dalla prima Giornata Mondiale dell’Ambiente nel 1974, l’evento è cresciuto fino a diventare una piattaforma globale per la sensibilizzazione pubblica sul tema dell’ambiente in oltre 100 Paesi.

La Giornata Mondiale dell’Ambiente 2021 è ospitata dal Pakistan e ha come tema il “Ripristino dell’Ecosistema” nell’ambito della campagna “Reimagine. Recreate. Restore.” Quest’anno, la Giornata servirà anche per il lancio ufficiale del Decennio delle Nazioni Unite per il Ripristino dell’Ecosistema 2021-2030. Gli hashtag ufficiali della Giornata sono #GenerationRestoration e #WorldEnvironmentDay.

Ripristino dell’Ecosistema

Quest’anno, la Giornata Mondiale dell’Ambiente sollecita un’azione urgente per far rivivere i nostri ecosistemi danneggiati.

Gli esseri umani stanno perdendo e distruggendo le fondamenta della propria sopravvivenza a un ritmo allarmante. Più di 4,7 milioni di ettari di foreste (pari a un’area più grande della Danimarca) vengono persi ogni anno.

Di conseguenza, la perdita dell’ecosistema sta privando il mondo di pozzi di assorbimento del carbonio come le foreste e le torbiere. Le emissioni globali di gas serra sono cresciute per tre anni consecutivi e il pianeta è sulla strada verso un cambiamento climatico potenzialmente catastrofico.

Riducendo l’habitat naturale per la fauna selvatica, abbiamo creato le condizioni ideali per il diffondersi degli agenti patogeni, compresi i coronavirus, come dimostrato dal COVID-19.

Fonte: https://unric.org/it/giornata-mondiale-dellambiente-2021-serve-unazione-urgente-per-il-ripristino-dellecosistema/


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MPT e profilazione razziale

MPT e profilazione razziale

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Quando la sicurezza a ogni costo stigmatizza le minoranze

In seguito all’omicidio dell’afroamericano George Floyd, migliaia di persone in diverse città del mondo sono scese in piazza contro il razzismo e gli abusi di potere da parte della polizia. L’ondata di proteste ha toccato anche il nostro paese e nell’ultimo anno si sono tenute manifestazioni a Berna, Losanna, Zurigo, Lucerna.

Anche se la situazione in Svizzera non è lontanamente paragonabile a quella degli Stati Uniti per numero e tipologia di casi accertati, non siamo esenti da critiche. Secondo Swissinfo sono tre gli interventi di polizia nel corso dei quali i fermati sono deceduti: un congolese ucciso da un poliziotto nel Canton Vaud nel 2016, un gambiano arrestato per errore e morto in cella nel 2017, un nigeriano immobilizzato e tenuto premuto a terra a Losanna nel 2018.

Kanyana Mutombo, segretario generale dell’organizzazione “Carrefour de réflexion e action sur le racisme anti-Noir” (CRAN), afferma che i neri sono spesso vittime di profiling, ovvero controlli di identità e perquisizioni da parte della polizia in base all’appartenenza razziale. Un rapporto della Commissione Federale contro il Razzismo ha rilevato come un terzo delle persone interessate siano di origine africana, seguite da persone provenienti da Kosovo, Serbia e Turchia, discriminate a seconda della presunta origine straniera.

Stefan Blättler, presidente della Conferenza dei comandanti delle polizie cantonali (CCPCS), sostiene invece che gli interventi degli agenti sono “sempre strettamente regolamentati” e che la formazione dei poliziotti prevede momenti di sensibilizzazione contro la discriminazione razziale.

La profilazione razziale rappresenta una criticità di tipo strutturale lungi dall’esser risolta, nonostante le raccomandazioni delle Nazioni Unite a considerare maggiormente diritti umani e questioni etiche quando si addestrano le nuove leve.

Questa tematica rientra nelle discussioni per la Legge federale sulle misure di polizia per la lotta al terrorismo (MPT), oggetto di referendum e in votazione il prossimo 13 giugno, la quale vorrebbe concedere più strumenti nella prevenzione degli attentati.

Nonostante due soli attacchi terroristici su territorio elvetico, di cui uno ancora presunto, e l’immagine di paese tra i più sicuri al mondo, la Confederazione ritiene che la minaccia resti elevata e che siano necessarie nuove misure.

Giovani Verdi liberali, Giovani Verdi, Gioventù socialista (Giso), Partito Pirata, la piattaforma di organizzazioni non governative svizzere, nonché l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite e la Commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa hanno criticato apertamente il testo della legge antiterrorismo. Così redatto, infatti, presenta numerose disposizioni che potrebbero rappresentare delle vere e proprie violazioni dei diritti umani, a partire dalla privazione arbitraria della libertà sulla cultura del sospetto (proibita dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo) e della sua applicazione su minori (contravvenendo alla Convenzione sui diritti dell’infanzia).

Secondo Amnesty International Sezione Svizzera il progetto prevede una serie di misure preventive “sproporzionate, perché sono molto restrittive e applicate sulla base di semplici sospetti” e rischia di stigmatizzare parte della popolazione a causa della provenienza etnica o delle sue idee politiche.

Le limitazioni dei diritti fondamentali e umani garantiti dalla Costituzione federale, la definizione di organizzazione terroristica vaga e imprecisa, gli arresti domiciliari per qualsiasi cittadino sulla base di soli indizi, la mancata separazione dei poteri e l’aggiramento del controllo giudiziario, risultano problematici a causa dell’ampio margine di discrezionalità che verrebbe dato alla Fedpol: quest’ultima potrebbe agire basandosi su ipotesi e interpretazioni personali totalmente o in parte arbitrarie.

La polizia ha sempre assunto la funzione di custode dell’ordine, proteggendo i deboli, prevenendo e reprimendo i reati. Un corpo distinto all’interno della società verso il quale i cittadini, tutti, indistintamente, dovrebbero riporre fiducia e sentimenti positivi. L’eventuale adozione delle MPT, però, potrebbe minare la tutela della popolazione, in un rischio di deriva per lo Stato di diritto che si vorrebbe preservare.

Fonte: https://www.swissinfo.ch/ita/economia/profilazione–discriminazione–anche-in-svizzera-esiste-il-razzismo-strutturale/45815164?utm_campaign=swi-rss&utm_source=gn&utm_medium=rss&utm_content=o


La libertà d'opinione messa a rischio

La libertà d’opinione messa a rischio

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Le ambiguità contenute nel disegno di legge antiterrorismo, destano significative preoccupazioni a livello nazionale ed internazionale. L’adozione di definizioni eccessivamente ampie di terrorismo in apposite leggi volte a contrastarne il fenomeno, pone il rischio, laddove tali leggi e misure limitino il godimento dei diritti e delle libertà, di violare i principi di necessità e proporzionalità che disciplinano l’ammissibilità di qualsiasi restrizione ai diritti umani. Questo è il caso del disegno di legge che sarà sottoposto a votazione referendaria il 13 giugno, nel quale è contenuta una definizione di terrorismo vaga e approssimativa. 

L’art. 23e del testo di legge stabilisce infatti che siano da considerarsi attività terroristiche le “azioni tendenti ad influenzare o modificare l’ordinamento dello Stato che si intendono attuare o favorire commettendo o minacciando di commettere gravi reati o propagando paura e timore”. Inoltre, la legge descrive come “potenziale terrorista” colui che, sulla base di indicatori “concreti ed attuali” si “suppone” compirà atti terroristici. 

La presenza di termini elusivi come “si suppone” o la mancanza di una specifica elencazione degli “indicatori concreti ed attuali” rende tali definizioni nebulose e generiche, inadatte ad uno stato di diritto poiché inclini ad incoraggiare un’applicazione arbitraria della legge. Non si può infatti escludere che tale base normativa possa porre i presupposti per interpretare e punire quali “attività terroristiche” anche atti leciti volti ad influenzare o modificare l’ordine costituzionale, come ad esempio il giornalismo indipendente o l’operato dei gruppi di pressione o degli attivisti politici. 

In mancanza di una definizione esauriente ed universalmente concordata di terrorismo, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha in più occasioni ribadito che le leggi e le politiche antiterrorismo devono essere circoscritte ai reati che corrispondono alle caratteristiche riconducibili alla lotta al terrorismo internazionale come identificato dal Consiglio di Sicurezza nella risoluzione 1566 del 2004. Quest’ultima definisce “terroristici” quegli atti criminali, in particolare quelli diretti contro i civili, che abbiano l’intento di causare morte o lesioni gravi o presa di ostaggi allo scopo di seminare terrore tra la popolazione, o un gruppo di persone, con lo scopo di intimidire una popolazione o costringere un governo o un’organizzazione internazionale a compiere un atto o ad astenersi dal farlo. 

Dopo una prima lettura delle caratteristiche sopracitate, appare immediatamente chiaro che il disegno di legge proposto dal Parlamento e dal Consiglio Federale non rispetti affatto le linee guida identificate dalla comunità internazionale, poiché non lega la definizione di terrorismo al compimento di attività criminali o all’uso della forza. Si tratta di una definizione anche più ampia di quella ai sensi dell’articolo 260 dello stesso codice penale svizzero, che definisce terrorismo come “atti di violenza criminali volti a intimidire la popolazione o a costringere uno Stato o un’organizzazione internazionale a fare o ad omettere un atto”. 

In mancanza del nesso tra nozione di terrorismo e atto criminale, l’esercizio della libertà di espressione potrebbe essere compromesso. In questo senso, la Confederazione corre ad oggi il tangibile rischio di instituire un modello per la soppressione autoritaria della dissidenza politica, ancor più qualora si consideri che, tranne nel caso degli arresti domiciliari, spetterà alla polizia federale ordinare ed eseguire le misure elencate nel provvedimento legislativo, senza il controllo di un organo giudiziario.

Non essendo espressamente definiti dalla legge quali siano gli “indizi concreti e attuali” che porterebbero la polizia federale a supporre che un individuo possa essere considerato terrorista e quindi sottoposto alle apposite misure atte a prevenirne l’attività, attivisti politici, giornalisti nonché la società civile in senso lato, potrebbero essere dissuasi dall’esprimersi liberamente, limitandosi nelle ricerche online per paura che esse vengano catalogate ed operando una azione di autocensura con un effetto paralizzante sullo sviluppo della comunità intellettuale e di una società civile libera ed informata. Il disegno di legge prevede invero che la fedpol e le competenti autorità cantonali possano trattare dati personali di “potenziali terroristi” degni di particolare protezione, come i dati concernenti le opinioni o attività religiose e filosofiche. 

La lacunosità della legge e il suo potenziale effetto sulla libertà di espressione viola inoltre diverse disposizioni contenute in trattati internazionali di cui la Svizzera è firmataria, in specie: l’art. 19 (libertà di opinione e di espressione) e l’art. 18 (libertà di pensiero, coscienza e religione) del Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici, l’art. 9 (libertà di pensiero, coscienza e religione) della Convenzione Europea sui Diritti dell’Uomo, nonché l’art. 13 (libertà di formare delle opinioni e di esprimerle) e l’art. 14 (libertà di pensiero, di coscienza e religione) della Convenzione dei Diritti del Fanciullo (ricordiamo infatti che le misure previste dalla legge sono applicabili anche ai minori a partire dal dodicesimo anno di età). 

Le disposizioni sopracitate prevedono che l’esercizio della libertà di espressione non possa essere soggetto ad autorizzazione o censura e che possa essere regolamentato unicamente dalle limitazioni espressamente stabilite dalla legge, cosa che nel caso di specie non avviene in modo adeguato. La sorveglianza di dati sensibili della popolazione sulla base di sospetti da parte di un’autorità amministrativa (la fedpol) in assenza di una procedura penale, favorisce inoltre la creazione di un sistema di giustizia parallelo in cui i cittadini sono privati delle garanzie procedurali che spettano loro.

È impossibile in tal senso non operare un rimando allo scandalo delle schedature del 1989, quando venne alla luce l’imponente sistema di controllo di massa della popolazione messo in piedi dalle Autorità federali e le Forze di Polizia cantonali. Si stima che vennero raccolti fino a 900.000 dossier che segretamente monitoravano le attività, a partire dagli spostamenti, e raccoglievano informazioni riservate di cittadini, organizzazioni, studi legali e gruppi politici prevalentemente di orientamento politico di sinistra. 

Lucia Greco


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Caso Floyd: la giuria condanna per omicidio l’ex poliziotto Derek Chauvin.

Caso Floyd: la giuria condanna per omicidio l’ex poliziotto Derek Chauvin.

Colpevole. La giuria del tribunale di Minneapolis ha emesso un verdetto di colpevolezza per l’ex agente di polizia Derek Chauvin, per tutti e tre i reati di omicidio dei quali era stato accusato nel caso di George Floyd. La giuria del tribunale di Minneapolis ha trovato all’unanimità Chauvin responsabile di aver ucciso il 46enne afroamericano Floyd lo scorso maggio, soffocandolo dopo averlo ammanettato. Una decisione attesa da un Paese in grande ansia, in una vicenda-simbolo delle tensioni razziali e delle polemiche sul comportamento della polizia nei confronti della comunità di colore. Giurati, avvocati e accusato sono rientrati nel pomeriggio in aula in vista della lettura del verdetto. Una decisione rapida, meno di due giorni di deliberazioni, che aveva fatto presagire una decisione di colpevolezza. Subito dopo la rapida lettura del verdetto, reato per reato, il giudice ha ringraziato i giurati e li ha congedati.

Harris e le riforme della polizia

Il vicepresidente Kamala Harris ha a sua volta affermato che “il problema dell’ingiustizia sociale non è un problema solo degli americani neri e di colore. E’ un problema di ogni americano. Ci impedisce di rispettare la promessa di libertà e giustizia per tutti e di realizzare il nostro potenziale”. E con Biden ha chiesto un cammino di riforme. La riforma citata della polizia, approvata dalla Camera, vieta tecniche di strangolamenti, crea standard nazionali per le pratiche di ordine pubblico, una banca dati sugli agenti accusati di abusi, revisioni nell’ampia dottrina della “immunità qualificata” che mette i poliziotti automaticamente al riparo da accuse se le loro azioni sono dichiarate in buona e non violano chiaramente diritti costituzionali o stabiliti da statuti. Si chiama George Floyd Justice in Policing Act. Ma è passata senza alcun voto repubblicano e due defezioni democratiche e rimane ferma al Senato.

Polizia nella bufera

La polizia americana è finita particolarmente sotto i riflettori. Per carenze di addestramento, che spesso varia nelle realtà locali e non oltre sei mesi (a Minneapolis dura 16 settimane), periodi molto più ridotti rispetto agli standard europei. Come per una storica cultura di abusi e discriminazione contro le minoranze. I critici sottolineano poi la perdurante tendenza alla militarizzazione delle forze dell’ordine, nelle tattiche e negli arsenali. E una lunga tradizione di impunità per gli agenti accusati di violenza a volte letale. La cronaca ha continuato a riportare episodi di controverso uso di forza letale da parte di agenti, anche nell’area metropolitana di Minneapolis: nei giorni scorsi il 20enne afroamericano Daunte Wright è stato ucciso da un agente per una infrazione al codice stradale nel sobborgo di Brooklyn Central. L’agente ha sostenuto di aver usato per errore la pistola invece del taser.

Fonte: https://www.ilsole24ore.com/art/caso-floyd-conto-rovescia-il-verdetto-paese-allarme-AEUZiTC?refresh_ce=1

Fonte immagine: https://www.einsteinvimercate.edu.it/blog/click/judge-jury-and-executioner-george-floyd-e-la-questione-americana/


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Economia circolare in Svizzera 1

Economia circolare in Svizzera

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L’economia circolare si contraddistingue per il fatto che le materie prime vengono utilizzate in modo efficiente e il più a lungo possibile. Se si riesce a chiudere il ciclo dei materiali e dei prodotti, le materie prime possono continuare a essere riutilizzate – a beneficio non solo dell’ambiente, ma anche dell’economia svizzera.

Definizione di economia circolare

L’economia circolare, chiamata anche «circular economy», si differenza dai processi produttivi lineari tuttora diffusi. In un sistema economico di tipo lineare, si lavorano le materie prime e si fabbricano, vendono, consumano e gettano prodotti (cfr. grafico seguente). È un modus operandi che comporta scarsità di materie prime, emissioni, ingenti quantità di rifiuti e il conseguente inquinamento ambientale.

Figura 1: Rappresentazione schematica del sistema economico lineare
© UFAM

Nell’economia circolare, invece, i prodotti e i materiali vengono mantenuti all’interno del ciclo (frecce verdi nel grafico sottostante), per cui si consumano meno materie prime primarie rispetto a un sistema economico lineare. Al contempo, il valore dei prodotti si conserva più a lungo nel tempo e si generano meno rifiuti.

L’economia circolare rappresenta un approccio integrato che tiene conto dell’intero ciclo: dall’estrazione delle materie prime alla progettazione, fabbricazione e distribuzione di un prodotto, fino alla sua fase di utilizzo – che dev’essere quanto più lunga possibile – e al riciclaggio. Per far sì che prodotti e materiali rimangano all’interno di questo circuito, occorre un cambiamento di mentalità da parte di tutti i soggetti coinvolti.

Rappresentazione schematica dell’economia circolareFigura 2: Rappresentazione schematica dell’economia circolare
© UFAM

L’economia circolare in Svizzera

Sin dalla metà degli anni Ottanta la Svizzera, nazione povera di materie prime, persegue una politica volta alla realizzazione di un’economia circolare – e da allora è riuscita a chiudere, almeno in parte, alcuni cicli. Nel 2018, ad esempio, dei 17,5 milioni di tonnellate di materiali di risulta quali calcestruzzo, ghiaia, sabbia, asfalto e laterizio, circa 12 milioni sono stati riciclati. Oltre 5 milioni di tonnellate, soprattutto di materiale di demolizione misto, non rientravano ancora in un ciclo di recupero. Sul fronte dei rifiuti urbani, poco più della metà viene raccolto separatamente e riciclato. L’elevata percentuale di riciclaggio della Svizzera, tuttavia, va letta alla luce dell’imponente quantità di rifiuti generata entro i confini nazionali. Non esiste praticamente nazione in cui si registri un simile volume di rifiuti urbani rapportato al numero di abitanti.

C’è ancora parecchio da fare se si vuole rafforzare il principio dell’economia circolare. Fibre tessili, materiali edili, materie plastiche e rifiuti biogeni, ad esempio, in futuro potrebbero essere recuperati in una percentuale maggiore. Da alcuni anni ormai le aziende prendono sempre più in considerazione il principio dell’economia circolare nella loro attività.

Per il buon funzionamento dell’economia circolare, è fondamentale anche il ruolo svolto dai consumatori, che possono contribuire al cambiamento adottando uno stile di consumo sostenibile e utilizzando i prodotti il più a lungo possibile. È altresì compito loro adoperarsi affinché i prodotti vengano maggiormente condivisi, riutilizzati, riparati e ripristinati – e infine anche far sì che quelli non più utilizzabili vengano raccolti e smaltiti in modo differenziato. Un ruolo parimenti centrale nell’evoluzione verso una maggiore economia circolare spetta ai servizi d’acquisto degli enti pubblici federali, cantonali o comunali e ai servizi corrispondenti dell’economia privata.

Fonte: https://www.bafu.admin.ch/bafu/it/home/temi/economia-consumo/info-specialisti/economia-circolare.html


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La decisione del governo giapponese di scaricare in mare l’acqua contaminata ignora i diritti umani e le leggi marittime internazionali

La decisione del governo giapponese di scaricare in mare l’acqua contaminata ignora i diritti umani e le leggi marittime internazionali

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Greenpeace Giappone condanna con forza la decisione del governo guidato dal Primo ministro Suga di disporre lo scarico nell’Oceano Pacifico di oltre 1,23 milioni di tonnellate di acqua reflua radioattiva stoccata in cisterne della centrale nucleare di Fukushima Daiichi. Questa decisione ignora completamente i diritti umani e gli interessi della gente di Fukushima e in generale del Giappone e della parte di Asia che si affaccia sul Pacifico.

La Tokyo Electric Power Company (TEPCO) può dunque avviare lo scarico di rifiuti radioattivi dalla sua centrale nucleare in mare. Secondo quanto è stato anticipato, ci vorranno due anni per preparare lo scarico.

«Il governo giapponese ha ancora una volta deluso i cittadini di Fukushima», dichiara Kazue Suzuki della campagna clima ed energia di Greenpeace Giappone. «Il governo ha preso la decisione del tutto ingiustificata di contaminare deliberatamente l’Oceano Pacifico con acqua radioattiva. Ha ignorato sia i rischi legati all’esposizione alle radiazioni che l’evidenza della sufficiente disponibilità di stoccaggio dell’acqua contaminata nel sito nucleare e nei distretti circostanti. Invece di usare la migliore tecnologia esistente per minimizzare i rischi di esposizione a radiazioni immagazzinando l’acqua a lungo termine e trattandola adeguatamente per ridurre la contaminazione, si è deciso di optare per l’opzione più economica, scaricando l’acqua nell’Oceano Pacifico

Quanto deciso dal governo non proteggerà di certo l’ambiente e trascura l’opposizione su larga scala e le preoccupazioni di cittadini e cittadine di Fukushima, al pari di chi abita in tutto il Giappone. 

I relatori speciali delle Nazioni Unite per i diritti umani – sia nel giugno 2020 che a marzo 2021 – hanno avvertito il governo giapponese che lo scarico dell’acqua nell’ambiente viola i diritti dei cittadini giapponesi e dei suoi vicini, compresa la Corea. Hanno chiesto al governo giapponese di ritardare qualsiasi decisione sullo scarico in mare dell’acqua contaminata fino a quando non sarà finita la crisi del COVID-19 e non si terranno opportune consultazioni internazionali.

Fonte: https://www.greenpeace.org/italy/comunicato-stampa/13459/fukushima-greenpeace-la-decisione-del-governo-giapponese-di-scaricare-in-mare-lacqua-contaminata-ignora-i-diritti-umani-e-le-leggi-marittime-internazionali/

Fonte immagine: https://www.repubblica.it/esteri/2021/04/13/news/giappone_rilascera_acqua_contaminata_fukushima_in_mare-296221153/


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Parigi, catturato il finanziatore del genocidio in Ruanda 1

Parigi, catturato il finanziatore del genocidio in Ruanda

Il miliardario Félicien Kabuga era latitante da 23 anni: fornì alle milizie hutu i soldi per comprare le armi necessarie a massacrare i tutsi. Un milione le vittime nel 1994

Sette volte responsabile del genocidio in Ruanda: più di 800 mila morti in 100 giorni. Tanti sono i capi d’accusa sulla testa di Félicien Kabuga. A 85 anni l’ex miliardario ruandese, condannato nel 1997 per crimini contro l’umanità, è finito in manette dopo 23 anni dalla sentenza.  “L’arresto di Kabuga ricorda che i responsabili del genocidio possono essere ritenuti responsabili anche 26 anni dopo i loro crimini”, ha detto Serge Brammertz, a capo del Meccanismo residuale per i Tribunali penali internazionali (Unirmct) dell’Onu.

L’ex uomo d’affari ruandese, tra i latitanti più ricercati del mondo, si nascondeva sotto falsa identità, con la complicità dei suoi figli, nella periferia di Parigi, ad Asnières-sur-Seine. La sua cattura è riuscita grazie a “un’operazione sofisticata e coordinata con ricerche simultanee in diversi luoghi”.

Covid 19 permettendo, Kabuga sarà portato e giudicato all’Aia, nei Paesi Bassi, presso la Corte penale internazionale (le operazioni del tribunale internazionale per giudicare i crimini in Ruanda sono state sospese nel 2015). Su lui pendono sette capi di imputazione, tutti per genocidio: complicità nel genocidio, istigazione diretta e pubblica a commettere genocidio, tentativo di commettere genocidio, cospirazione per commettere genocidio, persecuzione e sterminio. E tutti in relazione ai crimini commessi durante il genocidio del 1994 contro i tutsi.

Il Tribunale penale internazionale per il Ruanda delle Nazioni Unite, nel 1997 lo dichiarò colpevole di crimini contro l’umanità Nel 2015 i compiti di questo Tribunale sono stati presi in carico dal Meccanismo residuale per i Tribunali penali internazionali, creato appositamente per succedere al Tribunale per il Ruanda e al Tribunale penale internazionale per l’ex-Jugoslavia.

Dopo aver contribuito a massacrare migliaia di tutsi a colpi dei machete che lui aveva finanziato (ne vennero acquistati 500 mila in pochi mesi) per armare le milizie paramilitari hutu Interahamwe, Kabuga a giugno 1994 fugge dal Ruanda e tenta di entrare in Svizzera. Non ci riesce, e ripiega sulla Repubblica Democratica del Congo. Da qui continuerà a scappare passando per il Kenya e la Norvegia. In un discorso del 2006, durante la sua visita in Kenya, l’allora senatore Barack Obama accusò il Paese africano di “dare un rifugio sicuro a Kabuga”. Nairobi negò le accuse dell’ex presidente.

Diventato ricco grazie alle piantagioni di té nel Nord, Kabuga negli anni ’90 era uno degli uomini più ricchi del Paese africano, amico e consuocero dell’allora presidente Juvénal Habyarimana, la cui morte scatenò il massacro. Armò le milizie hutu con le sue risorse, e li scatenò a caccia di tutsi e di chiunque li proteggesse, attraverso Radio-Television Libre des Mille Collines, l’emittente di cui era fondatore.

Fonte: https://www.repubblica.it/esteri/2020/05/16/news/catturato_a_parigi_uno_dei_responsabili_del_genocidio_in_ruanda-256827016/


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La pratica carceraria svizzera viola i diritti umani

La pratica carceraria svizzera viola i diritti umani

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La pratica carceraria svizzera viola le Nelson Mandela Rules (Norme di Nelson Mandela) nei settori della detenzione preventiva, dell’isolamento, dell’assistenza sanitaria e del trattamento delle persone con problemi di salute mentale. Questa è la conclusione raggiunta dal Centro svizzero di competenza per i diritti umani (CSDH) in uno studio pubblicato nel settembre 2020

Anche se le Norme Nelson Mandela (RMN) non sono giuridicamente vincolanti come soft law, il che significa che la loro mancata applicazione non è soggetta a sanzioni, esse costituiscono una linea guida politicamente significativa per le autorità, la magistratura e il legislatore. Il fatto che, secondo un’inchiesta della CSDH, le condizioni di detenzione violino le RNM in punti essenziali, rappresenta una grave lacuna nella protezione dei diritti umani in Svizzera.

Nel campo della sanità, la CSDH critica la mancanza di indipendenza del personale sanitario. Contrariamente a quanto raccomandato nella linea guida medico-etica dell’ASSM (paragrafo 12), i servizi sanitari sono regolarmente integrati nell’organizzazione e nella gerarchia delle carceri piuttosto che nel sistema sanitario pubblico. Inoltre, il principio della gratuità dell’assistenza sanitaria previsto dalle RNM (regola 24) non viene applicato. La CSDH chiede quindi l’introduzione di un’assicurazione sanitaria obbligatoria per tutti i detenuti in Svizzera. La Commissione nazionale per la prevenzione della tortura menziona anche questa richiesta nel suo rapporto sulle cure mediche negli istituti per la privazione della libertà (paragrafo 122).

Il CSDH critica anche l’uso della segregazione cellulare. Mentre la professione medica concorda sul fatto che l’isolamento ha effetti negativi sulla salute e sul benessere dei detenuti, l’isolamento è spesso usato in Svizzera, sia durante la detenzione preventiva che come misura disciplinare nel regime di esecuzione delle pene e delle misure. Inoltre, i detenuti considerati pericolosi sono isolati per un periodo indefinito in unità speciali di alta sicurezza. L’isolamento per un periodo di tempo indefinito costituisce sempre una violazione della proibizione della tortura e di altri trattamenti o punizioni crudeli, inumani e degradanti (regola 43 (1) (a) NMR), ricorda la CSDH.

Il diritto al contatto con il mondo esterno comprende vari aspetti regolati in diverse disposizioni del CGO. Queste includono regole sull’accesso (articolo 58 e seguenti), la notifica (articolo 68 e seguenti), l’assistenza legale (articoli 61 e 119 (2)) e le possibili restrizioni (articoli 36 e 43 (3)). Secondo il CSDU, le esigenze delle RNM non sono sufficientemente prese in considerazione, soprattutto per quanto riguarda le telecomunicazioni. La regolamentazione dei contatti con il mondo esterno nel diritto svizzero “non sembra essere basata principalmente sui diritti umani o sui diritti fondamentali. Questo vale non solo per l’esecuzione delle sentenze e delle misure, ma anche per la detenzione preventiva. Piuttosto, le telefonate sembrano essere concepite come privilegi che possono essere concessi ai detenuti a discrezione della direzione della prigione”, deplora la CSDH.

L’isolamento di prigionieri mentalmente o fisicamente disabili dovrebbe essere proibito se aggrava la loro condizione (articolo 45(2)). Secondo l’articolo 109, “le persone che non sono penalmente responsabili o in cui una disabilità mentale o un’altra condizione grave è successivamente rilevata, e la loro condizione sarebbe aggravata dalla permanenza in carcere, non possono essere detenute in prigione”. Infine, il CSDH esorta le autorità a intensificare i loro sforzi per garantire un trattamento adeguato dei disturbi mentali in detenzione.

Le misure terapeutiche negli ospedali previste dall’articolo 59 del Codice penale svizzero (CPS) sono al centro della questione. Oggi, quasi un condannato e imprigionato su cinque si trova in questa situazione. Solo le persone con un grave disturbo mentale, cioè i malati gravi, sono interessati da questo regime. Secondo la CSDH, anche con una definizione generosa, gli istituti di correzione e i reparti di psichiatria forense nelle prigioni svizzere non possono essere chiamati “istituzioni psichiatriche”, scrive la CSDH. Il trattamento inadeguato derivante da una sistemazione inadeguata è stato anche recentemente criticato dal Comitato per i diritti umani (paragrafo 38).

Secondo David Mühlemann, capo dell’unità di detenzione di humanrights.ch, è imperativo che tutti i detenuti abbiano in futuro un’assicurazione sanitaria per garantire un’adeguata assistenza sanitaria senza discriminazioni, come ha già chiesto la Commissione nazionale per la prevenzione della tortura. Le varie forme di isolamento nel contesto della privazione della libertà, sia nella detenzione preventiva, come misura disciplinare nel sistema penale o in un particolare ambiente di detenzione, devono essere studiate a fondo. I politici e le autorità devono garantire che questa pratica dannosa per la salute sia usata solo come ultima risorsa e per il minor tempo possibile.

È necessario un ripensamento radicale della situazione delle persone detenute che soffrono di disturbi mentali, in particolare per quanto riguarda le misure terapeutiche previste dall’articolo 59 del codice penale. La soluzione non sta nella creazione di sempre più posti nelle istituzioni, come scelto dalla Confederazione. Prima di tutto, il numero di misure terapeutiche deve essere ridotto. Inoltre, sono necessarie alternative ambulatoriali, come più alloggi protetti. L’alto numero di misure terapeutiche – anche nel campo della microcriminalità – è dovuto alla mancanza di alternative.

Fonte: https://www.humanrights.ch/fr/antennes/detention/pratique-penitentiaire-suisse-viole-droits-humains

Puoi trovare le regole di Nelson Mandela in italiano al seguente link:https://www.antigone.it/upload2/uploads/docs/MandelaRulesITA.pdf