Approfondimenti

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Discriminazione razziale in Svizzera 1

Discriminazione razziale in Svizzera

RAPPORTO DEL SERVIZIO PER LA LOTTA AL RAZZISMO 2018

La discriminazione razziale può manifestarsi nelle forme più svariate ed è quindi molto difficile da rilevare. Soltanto incrociando i dati di più fonti è possibile averne un quadro. Il quarto rapporto «Discriminazione razziale in Svizzera» del Servizio per la lotta al razzismo, riferito al periodo 2017-2018, analizza i dati attualmente disponibili e presenta le misure di lotta al razzismo adottate dagli organi statali e da attori della società civile. Opera di riferimento per specialisti e persone altrimenti interessate, il rapporto è uno strumento per il monitoraggio a lungo termine della discriminazione razziale in Svizzera.

Per l’analisi sono stati presi in considerazione i risultati dell’ultima indagine sulla Convivenza in Svizzera (CiS) dell’Ufficio federale di statistica (UST), i dati statistici rilevati per determinati gruppi della popolazione in riferimento ai più importanti ambiti della vita (indicatori dell’integrazione ecc.), i dati registrati nell’attività di consulenza e i dati raccolti sulle sentenze dei tribunali.

L’analisi mostra tendenze e documenta la sistematicità della discriminazione. – I valori della CiS sono stabili, ma a un livello elevato: un terzo degli interpellati si sente infastidito dalla presenza di persone che percepisce come «diverse». Gli atteggiamenti negativi più diffusi sono quelli contro i musulmani.

D’altra parte, però, il razzismo è percepito come problema sociale serio e un terzo degli interpellati ritiene che sia necessario fare di più per combatterlo. – I giovani si sentono discriminati particolarmente spesso – nel quadro dell’indagine CiS, la quota dei 15- 24enni che dichiarano di aver subito discriminazioni negli ultimi cinque anni è nettamente cresciuta rispetto al 2016, passando dal 28 all’attuale 38 per cento. Se i giovani siano effettivamente discriminati più spesso, andrebbe verificato; è però certo che hanno una percezione più acuta della discriminazione razziale.

La discriminazione razziale è presente in tutti gli ambiti della vita. Il presente rapporto descrive dettagliatamente la situazione ambito per ambito. – Casi di discriminazione sono segnalati con particolare frequenza nella ricerca di un posto di lavoro e nella quotidianità lavorativa. Da anni è questo l’ambito in cui si registra il maggior numero di casi di consulenza. Poiché il mondo del lavoro è considerato il più importante motore dell’integrazione, le discriminazioni subite nel contesto professionale feriscono profondamente e inducono spesso a cercare consiglio.

Alla discriminazione razziale nei media e in Internet è dedicato per la prima volta un capitolo a parte. In Internet i discorsi d’odio razziale hanno raggiunto dimensioni qualitative e degli interpellati hanno dichiarato di essere stati personalmente vittima di discriminazione.

I risultati dell’indagine danno un quadro delle tendenze degli atteggiamenti e della discriminazione vissuta in prima persona, ma sulla discriminazione strutturale permettono solo conclusioni limitate. È quindi a maggior ragione importante confrontare i dati dell’indagine CiS con dati che diano indicazioni su disparità sistematiche tra i diversi gruppi della popolazione. Soltanto combinando i risultati dell’indagine CiS con i dati registrati dai consultori e i dati statistici rilevati in diversi ambiti della vita (indicatori dell’integrazione dell’UST, risultati di ricerche specifiche) si possono definire tendenze e provare fenomeni di discriminazione sistematica.

Leggi il Rapporto completo:  Rapporto «Discriminazione razziale in Svizzera 2018»( 02.09.2019)


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Crescono negli Usa i crimini d’odio contro gli asiatici: donne nel mirino 1

Crescono negli Usa i crimini d’odio contro gli asiatici: donne nel mirino

Sei uccise ad Atlanta. 3.800 attacchi nel 2020: cause, Covid e razzismo

– L’uccisione di almeno sei donne asiatiche – tra le otto vittime complessive – nelle sparatorie avvenute in diverse sale per massaggi alla periferia di Atlanta, nello stato americano della Georgia, è soltanto l’ultima manifestazione di odio nei confronti della popolazione di origine asiatica negli Stati Uniti. Violenti attacchi, abusi, molestie e insulti contro asiatici-americani, infatti, si sono moltiplicati a dismisura dall’inizio della pandemia di Covid-19, e secondo attivisti ed esperti di sicurezza si tratterebbe per la maggior parte di crimini d’odio legati alla retorica che vede i cittadini asiatici all’origine della diffusione del coronavirus. Alcuni hanno direttamente incolpato la retorica anti-cinese dell’ex presidente Donald Trump, che ha spesso menzionato la pandemia come “virus cinese” o “influenza kung”.

Alla fine dell’anno scorso, le Nazioni Unite hanno pubblicato un rapporto che descriveva “un livello allarmante” di violenza di matrice razzista e altri episodi di odio contro gli asiatici americani, anche se è difficile determinare i numeri esatti di tali crimini e casi di discriminazione, poiché nessuna organizzazione o agenzia governativa ha monitorato il problema a lungo termine e gli standard di segnalazione possono variare da regione a regione.

Secondo una ricerca pubblicata ieri dal forum “Stop AAPI Hate”, sono stati segnalati quasi 3.800 incidenti in circa un anno, dall’inizio della pandemia. E’ un bilancio significativamente più alto rispetto a quello dell’anno scorso, pari a circa 2.800 episodi di odio a livello nazionale. Le donne rimaste vittime di crimini d’odio rappresentano una quota molto più alta, il 68%, rispetto agli uomini, che sono il 29% del totale. Russell Jeung, professore di studi asiatici americani presso la San Francisco State University e fondatore del forum, ha dichiarato a NBC Asian America che la fusione di razzismo e sessismo, incluso lo stereotipo secondo cui le donne asiatiche sono mansuete e sottomesse, potrebbe essere un altro fattore determinante per questa disparità.

Fonte: https://www.askanews.it/esteri/2021/03/17/crescono-negli-usa-i-crimini-dodio-contro-gli-asiatici-donne-nel-mirino-top10_20210317_105809/


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Pari opportunità

Pari opportunità

Nonostante gli sforzi delle istituzioni e l’evoluzione della società, la parità nella vita professionale ed accademica è ancora lontana. Ci sono tuttavia enti e progetti volti a promuovere le pari opportunità e ad aiutare in caso di problemi.

Situazione in Svizzera

Art. 3 della Legge federale sulla parità dei sessi LPar

«Nei rapporti di lavoro, uomini e donne non devono essere pregiudicati né direttamente né indirettamente a causa del loro sesso, segnatamente con riferimento allo stato civile, alla situazione familiare o a una gravidanza.»

Nonostante la LPar sia entrata in vigore nel 1996, la strada verso la parità nel mondo del lavoro è ancora lunga. Ecco le cifre più recenti secondo l’UFU e l’USTAT (dati del 2016):

  • Sei donne su dieci attive professionalmente lavorano a tempo parziale, mentre lo stesso vale solo per due uomini su dieci.
  • Lo scarto salariale è ancora abbastanza importante: nel settore privato una donna guadagna in media il 19,6% in meno rispetto ad un collega uomo, mentre nel settore pubblico lo scarto è del 16,7%.
  • C’è una forte sottorappresentazione delle donne tra i quadri: solo il 3% della direzione e il 4% del consiglio di amministrazione delle imprese svizzere quotate in borsa è composto da donne.
  • La divisione per settore al momento della scelta degli studi universitari è ancora abbastanza marcata (ad es. il 69,4% delle persone che studiano scienze tecniche sono di sesso maschile, mentre nelle scienze sociali e umane sono solo il 29,4%).

Pari opportunità nella vita accademica

La maggior parte delle scuole universitarie svizzere offre servizi di consulenza specializzati in questioni legate alla parità. Mediante misure quali la «politica di genere», le scuole universitarie auspicano di attuare un sistema organizzativo equo e garantire le pari opportunità tra donne e uomini, sia tra studenti sia tra insegnanti.
I dati di contatto delle persone responsabili delle pari opportunità nelle scuole universitarie sono disponibili su gendercampus.ch.

Gran parte delle scuole universitarie pubblica sul proprio sito informazioni inerenti alle pari opportunità: ad esempio, i siti dell’USI (usi.ch) e della SUPSI (supsi.ch) contengono indirizzi, spiegazioni sulle misure adottate e altre informazioni utili. 

Discriminazione e molestie sessuali

Discriminazioni

Se ci si rende conto di stare subendo una discriminazione salariale o a livello professionale a causa del proprio genere, è possibile seguire questi passi:

  • informarsi: www.ebg.admin.ch offre informazioni sulla parità salariale;
  • cercare una soluzione parlandone con il proprio o la propria superiore oppure, se possibile, con la persona responsabile delle pari opportunità all’interno dell’azienda;
  • qualora non si dovesse trovare una soluzione, è possibile rivolgersi a specialisti: consultori, associazioni del personale, sindacati, uffici di conciliazione;
  • in casi gravi è anche possibile avviare una procedura giudiziaria: la procedura davanti a un tribunale cantonale è gratuita, ma non le prestazioni dello studio legale. Durante la procedura e nei sei mesi successivi è garantita la protezione contro il licenziamento pronunciato per ritorsione.

Molestie sessuali

Le molestie sessuali sono comportamenti indesiderati di carattere sessuale che ledono la dignità della persona. Possono provenire da singoli individui o da gruppi (mobbing). A compiere le molestie sessuali possono essere collaboratori e collaboratrici, datori e datrici, partner o clientela.

Esistono diversi tipi di molestia sessuale:

  • commenti sessisti e osservazioni allusive;
  • contatti fisici indesiderati, coazione sessuale o violenza carnale;
  • materiale pornografico nei luoghi di lavoro;
  • abuso di una posizione di potere (ad es. nei confronti di subordinati) per ottenere prestazioni sessuali in cambio di favori o con minacce;
  • persecuzione.

In caso di molestie sessuali, le procedure da seguire sono le stesse che in caso di discriminazioni. Per ulteriori informazioni sull’argomento e sui passi da prendere, si vedano i seguenti siti:

Link utili

In Svizzera ci sono diversi enti o progetti che promuovono la parità nel mondo del lavoro o che sono a disposizione per consulenze o in caso di problemi che possono verificarsi durante la scelta professionale o una volta entrati nel mondo del lavoro (discriminazioni, molestie, ecc.):

Fonte: https://www.orientamento.ch/dyn/show/124596


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In ricordo di Liu Xiaobo. Europa, Stati Uniti e la difesa dei diritti umani 2

In ricordo di Liu Xiaobo. Europa, Stati Uniti e la difesa dei diritti umani

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Il 6 marzo si celebra la Giornata dei Giusti, indissolubilmente legata ai temi della democrazia e la prevenzione dei genocidi, voluta con tenacia dall’associazione Gariwo, ispirandosi al Giardino dei Giusti di Gerusalemme. La giornata è stata appoggiata nel 2012 dal voto del Parlamento europeo per ricordare coloro che si sono opposti con responsabilità individuale ai crimini contro l’umanità e ai totalitarismi.

Quest’anno sarà ricordato, tra gli altri, il cinese Liu Xiaobo che, insieme alla moglie Liu Xia, fu capace di rilanciare un messaggio, in occasione del suo arresto che, “potrebbe diventare un manifesto per rinnovare il gusto della democrazia e del pluralismo ovunque”. “Non ho nemici, né provo odio” aveva detto ai suoi carcerieri Liu Xiaobo.

Quell’odio che, aggiungeva, “corrompe la coscienza e l’intelligenza dell’uomo, insieme con la mentalità da nemico, che avvelena lo spirito di una nazione, istigano alla lotta brutale in cui domina la regola mors tua vita mea, distruggono la tolleranza e l’umanità di una società, ostacolano il progresso di una nazione verso la libertà e la democrazia.”

Liu Xiaobo, che era stato attivo per anni nella difesa dei diritti umani nel suo Paese, aveva ricevuto il Premio Nobel per la pace nel 2010 “per il suo impegno non violento a tutela dei diritti umani in Cina”. Primo cinese a ricevere questo importante riconoscimento durante la detenzione, lo scrittore Liu, professore di letteratura, aveva iniziato la sua attività di dissidente nel 1989, quando partecipò alle manifestazioni in piazza Tienanmen.

Accusato e condannato nel 1991, successivamente aveva sottoscritto il manifesto Charta 08, nel dicembre del 2008, in occasione del sessantesimo anniversario dell’adozione della Dichiarazione universale dei diritti umani, raccogliendo subito adesioni sia di semplici cittadini che di intellettuali e attivisti.

Liu Xiaobo ha conciliato la tenacia della sua denuncia con la manifestazione di un atteggiamento non violento e non ispirato all’odio. La Storia ci ha insegnato che questi atteggiamenti possono alla fine avere la ragione.

La difesa dei diritti umani si confronta sempre con le azioni di singoli Stati. Ne sa qualcosa l’Unione europea che in questi giorni è impegnata su diversi fronti, in particolare con la Russia dopo l’arresto di Alexei Navalny, dopo il suo rientro a Mosca dalla Germania e un rapido processo.

Il Consiglio dei ministri dell’UE ha infatti deciso, martedì 2 marzo, di imporre misure restrittive per quattro esponenti delle autorità russe, responsabili di serie violazioni dei diritti umani, compreso l’arresto e la detenzione arbitraria, così come la dispersione e la repressione sistematica di pacifiche manifestazioni.

Questa decisione fa parte del nuovo regime globale dell’UE per le sanzioni in caso di violazione dei diritti umani, dovunque accadano nel mondo, adottato dall’UE il 7 dicembre dello scorso anno.

Si tratta di una sorta di “Magnitsky Act” europeo, simile a quello adottato dagli Stati Uniti nel 2012 per sanzionare i responsabili della morte di Sergey Magnitsky, esperto fiscale in Russia, per aver scoperto una frode che coinvolgeva funzionari corrotti. (vedi articolo …

In questo contesto ha fatto irruzione il nuovo Presidente americano Joe Biden. Il suo America is back! è diventato il leit motiv di numerose decisioni che stanno restituendo agli Usa il ruolo (e le responsabilità) che gli spettano sulla scena internazionale (rientro nella Conferenza di Parigi sul cambiamento climatico, rientro nella Commissione diritti umani dell’Onu, la clamorosa denuncia dei responsabili dell’assassinio del giornalista saudita Jamal Khashoggi, ucciso in maniera feroce all’interno dell’Ambasciata del suo Paese in Turchia).

Questo quadro potrebbe essere arricchito da un lato dalla denuncia delle tante, troppe, violazioni della libertà e dei diritti che si perpetrano in tutto il mondo, ma anche di quanto si fa per realizzare nuove convergenze tra attori statali e non nell’azione per contrastare quelle violazioni. È un confine mobile, che ripropone continuamente contraddizioni e limiti. Per questo il Ricordo e il riconoscimento dei Giusti è utile a indicare il cammino da compiere ogni giorno.

Fonte: https://it.gariwo.net/persecuzioni/diritti-umani-e-crimini-contro-l-umanita/in-ricordo-di-liu-xiaobo-europa-stati-uniti-e-la-difesa-dei-diritti-umani-23181.html


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Tutti gli esseri umani sono uguali davanti alla legge. E gli altri?

Tutti gli esseri umani sono uguali davanti alla legge. E gli altri?

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Il 2 novembre 2020 la Fondazione ha preso parte alla Conferenza organizzata congiuntamente dalla Piattaforma delle ONG svizzere per i Diritti Umani e dal Centro di Competenza svizzero per i Diritti Umani (CSDH) dal titolo Tutti gli essere umani sono uguali davanti alla legge. E gli altri?

Di seguito una sintesi degli argomenti trattati.

Il titolo della Conferenza afferma qualcosa che è evidentemente sancito sia in ognuna delle convenzioni internazionali sui diritti umani che nelle Costituzioni federali e cantonali. Tuttavia, questo principio di protezione contro la discriminazione è lontano dal riflettere la realtà in Svizzera. Il titolo si conclude quindi con la domanda “E gli altri?”. Nel nostro paese, la discriminazione è davvero la sorte quotidiana di molte persone. Quali sono le questioni più importanti relative alle strutture federali e all’attuale sistema giuridico? Chi sono le prime vittime della discriminazione, specialmente quella multipla? Come possiamo lavorare insieme per dare nuova vita al nostro impegno per rafforzare la protezione contro la discriminazione in Svizzera?

Uno stato di cose deludente: è tempo di adottare una visione intersezionale

Come spiega l’avvocato e responsabile del progetto CSDH Reto Locher nel suo rapporto, praticamente nessun progresso legislativo è stato fatto dal 2015. Al massimo, si possono notare alcuni progressi per quanto riguarda i diritti delle persone LGBTI. In alcuni casi è a livello cantonale che si possono osservare dei miglioramenti. Per esempio il cantone di Basilea Città ha esteso l’ambito di competenza della sua Divisione per l’uguaglianza alle questioni LGBTI. Un incoraggiamento viene dal fatto che la pressione degli attori della società civile sui responsabili politici sta aumentando. Tuttavia, la mancanza di dati sulla discriminazione in Svizzera è un grosso ostacolo.

Nella sua presentazione Serena O. Dankwa, antropologa sociale, ricercatrice di genere e co-direttrice in carica dell’Organizzazione Lesbica Svizzera (LOS), evidenzia i punti di convergenza tra intersezionalità e discriminazione multipla. Definisce l’intersezionalità come uno strumento per analizzare la complessità del mondo, degli esseri umani e delle loro esperienze. In effetti, la disuguaglianza sociale, la condizione umana e l’organizzazione del potere all’interno di una società sono più facili da cogliere quando l’analisi non si limita a un singolo asse di differenza, come la razza (razzismo), il genere, la classe sociale, l’orientamento sessuale, lo status di residenza, l’età o la disabilità. L’intersezionalità sottolinea la simultaneità di diversi assi di differenza sociale, che possono rafforzarsi o attenuarsi a vicenda. Serena Dankwa mostra che questo approccio multidimensionale permette di analizzare il diverso trattamento di individui o gruppi all’interno di una società sotto forma di privilegi o discriminazioni. Rivela gruppi le cui esperienze rimangono invisibili alla società e mette in evidenza come i movimenti e le pratiche politiche contribuiscono a trascurare le relazioni intersezionali di dominazione e oppressione. L’invito è quello di adottare un approccio dal basso verso l’alto per la protezione contro la discriminazione e basare la nostra azione sulle esperienze delle persone che affrontano molteplici barriere e forme di violenza. Per gli individui ai margini della società, è spesso essenziale avere spazi che permettano loro di scoprire le loro molteplici appartenenze, di connettersi e, su questa base, di responsabilizzarsi. I centri di consulenza e le organizzazioni per i diritti umani possono aiutare a creare tali spazi, ma possono anche agire come un freno alla creazione di tali spazi. A questo proposito, è fondamentale non ridurre gli emarginati a una categoria o a uno status di vittima, ma riconoscere che essi hanno anche una certa quantità di conoscenze e prospettive che spesso non sono disponibili per coloro che sono privilegiati.

È tempo di lavorare insieme, anche per un regime generale di protezione contro la discriminazione.

Tarek Naguib, avvocato, è ricercatore e professore di diritto all’Università di Scienze Applicate di Zurigo (ZHAW), specializzato in diritto antidiscriminatorio, afferma che lo status inferiore ancora accordato a certi individui – un’eredità del razzismo – si manifesta anche nella legge sull’immigrazione, che distingue tra cittadini stranieri e nazionali. Tarek Naguib si concentra così sul problema del razzismo istituzionalizzato, una questione che, a suo avviso, è trascurata anche dai ricercatori svizzeri. Secondo il professore, la ratifica della Convenzione delle Nazioni Unite contro il razzismo nel 1994 e ciò che ne è seguito, cioè l’inclusione della norma contro la discriminazione razziale nel codice penale, è il più grande passo avanti finora in questo campo. Tuttavia, questa disposizione ha anche contribuito a limitare il concetto di discriminazione razziale. Tarek Naguib sottolinea che la società civile è responsabile dei grandi successi attuali nella lotta contro la discriminazione. Ora è giunto il momento che diversi movimenti e organizzazioni con diverse missioni lavorino fianco a fianco in un approccio collettivo. Muoversi in questa direzione permetterebbe al movimento per il clima, al movimento femminista e ai movimenti antirazzisti, in particolare quelli guidati dalle giovani generazioni, di ancorare ulteriormente l’intersezionalità nel loro pensiero. Secondo Tarek Naguib, dobbiamo unire le forze se vogliamo contrastare la perdita di visibilità e di importanza dei diritti umani in campo sociale, climatico e delle migrazioni.

Tra l’altro, l’avvocato Claudia Kaufmann, nella sua analisi del federalismo, nota che non è raro che un cantone o una città siano pionieri in un particolare ambito di uguaglianza e antidiscriminazione in Svizzera prima che la Confederazione si occupi della questione.  Secondo Claudia Kaufmann, è importante che il concetto di dignità umana riacquisti un posto centrale nel dibattito pubblico e riceva un’attenzione speciale per il suo ruolo unificante. A questo proposito, è sempre necessario concentrarsi sui diritti umani economici e sociali. Questo obiettivo è attualmente perseguito attraverso la promozione di un’istituzione nazionale per i diritti umani con una solida spina dorsale, un ampio mandato e risorse sufficienti a garantire la continuazione degli sforzi per proteggere dalla discriminazione.

Stephan Bernard, un avvocato e mediatore che si batte per i diritti fondamentali e umani, ci invita, in qualsiasi prospettiva intersezionale, a tenere presente la dimensione economica della discriminazione, che è spesso di primaria importanza nella nostra società dove tutto è soggetto alla logica capitalista. Mentre la legge si sta dimostrando un mezzo efficace per affrontare e combattere la discriminazione, l’approccio legale da solo non è sufficiente: sono necessarie diverse strategie, strategie collettive.

Per concludere, è essenziale che ci atteniamo a un progetto universale comune mentre continuiamo la nostra azione nelle diverse aree tematiche. A questo proposito, ciò include l’adozione di un regime generale di protezione contro la discriminazione a livello federale, ma anche lo sfruttamento del potenziale offerto dalla struttura federalista per presentare e incoraggiare buone pratiche legislative, giurisprudenziali e istituzionali nei cantoni e nei comuni. La cooperazione attraverso le frontiere linguistiche non è ancora sufficientemente consolidata. Chiaramente, è essenziale integrare più sistematicamente i mezzi legali utilizzati, in particolare a livello strategico, le attività di advocacy rivolte alle istituzioni politiche. Nel quadro di un approccio inclusivo e intersezionale, è quindi essenziale mettere costantemente al centro delle riflessioni le persone più deboli e vulnerabili, vittime di discriminazioni multiple. I diritti umani sono universali e indivisibili: nessuno deve essere escluso.

Fonte: https://www.humanrights.ch/fr/plateforme-ong/conferences-anuelles/colloque


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La Germania condanna uno 007 di Assad per torture

La Germania condanna uno 007 di Assad per torture

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Sentenza storica. La prima contro un elemento del regime siriano grazie all’utilizzo della “giurisdizione universale”

È stato complice dei “crimini contro l’umanità” commessi in Siria. È la storica sentenza pronunciata da un tribunale tedesco nel corso di un processo del tutto atipico: il primo su scala globale a carico di un elemento del regime di Assad. Si tratta di Eyad Al Gharib, 007 siriano, condannato oggi dall’alta Corte di Coblenza a 4 anni e mezzo di detenzione per aver collaborato a forme di tortura e gravissime privazioni di libertà. La procura aveva chiesto per lui cinque anni. Nelle stesse ore è arrivato anche il giudizio per l’uomo ritenuto la massima guida dell’Isis in Germania: Abu Walaa, condannato dalla Corte d’appello di Celle, che dovrà scontare invece 10 anni e mezzo di prigione.

La sentenza sull’agente siriano, scappato in Germania, segna una svolta. Al Gharib, 44 anni, è accusato di aver collaborato all’arresto di 30 persone durante una manifestazione fra il settembre e l’ottobre del 2011. Nel pieno del sollevamento popolare sfociato nella guerra civile che tuttora attraversa il paese, i dissidenti furono portati in un centro dei servizi segreti di Damasco, nominato Al-Kathib, e qui torturati. Ed è la prima volta che un tribunale si pronuncia su un crimine legato alla brutale repressione del regime di Assad. Inizialmente collegato a questo, ma poi separato dai giudici, è ancora in corso invece il processo di Anwar Raslan, 58 anni, che risponde della morte di 58 persone e della tortura di 4.000 detenuti. L’ex colonnello è ritenuto una figura cruciale del sistema di sicurezza del regime di Damasco, e la sentenza per lui non dovrebbe arrivare prima di ottobre. Il giudizio di oggi vuole essere un “segnale” a chi in Siria calpesta sistematicamente i diritti umani, ha spiegato il procuratore capo Jasper Klinge, affermando fra l’altro che la sentenza si fonda sul principio della competenza universale, che permette di perseguire gli artefici di quei crimini, qualsiasi sia la nazionalità e il luogo in cui li abbiano commessi.

Fonte: https://www.laregione.ch/estero/estero/1495206/anni-germania-assad-sentenza-regime

Per approfondimenti:

Convenzione europea sull’imprescrittibilità dei crimini di guerra e dei crimini contro l’umanità:

Convenzione imprescrittibilità


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Che cos'è la Giustizia sociale?

Che cos’è la Giustizia sociale?

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La giustizia sociale è un principio di fondo per la coesistenza pacifica e prosperosa dei paesi e tra i paesi. Sosteniamo i principi della giustizia sociale quando promuoviamo l’uguaglianza di genere, i diritti delle popolazioni indegene o dei migranti. Sosteniamo la giustizia sociale quando rimuoviamo le barriere che le persone devono superare a causa del loro genere, dell’età, della razza, dell’appartenenza etnica, della religione, della cultura, o delle disabilità.

Per le Nazioni Unite, il raggiungimento della giustizia sociale per tutti è il punto centrale della missione globale per lo sviluppo e la dignità umana. L’adozione della “Dichiarazione sulla Giustizia sociale per una globalizzazione giusta” (Declaration on Social Justice for a Fair Globalization) dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (International Labour Organization – ILO) è solo uno degli esempi più recenti dell’impegno del Sistema dell’ONU per la giustizia sociale. La Dichiarazione si propone di garantire risultati giusti per tutti, attraverso il lavoro, la protezione e il dialogo sociale, e i principi e i diritti fondamentali del lavoro.

Contesto

Il 10 giugno 2008, l’Organizzazione Internazionale del Lavoro ha adottato all’unanimità la “Dichiarazione dell’ILO sulla giustizia sociale per una globalizzazione giusta”.  La Dichiarazione rappresenta la terza più importante asserzione dei principi e delle politiche adottate dalla Conferenza internazionale del lavoro dal 1919, anno di Costituzione dell’ILO. Il documento si basa sulla Dichiarazione di Filadelfia del 1944 e sulla Dichiarazione sui Principi e Diritti Fondamentali nel Lavoro del 1998. La Dichiarazione del 2008 esprime la visione contemporanea del mandato dell’ILO nell’era della globalizzazione.

Leggi la Dichiarazione dell’ILO sulla giustizia sociale per una globalizzazione giusta: Declaration on Social Justice for a Fair Globalization

Fonte: https://www.onuitalia.it/giornata-internazionale-della-giustizia-sociale-2/


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Il 2021 è stato dichiarato l'Anno internazionale per l'eliminazione del lavoro minorile

Il 2021 è stato dichiarato l’Anno internazionale per l’eliminazione del lavoro minorile

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Che cos’è il lavoro minorile: Il lavoro minorile è definito dalle norme internazionali del lavoro come l’attività lavorativa che priva i bambini e le bambine della loro infanzia, della loro dignità e influisce negativamente sul loro sviluppo psico-fisico.
Il lavoro minorile comprende varie forme di sfruttamento e abuso spesso causate da condizioni di povertà, dalla mancata possibilità di istruzione, da situazioni economiche e politiche in cui i diritti dei bambini e delle bambine non vengono rispettati. Esso nega ai bambini il diritto di andare a scuola, la possibilità di giocare e di godere dei loro affetti.

Quali sono le cause del lavoro minorile?

Spesso i bambini sono costretti a lavorare perché la loro sopravvivenza e quella delle loro famiglie dipende dal loro lavoro, perché i loro genitori non hanno accesso a un lavoro dignitoso, i sistemi d’istruzione e protezione sociale sono deboli e perché gli adulti approfittano della loro vulnerabilità. Il lavoro minorile molto spesso è il risultato di convinzioni e tradizioni radicate nelle società come, ad esempio la convinzione che il lavoro sia un bene peri bambini perché li aiuta a crescere e a sviluppare le loro abilità, o la tradizione secondo la quale i bambini debbano seguire le orme dei loro genitori e imparare il loro mestiere in tenera età, e l’esistenza di tradizioni che spingono le famiglie povere a contrarre debiti che vengono riscattati attraverso il lavoro minorile.

Secondo le stime dell’OIL tra il 2000 e il 2016 c’è stata una diminuzione del 38% del lavoro minorile a livello globale. Inoltre quasi 100 milioni di bambini sono stati affrancati dal lavoro minorile negli ultimi 20 anni. Tuttavia la diffusione della pandemia di COVID-19 minaccia di invertire i progressi raggiunti. Per molti bambini e le loro famiglie, la pandemia ha causato l’interruzione dei percorsi di educazione, istruzione e formazione, ha portato a malattie familiari e alla perdita del reddito familiare.

Anno Internazionale per l’eliminazione del lavoro minorile

L’iniziativa: L’OIL ha lanciato l’Anno Internazionale per l’eliminazione del lavoro minorile.

La risoluzione che proclama il 2021 come Anno internazionale per l’eliminazione del lavoro minorile è stata adottata all’unanimità dell’Assemblea Generale dell’ONU nel 2019 per sollecitare i governi ad adottare le misure necessarie per promuovere il lavoro dignitoso e raggiungere l’Obiettivo 8.7 previsto dall’Agenda 2030 delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile.

Gli obiettivi principali della risoluzione sono porre fine al lavoro minorile entro il 2025, porre fine al lavoro forzato, al traffico di esseri umani e alla schiavitù moderna entro il 2030, accelerare il progresso per raggiungere questo obiettivo.

Con l’Obiettivo 8.7 dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite, tutti i Paesi si sono impegnati ad adottare misure immediate per eliminare le peggiori forme di lavoro minorile entro il 2025. L’ILO ha lanciato insieme ai suoi partner l’ “Alleanza 8.7 ”, un’alleanza mondiale per porre fine al lavoro minorile, al lavoro forzato, alla schiavitù moderna e alla tratta degli esseri umani.

Fonte: Organizzazione Internazionale del Lavoro- Anno Internazionale per l’eliminazione del lavoro minorile

https://www.ilo.org/wcmsp5/groups/public/—europe/—ro-geneva/—ilo-rome/documents/publication/wcms_768873.pdf


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L'inclusione nell'educazione è prima di tutto un processo 1

L’inclusione nell’educazione è prima di tutto un processo

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L’istruzione inclusiva è per tutti.

L’istruzione inclusiva è comunemente associata ai bisogni delle persone con disabilità e alla relazione tra l’istruzione speciale e quella tradizionale. Dal 1990, la lotta delle persone con disabilità ha condotto a una nuova prospettiva globale sull’inclusione nell’istruzione, portando al riconoscimento del diritto all’istruzione inclusiva nell’articolo 24 della Convenzione ONU del 2006 sui Diritti delle Persone con Disabilità (CRPD). Tuttavia, come ha riconosciuto il Commento Generale n. 4 sull’articolo nel 2016, l’inclusione deve avere una portata più ampia. Gli stessi meccanismi escludono non solo le persone con disabilità, ma anche altre a causa di genere, età, povertà, etnia, lingua, religione, stato di migrazione o spostamento, orientamento sessuale o espressione di identità di genere, incarcerazione, credenze e atteggiamenti. Sono il sistema e il contesto che non tengono conto della diversità e della molteplicità dei bisogni, come la pandemia Covid-19 ha messo a nudo. Sono la società e la cultura che determinano le regole, definiscono la normalità e percepiscono la differenza come devianza. Il concetto di barriere alla partecipazione e all’apprendimento dovrebbe sostituire quello di bisogni speciali.

L’inclusione è un processo.

L’educazione inclusiva è un processo che contribuisce al raggiungimento dell’obiettivo dell’inclusione sociale. Definire un’educazione equa richiede una distinzione tra “uguaglianza” e “equità”. L’uguaglianza è uno stato di cose (cosa): un risultato. L’equità è un processo (come): azioni volte a garantire l’uguaglianza. Definire l’educazione inclusiva è più complicato perché processo e risultato sono confusi. E’ necessario pensare all’inclusione come ad un processo: azioni che abbracciano la diversità e costruiscono un senso di appartenenza, radicato nella convinzione che ogni persona ha valore e potenziale, e dovrebbe essere rispettata, indipendentemente dal suo background, capacità o identità. Allo stesso modo l’inclusione può anche essere uno stato di cose, un risultato, che il CRPD e il Commento Generale n. 4 non hanno definito con precisione, probabilmente a causa delle diverse opinioni su quale dovrebbe essere il risultato.

Fonte: Global Education Monitoring Report summary, 2020: Inclusion and education: all means all

https://unesdoc.unesco.org/ark:/48223/pf0000373721/PDF/373721eng.pdf.multi


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L'esodo degli ultimi. Balcani, continua la gelida vergogna

L’esodo degli ultimi. Balcani, continua la gelida vergogna

Non cessano i respingimenti di profughi, nuove denunce, anche contro Frontex. Le «deportazioni» forzate in condizioni climatiche estreme nel mirino di un’inchiesta Ue

Il muro di neve e filo spinato che ha fatto dei respingimenti il biglietto da visita del Vecchio Continente comincia a dover fare i conti con i tribunali. E nel mirino c’è anche Frontex. Gli uffici del direttore dell’Agenzia Ue per le frontiere sono stati perquisiti su ordine di Olaf, il servizio antifrode di Bruxelles. Il motivo è sempre lo stesso: la caccia ai migranti e le deportazioni forzate fuori dall’Unione europea. Intanto negli accampamenti in Bosnia vengono distribuite scarpe, coperte, tende, detergenti.

Ma non c’è acqua calda, e non resta che scendere al fiume e provare a sciacquarsi tra i rivoli ghiacciati. E mentre il gelo mortifica i passi dei migranti intrappolati lungo la rotta balcanica, dai palazzi di giustizia giungono pronunciamenti che mettono in imbarazzo gli Stati. A Lubiana la corte amministrativa ha condannato l’accordo di riammissione tra Slovenia e Croazia, dove vengono riaccompagnate le persone, anche richiedenti asilo, intercettate dalle forze dell’ordine nel Paese.

Per il giudice si tratta di espulsioni collettive illegali, specie quando lo straniero manifesta l’intenzione di chiedere protezione internazionale. L’organizzazione umanitaria “Infokolpa”, che aveva promosso l’iniziativa legale, sostiene che «solo l’anno scorso erano più di 10 mila le persone respinte».

Nei primi sei mesi del 2019 il ministro dell’Interno sloveno ha riferito di aver trasferito 3.459 stranieri in Croazia secondo gli accordi di riammissione esistenti. Ma di dati affidabili e recenti non ve ne sono. Forse presagendo i verdetti della magistratura, Lubiana sta correndo ai ripari, accelerando sulla costruzione di una barriera metallica che bloccherà vari passaggi, per un totale di 40 chilometri. A ottobre era stato un giudice croato di Karlovac ad assolvere una mezza dozzina di richiedenti asilo afghani entrati illegalmente nel Paese. Nonostante il pronunciamento, il gruppo sparì dalla Croazia per riapparire un paio di giorni in Bosnia, piuttosto malconci, ugualmente riaccompagnati oltre confine dalla polizia.

Tra gennaio 2019 e gennaio 2021 i volontari del “Border violence monitoring” hanno raccolto le testimonianze di 4.340 persone respinte in Bosnia, 845 delle quali con l’uso di armi a scopo intimidatorio e offensivo. Frequentemente, denunciano organizzazioni umanitarie e medici nei campi profughi, vengono utilizzate anche unità cinofile e non di rado le ferite riportate dai migranti respinti sono compatibili con il morso dei cani. Le operazioni di allontanamento spesso avvengono nella piena consapevolezza di Frontex, l’agenzia Ue per la protezione dei confini esterni.

L’Ufficio europeo antifrode (Olaf) ha aperto una indagine amministrativa e il 7 dicembre, si è appreso ieri, ispettori di Bruxelles hanno anche perquisito l’ufficio del direttore Fabrice Leggeri e del suo vice. «L’Olaf può confermare di aver avviato un’indagine su Frontex. Tuttavia, poiché un’indagine è appunto in corso, non può rilasciare ulteriori commenti. Ciò – si legge in una nota – al fine di tutelare la riservatezza delle indagini in corso ed eventuali successivi procedimenti giudiziari». L’inchiesta è partita dopo diverse denunce sui respingimenti operati in Grecia, sia sulla frontiera terrestre che nel mare Egeo verso la Turchia, che hanno visto impegnati anche ufficiali dell’Ue.

Fonte: https://www.avvenire.it/attualita/pagine/i-respingimenti-nel-mirino-uefbclid=IwAR2Cx75FpR3HZl5sWMlV_09Mjjk5ExtyfocUQFFrhrb4vLirwLMpr5EwwW8

Migranti afghani nel campo profughi di Bihac, in Bosnia Erzegovina '

Migranti afghani nel campo profughi di Bihac, in Bosnia Erzegovina / – Matteo Placucci / Ipsia – Caritas


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