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Parità fra i sessi c'è ancora molto da fare 1

Parità fra i sessi c’è ancora molto da fare

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A prima vista sembra una cosa semplice: «Uomo e donna hanno uguali diritti.» Questo principio è iscritto dal 1981 nella Costituzione federale e dal 1996 è articolato nella legge sulla parità dei sessi (LPar). Alcuni servizi fanno opera di sensibilizzazione in merito a questa problematica. Finora sono circa mille le persone che hanno deciso di lottare contro una discriminazione che li ha colpiti. Ciononostante sussistono ancora differenze inspiegabili in ambito salariale e per quanto concerne il perfezionamento e la carriera professionale. Come si spiegano? E come fare a eliminarle?

SITUAZIONE AMBIVALENTE

Nel maggio 2018 l’ONU ha assegnato il «Public Service Award» all’Ufficio federale per l’uguaglianza fra donna e uomo (UFU), premiando quindi l’impegno della Svizzera a favore della parità salariale. Tutto bene? No, poiché proprio nel 2018 il Parlamento ha emanato disposizioni che obbligano determinate imprese a effettuare analisi sulla parità salariale, dato che le attività svolte su base volontaria non hanno manifestamente consentito di raggiungere gli obiettivi prefissati.

Questi due eventi contrastanti riflettono l’ambivalenza che persiste in questo campo anche a 23 anni dall’introduzione della LPar.

SPERANZE ESAUDITE?

Anche con i 18 nuovi articoli di legge, la lotta contro le singole discriminazioni è tutt’altro che una semplice passeggiata. Nell’economia privata chi si ribella viene facilmente messo alla porta. Nel 2006 il Consiglio federale presenta un primo rapporto sull’efficacia della LPar in cui afferma che, in linea di principio, la legge si è dimostrata valida e che nelle professioni tipicamente femminili le azioni di gruppo hanno modificato la struttura salariale dei Cantoni.

Esprimono invece delusione– per non dire amarezza – le conclusioni della comunità di lavoro che ha esaminato la problematica: nel settore privato la differenza salariale media non ha subito praticamente alcuna modifica e la paura di essere licenziate ha indotto molte donne a rinunciare a intentare un’azione. Anche chi si impegna nella lotta contro le molestie sessuali sul posto di lavoro deve di regola fare i conti con la perdita del posto di lavoro.

STEREOTIPI DI GENERE PROFONDAMENTE ANCORATI

Nel 2016 un secondo bilancio degli specialisti rileva nuovamente aspetti problematici. Le lacune del processo di applicazione sarebbero dovute in primo luogo al fatto che le donne discriminate devono esporsi personalmente affrontando un processo che può anche diventare costoso e nel corso del quale i tribunali di prima istanza tendono a riconoscere come legittimi troppi argomenti addotti per giustificare le differenze salariali. In secondo luogo la discriminazione viene praticata in modo indiretto e inconsapevole in linea con i tradizionali ruoli di genere di cui è intessuta la nostra cultura.

Il Consiglio federale giunge alla conclusione che in questo ambito occorre modificare le condizioni quadro. Per le organizzazioni dei lavoratori ciò significa garantire la trasparenza salariale. Il Consiglio federale chiama quindi in causa le imprese.

ANALISI SALARIALI AL POSTO DI INTERVENTI SU BASE VOLONTARIA

Il Consiglio federale propone di conseguenza che le imprese con oltre 50 collaboratori siano tenute a riesaminare i loro salari a ritmo quadriennale. Al Consiglio nazionale la modifica di legge proposta è controversa. Al momento del voto il Parlamento approva le misure proposte ma innalza la soglia d’applicazione alle sole imprese con oltre 100 lavoratori. Le analisi concernenti la parità salariale dovranno quindi essere effettuate solo dall’1 per cento delle imprese che però impiega il 46 per cento dei lavoratori. Anche se per le imprese in cui emergeranno lacune non sono previste sanzioni, la consigliera federale Sommaruga si dice convinta che «la trasparenza richiesta dalla legge avrà comunque effetto».

Al Consiglio nazionale il dibattito ha evidenziato ripetute oscillazioni fra posizioni scettiche e posizioni ottimiste, come spesso succede nelle discussioni su questo tema. Già nel 2015 la presidente dell’autorità di conciliazione del Cantone di Zurigo Susy Stauber-Moser affermava: «sono fiduciosa che le disparità salariali fra uomini e donne si ridurranno». Ma poco dopo aggiungeva: «avremo ancora bisogno della LPar per lungo tempo».

Fonte: https://www.parlament.ch/it/über-das-parlament/donne-politiche/parità-fra-i-sessi-ancora-molto-da-fare


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SINTESI DEI DIRITTI FEMMINILI IN SVIZZERA

SINTESI DEI DIRITTI FEMMINILI IN SVIZZERA

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L’introduzione del diritto di voto e di elezione alle donne rientra fra i i cambiamenti più importanti intervenuti nel sistema politico della Svizzera dalla fondazione dello Stato federale nel 1848. Il 7 febbraio 1971, il 65,7 per cento degli uomini svizzeri ha votato a favore del diritto di voto e di elezione delle donne. Sino a quel giorno la metà della popolazione svizzera non poteva né eleggere né essere eletta, e nemmeno votare o firmare un referendum. Per oltre un secolo le donne hanno lottato per i loro diritti e sono stati necessari numerosi interventi parlamentari e diverse votazioni popolari per realizzare questo obiettivo.

Nell’autunno del 1971 le Svizzere e gli Svizzeri hanno eletto dieci consiglieri nazionali e una consigliera agli Stati. Già dopo alcuni giorni un’undicesima consigliera nazionale era subentrata a un deputato, che era stato eletto nel Consiglio degli Stati. Da allora la quota delle donne nel Consiglio nazionale è aumentata costantemente: 12 seggi nel 1971, 95 nel 2019.

Fonte: https://www.parlament.ch/it/über-das-parlament/donne-politiche/sintesi-dei-diritti-femminili-in-svizzera

Per approfondimenti:

https://www.parlament.ch/it/über-das-parlament/donne-politiche/quota-donne-potere-politico/quote-di-donne-sotto-la-cupola


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I diritti delle persone con disabilità in formati accessibili

I diritti delle persone con disabilità in formati accessibili

Le persone con disabilità devono conoscere i propri diritti

Nel 2014 si sono celebrati i dieci anni della legge sui disabili (LDis). Nello stesso anno è entrata in vigore in Svizzera la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità (CDPD). Questi due eventi hanno offerto all’Ufficio federale per le pari opportunità delle persone con disabilità (UFPD) l’occasione per convertire in diversi formati accessibili alle persone con disabilità, in collaborazione con il Centro di competenza per le pubblicazioni ufficiali (CPU) della Cancelleria federale, i più importanti atti giuridici nazionali e internazionali che le concernono.

Nella lingua dei segni

Convenzione sui diritti delle persone con disabilità (CDPD)

Numerose persone non udenti hanno come «lingua madre» la lingua dei segni. Per questo motivo spesso faticano a capire testi più complessi scritti e/o letti ad alta voce. I video in lingua dei segni pubblicati in Internet permettono di eliminare le barriere nella comunicazione. Contenuti difficilmente comprensibili diventano così facilmente accessibili anche alle persone non udenti.

In linguaggio semplificato

Convenzione sui diritti delle persone con disabilità (CDPD) (PDF, 200 kB, 28.07.2015)

Legge sui disabili (LDis) (PDF, 284 kB, 28.07.2015)

Alcune persone faticano a capire le informazioni scritte, ad esempio perché presentano disabilità cognitive o difficoltà di apprendimento. L’uso del linguaggio semplificato permette di produrre testi che possono essere compresi facilmente. Questo tipo di linguaggio si fonda su regole linguistiche e redazionali particolari e su raccomandazioni tipografiche.

Documenti PDF senza barriere

Convenzione sui diritti delle persone con disabilità (CDPD) (PDF, 250 kB, 28.07.2015)

Legge sui disabili (LDis) (PDF, 131 kB, 28.07.2015)

Ordinanza sui disabili (ODis) (PDF, 123 kB, 28.07.2015)

Spesso gli screen reader – i programmi che «leggono» lo schermo utilizzati dalle persone non vedenti – non riescono a leggere i documenti PDF, poiché non sono stati redatti nel rispetto delle regole dell’accessibilità. Queste regole, infatti, permettono di produrre un file PDF senza barriere accessibile anche ai non vedenti e agli ipovedenti grazie ad appositi sistemi informatici. Questi sistemi – come il lettore di PDF VIP-PDF Reader concepito per i portatori di handicap visivi – estraggono il testo e lo riproducono su una superficie amichevole per l’utente. Qui può essere visualizzato a piacimento, modificando ad esempio il tipo, lo stile o la dimensione del carattere, il colore del testo o dello sfondo, la spaziatura dei caratteri o l’interlinea.

Fonte: https://www.admin.ch/gov/it/pagina-iniziale/diritto-federale/ricerca-e-novita/10-jahre-behig.html

Cosa vuol dire inclusione delle persone disabili?

Ognuno deve essere trattato in maniera eguale, così che le persone disabili abbiano gli stessi diritti e opportunità delle persone abili.

Chi sono le persone abili? Guarda questo video per scoprirlo.


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Auto Draft

Rinvio di un ragazzo gambiano omosessuale: la CEDU riprende la Svizzera.

In una sentenza emessa recentemente, la Corte europea per i diritti umani (CEDU) critica la Svizzera per aver voluto rinviare un ragazzo gambiano omosessuale. Questa sentenza dimostra chiaramente l’inadeguatezza della prassi che la Svizzera applica nei confronti dei richiedenti asilo LGBTQI.

Nel caso specifico trattasi di un ragazzo gambiano stabilitosi in Svizzera da qualche tempo. Dopo che la sua domanda d’asilo gli è stata negata a più riprese avrebbe dovuto lasciare la Svizzera nel 2018 in seguito alla decisione finale del Tribunale Federale. Nella sua sentenza del 17 novembre 2020 la CEDU ritiene che la decisione di rinviarlo dalla Svizzera ha violato il divieto alla tortura come sancisce l’articolo 3 della Convenzione. Si ritiene che la Svizzera non ha verificato a sufficienza l’incolumità del richiedente in relazione alla sua omosessualità in caso di rinvio nel suo paese d’origine. La CEDU rimprovera in particolare la Svizzera di non aver verificato se le autorità locali sarebbero state disponibili ed in grado di contrastare eventuali pericoli provenienti da situazioni non governative.

L’Organizzazione svizzera per l’aiuto ai rifugiati (OSAR) accoglie molto favorevolmente questa sentenza e ritiene che per decidere sul rinvio non è sufficiente valutare solo la situazione giuridica e l’applicazione della legge di un paese ma bisogna anche verificare se i richiedenti l’asilo sono protetti ed al sicuro nei confronti di qualsiasi forma di pericolo anche non governativo e/o privato. Secondo l’OSAR questo caso illustra le carenze generali della Svizzera in materia d’asilo nei confronti delle persone LGBTQI. L’esistenza di leggi che reprimono l’omosessualità nei paesi d’origine dei richiedenti asilo non è sufficiente per ottenere la protezione in Svizzera. Per poterne beneficiare le persone LGBTQI devono poter rendere credibile che il rinvio nei loro paesi d’origine li espone direttamente in pericolo. Le autorità svizzere nelle loro indagini, partono dal presupposto che le persone LGBTQI non hanno nulla di cui temere nei loro paesi d’origine fintanto che “non si fanno notare” e dissimulano il loro orientamento sessuale o la loro identità di genere. OSAR a più riprese ha criticato questo modo di fare delle autorità svizzere. Secondo le direttive internazionali, l’organizzazione fa notare che non si tratta di determinare se le persone in cerca di protezione possono continuare a vivere “discretamente” nei loro paesi d’origine in caso di ritorno, ma quello che potrebbe succeder loro se la loro identità venisse scoperta. L’OSAR considera l’identità sessuale come parte integrante dell’identità della persona e ritiene che essa non debba in alcuna circostanza essere repressa o messa in discussione.

Per riconoscere i motivi di fuga degli LGBTQI e garantirne i diritti d’asilo dei richiedenti d’asilo LGBTQI, l’OSAR ed altre organizzazioni hanno stilato, un po’ di tempo fa, una guida per i rappresentanti giuridici. Quest’opera contiene anche dei consigli sull’accoglienza, l’alloggio e la cura dei richiedenti asilo LGBTQI.

Fonte: https://www.osar.ch/publications/news-et-recits/renvoi-dun-gambien-homosexuel-la-cedh-reprimande-la-suisse


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“Controllava tutto di me”

“Controllava tutto di me”

La violenza fisica e quella psicologica nella testimonianza di una donna, vittima per due volte

Due matrimoni: uno segnato dalle botte e l’altro da una forma di maltrattamento psicologico. La violenza contro le donne può manifestarsi in molti modi all’interno di una relazione di coppia. Bruna (che ci ha chiesto di non usare il suo vero nome) è stata due volte una vittima di questo fenomeno. In occasione della giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, ha accettato di raccontare quanto ha patito, per spingere altre potenziali vittime a rompere il silenzio.

È stato dopo esserne uscita, per due volte, che la mostra “Parole posate” l’anno scorso ha aperto in lei una nuova breccia. Al centro del lavoro dell’artista ticinese Marco Meier c’era proprio la violenza domestica. Sul libro delle dediche, Bruna aveva lasciato un lungo messaggio firmato, con un suo recapito di posta elettronica. Oggi ci spiega perché e i contorni delle vicende dietro quelle parole.

“Le botte puoi nasconderle agli amici, ai parenti, però non a te stessa. Invece con il maltrattamento psicologico rischi per anni di restare in quella situazione e di non capirla nemmeno” ha spiegato alle Cronache della Svizzera italiana. Il primo marito ha alzato le mani una volta sola ed è bastato per dire basta. Bruna era poco più che ventenne e aveva una figlia di pochi mesi, ha sporto denuncia ed è stata ospite di una casa per mamme in difficoltà. Anni dopo si è risposata e solo dopo alcuni anni di matrimonio si è accorta che le critiche che l’allora coniuge le faceva continuamente, controllandola di continuo, non facevano parte di una relazione sana. Minata nell’autostima, ha avuto risvolti anche fisici. “Mi criticava sempre. Controllava tutto di me. Ti distrugge anche più delle botte, me ne sono resa conto solo dopo aver letto molti libri. Ti fa mettere in dubbio chi sei, quello che sai fare, il tuo valore”.

Romina Lara

Fonte: https://www.rsi.ch/news/ticino-e-grigioni-e-insubria/“Controllava-tutto-di-me”-13631263.html?fbclid=IwAR1QCauCARim3HD24ckFMOC7EcuOoRWD8PlIIuyLDqVgztMGuaUGIfJkFK8


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16 giorni di attivismo contro la violenza di genere 25 novembre – 10 dicembre 2020 2

16 giorni di attivismo contro la violenza di genere 25 novembre – 10 dicembre 2020

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Conosciuta come la 16 Days Campaign‘, la campagna 16 giorni di attivismo contro la violenza di genere promossa dalle Nazioni Unite viene sostenuta da cittadini e organizzazioni in tutto il mondo per promuovere la prevenzione e l’eliminazione della violenza contro le donne e le ragazze.

In vista del 25 novembre, Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, DAISI (gruppo Donne Amnesty International della Svizzera Italiana) e la Fondazione Diritti Umani uniscono le proprie forze e aderiscono a questa campagna internazionale per dire NO alla violenza di genere.

Mettete anche voi la faccia per dire “Io dico NO! alla violenza sulle donne“: inviateci i vostri selfie taggando @DonneAmnestySvizzera, cambiate la vostra immagine di profilo Facebook e Twitter, usate l’hashtag #25NoV.

Sarà un’azione incentrata sulla sensibilizzazione e sulla necessità di un impegno per mettere in luce il fenomeno e attuare misure per prevenirlo e contrastarlo.

La campagna 16 giorni di attivismo contro la violenza di genere è un’importante opportunità per evidenziare il problema della violenza di genere, promuovere l’uguaglianza, la non discriminazione e il rispetto dei diritti umani.

Immagine Profilo:

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Per informazioni o richieste di interviste:
Gabriela Giuria Tasville, Fondazione Diritti Umani Lugano
079 444 42 81g.giuria@fondazionedirittiumani.ch

https://www.facebook.com/DonneAmnestySvizzera

https://www.fondazionedirittiumani.ch/

Si può anche aderire alla campagna delle Nazioni Unite, condividendo fotografie, video e messaggi su:
facebook.com/SayNO.UNiTE e twitter.com/SayNO_UNiTE e usando gli hashtag #orangetheworld e #16days.


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Garantire i diritti del personale sanitario

Garantire i diritti del personale sanitario

Nel mondo, almeno 3’000 professionisti del settore sanitario hanno pagato con la propria vita gli sforzi per far fronte alla pandemia. Anche in Svizzera il personale sanitario ha lavorato sotto pressione, a volte in condizioni difficili. In una lettera aperta comune – già co-firmata dai sindacati VPOD/SSP e UNIA e dall’associazione professionale ASI – Amnesty chiede al Consiglio federale di ordinare una perizia indipendente della crisi del Coronavirus. Quest’ultima dovrebbe evidenziare le conseguenze della pandemia sul personale sanitario e fare chiarezza sulla gestione della crisi da parte del governo.

Secondo le stime disponibili, oltre 230’000 lavoratori e lavoratrici del settore sanitario sono stati contagiati dal Covid-19 nel mondo fino al mese di luglio 2020. Ricerche svolte da Amnesty rivelano che oltre 3’000 di loro hanno pagato con la propria vita gli sforzi per arginare la pandemia.

“Molti hanno dovuto e devono tuttora lavorare senza materiale di protezione sufficiente e con miseri salari. In diversi paesi, dei professionisti del settore sanitario che hanno criticato la gestione della crisi da parte del governo hanno subito sanzioni, sono stati licenziati o perfino incarcerati,” spiega Pablo Cruchon, coordinatore della campagna per Amnesty International Svizzera.

Anche in Svizzera, i professionisti del settore sanitario sono stati particolarmente esposti al virus e hanno dovuto fare prova di grande impegno e flessibilità in un contesto di crisi e incertezza inedito. Attualmente però non esistono dati affidabili sulle conseguenze della pandemia sul personale sanitario.

“Per definire le misure suscettibili di meglio proteggere il personale sanitario di fronte al virus in futuro, è necessario avere dei dati affidabili. Dobbiamo sapere quante persone impiegate nel settore sanitario hanno contratto il virus al lavoro e se tra queste delle persone sono decedute. Dei dati di questo genere dovrebbero anche stabilire in quale misura il Coronavirus è stato considerato una malattia professionale quando il virus è stato contratto sul luogo di lavoro, e rivelare la natura del sostegno offerto alle persone infettate,” si legge nella lettera.

Per migliorare le misure di protezione dei professionisti del settore sanitario in vista di una possibile nuova ondata nel nostro paese, Amnesty International e le organizzazioni partner chiedono al Consiglio federale di ordinare una perizia indipendente dell’impatto della crisi sul personale sanitario e sulle persone di origine straniera impiegate in queste professioni, che dovrebbe pure integrare una prospettiva di genere e legata all’origine del personale.

Fonte: https://www.amnesty.ch/it/campagne/la-nostra-salute-i-loro-diritti/garantire-i-diritti-del-personale-sanitario

Per maggiori approfondimenti

Il manifesto di Amnesty a sostegno del personale sanitario


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I diritti delle donne in Arabia Saudita: tra riforme ed immobilismo

I diritti delle donne in Arabia Saudita: tra riforme ed immobilismo

di MAZZUCCO LEONARDO JACOPO MARIA

L’ascesa al trono saudita di Salman bin Abdulaziz e la nomina di suo figlio Mohammed bin Salman (MbS) alla carica di principe ereditario, avvenute rispettivamente nel 2015 e nel 2017, hanno segnato l’avvio di una stagione di progressiva liberalizzazione dei diritti delle donne in Arabia Saudita.

Sebbene le riforme introdotte negli ultimi anni abbiano segnato un innegabile miglioramento della condizione dei diritti delle donne, non si può negare che delle forti criticità continuino ad ostacolare un pieno riconoscimento della donna quale cittadino pari ed eguale all’uomo.

In primo luogo, bisogna evidenziare come i decreti, per quanto rappresentino un’iniziativa di rinnovamento, restino il risultato concesso, controllato e circoscritto di una decisione politica assunta ed implementata da parte dell’élite governativa saudita che non coinvolge minimamente i movimenti sociali legati all’attivismo femminista. A conferma di ciò vi è l’esempio delle decine di attiviste legate al “Women to Drive Movement”, come Loujain al-Hathloul, Aisha Al-Mana ed Madeha al-Ajroush, le quali sono state arrestate nel maggio 2018 con l’accusa di “tentare di destabilizzare la monarchia” e che restano tuttora in carcere.

In secondo luogo, per quanto le riforme abbiamo introdotto delle importanti novità nella struttura sociale e civile saudita, queste ultime spesse volte si limitano a rimanere sul piano dei proclami formali e non si traducono in politiche concrete.

Fonte: http://www.mondopoli.it/2020/07/24/i-diritti-delle-donne-in-arabia-saudita-tra-riforme-ed-immobilismo/

PER MAGGIORI APPROFONDIMENTI

“Boxed In: Women and Saudi Arabia’s Male Guardianship System” di Human Rights Watch, 2016.



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LGBTIQ: le mentalità evolvono faticosamente in Svizzera

LGBTIQ: le mentalità evolvono faticosamente in Svizzera

Pioniera nel riconoscimento delle coppie omosessuali, la Svizzera oggi è in ritardo rispetto ad altri Paesi europei in fatto di diritti delle persone LGBTIQ (lesbiche, gay, bisessuali, transessuali, intersessuali e queer).

di Katy Romy

La più recente piccola vittoria per la comunità LGBTIQ risale al 9 febbraio 2020. Gli svizzeri hanno votato chiaramente a favore del perseguimento penale della discriminazione basata sull’orientamento sessuale, alla stessa stregua del razzismo.

Nonostante i continui progressi nell’accettazione dell’omosessualità nella società, l’omofobia rimane ancora un problema in Svizzera. Persone della comunità LGBTIQ sono tuttora vittime di discriminazioni, attacchi verbali e fisici basati sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere.

“La particolarità dell’omofobia e della transfobia è che il sentimento di rigetto può nascere in seno alla famiglia stessa”, spiega Caroline Dayer, esperta di questioni di genere e di uguaglianza.

Negli ultimi anni sono state avviate azioni per combattere l’omofobia, in particolare nelle scuole. Si tratta spesso di iniziative private basate sul volontariato, come quella dell’associazione bernese ABQ.

La Svizzera un tempo era all’avanguardia in termini di diritti LGBTIQ. Ha depenalizzato l’omosessualità nel 1942, quando la repressione contro gli omosessuali era la normalità negli Stati vicini. Nel 2007, quando ha introdotto l’unione registrata, è diventato il primo Paese al mondo in cui il riconoscimento delle coppie omosessuali è stato concesso direttamente e in modo chiaro (il 58% dei votanti) dal popolo.

Dal gennaio 2018, gli omosessuali hanno il diritto di adottare il figlio del loro partner. Tuttavia, l’unione registrata non pone gli omosessuali e gli eterosessuali su un piano di parità. Questa unione civile non consente alle coppie dello stesso sesso di adottare figli o di ricorrere alla procreazione medicalmente assistita (PMA).

La Svizzera ha compiuto un passo storico in giugno: la Camera del popolo (camera bassa) si è espressa in favore del matrimonio per tutti e dell’accesso alla donazione di sperma per le coppie lesbiche. Ma il cammino è ancora lungo, visto che la Camera dei Cantoni deve ancora pronunciarsi e che un voto popolare non è da escludere. La Svizzera potrebbe tuttavia recuperare il suo ritardo sui suoi vicini europei…

Fonte: https://www.swissinfo.ch/ita/lgbtiq–le-mentalità-evolvono-faticosamente-in-svizzera/45810706


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Diritti umani in Europa: Amnesty International non risparmia la Svizzera

Diritti umani in Europa: Amnesty International non risparmia la Svizzera

Nel Rapporto annuale rende omaggio a chi difende i propri diritti, ma si denunciano abusi e violazioni

di Fabio Caironi

LONDRA/LUGANO – Amnesty International ha pubblicato il proprio Rapporto annuale sui diritti umani in Europa per il 2019.

Da un lato l’organizzazione con sede a Londra rende omaggio alle persone che sono scese in strada per difendere i propri diritti e quelli degli altri. Allo stesso tempo, Amnesty International ha avvertito che le violazioni dei diritti umani continuano a verificarsi in tutta la regione, senza che i governi siano chiamati a risponderne.

Critiche alla Svizzera – Anche la Svizzera non viene risparmiata dalle critiche, in primis per quanto riguarda la nuova procedura di asilo accelerata. «Nessun sistema affidabile è stato messo in funzione per individuare a monte i richiedenti vulnerabili, come pure i loro bisogni in materia di procedura e di alloggio». I richiedenti asilo hanno faticato ad accedere a cure mediche specialistiche, mentre le persone che cercavano di venire loro in aiuto hanno incontrato limitazioni di accesso ai Centri federali. Il Regolamento di Dublino è stato applicato rigidamente dalle autorità elvetiche, prosegue Amnesty International: persone vulnerabili o con parenti residenti in Svizzera sono state regolarmente inviate verso il primo paese di entrata in Europa.

Ma non c’è solo questo. Un’indagine sulla diffusione delle molestie e delle violenze sessuali ha rivelato che il 22% delle donne di età superiore ai 16 anni hanno subito atti sessuali non desiderati nella loro vita. Amnesty International ha chiesto una riforma del diritto penale per fare in modo che lo stupro sia definito sulla base dell’assenza di reciproco consenso, conformemente alle norme internazionali in materia di diritti umani. Attualmente, la definizione dello stupro nella legislazione penale svizzera rimane basata sulla violenza, le minacce di violenza o altri mezzi di coercizione.

Infine, le leggi antiterrorismo che dovrebbero essere adottate nel corso dell’anno. «Permettendo alle autorità di limitare fortemente le libertà individuali sulla base non degli atti di una persona ma di ciò che potrebbe eventualmente commettere in futuro, la legislazione antiterrorismo proposta apre la porta a ogni genere di abusi. Queste misure, di cui alcune potrebbero essere applicate a bambini a partire dai 12 anni, non sono accompagnate da garanzie sufficienti, fatto che potrebbe sfociare in una messa in atto arbitraria e discriminatoria».

Fonte:https://www.tio.ch/svizzera/attualita/1431922/diritti-international-amnesty-svizzera-violazioni-europa