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Un progetto sociale di sensibilizzazione contro la violenza delle parole 2

Un progetto sociale di sensibilizzazione contro la violenza delle parole

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Il potere delle parole: commuovono, uniscono, scaldano il cuore. Oppure feriscono, offendono, allontanano.
In Rete, spesso l’aggressività domina tra tweet, post, status e stories.
È vero che i social media sono luoghi virtuali, ma è vero che le persone che vi si incontrano sono reali, e che le conseguenze sono reali.
Per questo oggi, specie in Rete, dobbiamo stare attenti a come usiamo le parole.

Parole O_Stili nasce dall’entusiasmo di circa 300 professionisti, della comunicazione d’impresa e della comunicazione politica, influencer, blogger, a cui in seguito si sono aggiunti molti insegnanti, studenti, imprenditori, professionisti…
Sono persone diverse, accomunate dalla volontà di rendere la Rete un luogo meno violento, più rispettoso e civile.
Ognuno si impegna a contrastare i linguaggi d’odio in Rete e lo fa aderendo al Manifesto della comunicazione non ostile.

I punti principali del Manifesto sono:

  1. Virtuale è reale: Dico o scrivo solo cose che ho il coraggio di dire di persona
  2. Si è ciò che si comunica: le parole che scelgo raccontano la personal che sono: mi rappresentano
  3. Le parole danno forma al pensiero: mi prendo tutto il tempo necessario a esprimere al meglio quel che penso
  4. Prima di parlare bisogna ascoltare: nessuno ha sempre ragione, neanche io. Ascolto con onestà e apertura.
  5. Le parole sono un ponte: scelgo le parole per comprendere, farmi capire, avvicinarmi agli altri.
  6. Le parole hanno conseguenze: So che ogni mia parola può avere conseguenze, piccole o grandi.
  7. Condividere è una responsabilità: condivido testi e immagini solo dopo averli letti, valutati, compresi.
  8. Le idee si possono discutere. Le persone si devono rispettare: non trasformo chi sostiene opinioni che non condivido in un nemico da annientare
  9. Gli insulti non sono argomenti: non accetto insulti e aggressività, nemmeno a favore della mia tesi.
  10. Anche il silenzio comunica: quando la scelta migliore è tacere, taccio.

Fonte:https://paroleostili.it


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Discriminazione razziale in Svizzera 1

Discriminazione razziale in Svizzera

RAPPORTO DEL SERVIZIO PER LA LOTTA AL RAZZISMO 2018

La discriminazione razziale può manifestarsi nelle forme più svariate ed è quindi molto difficile da rilevare. Soltanto incrociando i dati di più fonti è possibile averne un quadro. Il quarto rapporto «Discriminazione razziale in Svizzera» del Servizio per la lotta al razzismo, riferito al periodo 2017-2018, analizza i dati attualmente disponibili e presenta le misure di lotta al razzismo adottate dagli organi statali e da attori della società civile. Opera di riferimento per specialisti e persone altrimenti interessate, il rapporto è uno strumento per il monitoraggio a lungo termine della discriminazione razziale in Svizzera.

Per l’analisi sono stati presi in considerazione i risultati dell’ultima indagine sulla Convivenza in Svizzera (CiS) dell’Ufficio federale di statistica (UST), i dati statistici rilevati per determinati gruppi della popolazione in riferimento ai più importanti ambiti della vita (indicatori dell’integrazione ecc.), i dati registrati nell’attività di consulenza e i dati raccolti sulle sentenze dei tribunali.

L’analisi mostra tendenze e documenta la sistematicità della discriminazione. – I valori della CiS sono stabili, ma a un livello elevato: un terzo degli interpellati si sente infastidito dalla presenza di persone che percepisce come «diverse». Gli atteggiamenti negativi più diffusi sono quelli contro i musulmani.

D’altra parte, però, il razzismo è percepito come problema sociale serio e un terzo degli interpellati ritiene che sia necessario fare di più per combatterlo. – I giovani si sentono discriminati particolarmente spesso – nel quadro dell’indagine CiS, la quota dei 15- 24enni che dichiarano di aver subito discriminazioni negli ultimi cinque anni è nettamente cresciuta rispetto al 2016, passando dal 28 all’attuale 38 per cento. Se i giovani siano effettivamente discriminati più spesso, andrebbe verificato; è però certo che hanno una percezione più acuta della discriminazione razziale.

La discriminazione razziale è presente in tutti gli ambiti della vita. Il presente rapporto descrive dettagliatamente la situazione ambito per ambito. – Casi di discriminazione sono segnalati con particolare frequenza nella ricerca di un posto di lavoro e nella quotidianità lavorativa. Da anni è questo l’ambito in cui si registra il maggior numero di casi di consulenza. Poiché il mondo del lavoro è considerato il più importante motore dell’integrazione, le discriminazioni subite nel contesto professionale feriscono profondamente e inducono spesso a cercare consiglio.

Alla discriminazione razziale nei media e in Internet è dedicato per la prima volta un capitolo a parte. In Internet i discorsi d’odio razziale hanno raggiunto dimensioni qualitative e degli interpellati hanno dichiarato di essere stati personalmente vittima di discriminazione.

I risultati dell’indagine danno un quadro delle tendenze degli atteggiamenti e della discriminazione vissuta in prima persona, ma sulla discriminazione strutturale permettono solo conclusioni limitate. È quindi a maggior ragione importante confrontare i dati dell’indagine CiS con dati che diano indicazioni su disparità sistematiche tra i diversi gruppi della popolazione. Soltanto combinando i risultati dell’indagine CiS con i dati registrati dai consultori e i dati statistici rilevati in diversi ambiti della vita (indicatori dell’integrazione dell’UST, risultati di ricerche specifiche) si possono definire tendenze e provare fenomeni di discriminazione sistematica.

Leggi il Rapporto completo:  Rapporto «Discriminazione razziale in Svizzera 2018»( 02.09.2019)


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Pari opportunità

Pari opportunità

Nonostante gli sforzi delle istituzioni e l’evoluzione della società, la parità nella vita professionale ed accademica è ancora lontana. Ci sono tuttavia enti e progetti volti a promuovere le pari opportunità e ad aiutare in caso di problemi.

Situazione in Svizzera

Art. 3 della Legge federale sulla parità dei sessi LPar

«Nei rapporti di lavoro, uomini e donne non devono essere pregiudicati né direttamente né indirettamente a causa del loro sesso, segnatamente con riferimento allo stato civile, alla situazione familiare o a una gravidanza.»

Nonostante la LPar sia entrata in vigore nel 1996, la strada verso la parità nel mondo del lavoro è ancora lunga. Ecco le cifre più recenti secondo l’UFU e l’USTAT (dati del 2016):

  • Sei donne su dieci attive professionalmente lavorano a tempo parziale, mentre lo stesso vale solo per due uomini su dieci.
  • Lo scarto salariale è ancora abbastanza importante: nel settore privato una donna guadagna in media il 19,6% in meno rispetto ad un collega uomo, mentre nel settore pubblico lo scarto è del 16,7%.
  • C’è una forte sottorappresentazione delle donne tra i quadri: solo il 3% della direzione e il 4% del consiglio di amministrazione delle imprese svizzere quotate in borsa è composto da donne.
  • La divisione per settore al momento della scelta degli studi universitari è ancora abbastanza marcata (ad es. il 69,4% delle persone che studiano scienze tecniche sono di sesso maschile, mentre nelle scienze sociali e umane sono solo il 29,4%).

Pari opportunità nella vita accademica

La maggior parte delle scuole universitarie svizzere offre servizi di consulenza specializzati in questioni legate alla parità. Mediante misure quali la «politica di genere», le scuole universitarie auspicano di attuare un sistema organizzativo equo e garantire le pari opportunità tra donne e uomini, sia tra studenti sia tra insegnanti.
I dati di contatto delle persone responsabili delle pari opportunità nelle scuole universitarie sono disponibili su gendercampus.ch.

Gran parte delle scuole universitarie pubblica sul proprio sito informazioni inerenti alle pari opportunità: ad esempio, i siti dell’USI (usi.ch) e della SUPSI (supsi.ch) contengono indirizzi, spiegazioni sulle misure adottate e altre informazioni utili. 

Discriminazione e molestie sessuali

Discriminazioni

Se ci si rende conto di stare subendo una discriminazione salariale o a livello professionale a causa del proprio genere, è possibile seguire questi passi:

  • informarsi: www.ebg.admin.ch offre informazioni sulla parità salariale;
  • cercare una soluzione parlandone con il proprio o la propria superiore oppure, se possibile, con la persona responsabile delle pari opportunità all’interno dell’azienda;
  • qualora non si dovesse trovare una soluzione, è possibile rivolgersi a specialisti: consultori, associazioni del personale, sindacati, uffici di conciliazione;
  • in casi gravi è anche possibile avviare una procedura giudiziaria: la procedura davanti a un tribunale cantonale è gratuita, ma non le prestazioni dello studio legale. Durante la procedura e nei sei mesi successivi è garantita la protezione contro il licenziamento pronunciato per ritorsione.

Molestie sessuali

Le molestie sessuali sono comportamenti indesiderati di carattere sessuale che ledono la dignità della persona. Possono provenire da singoli individui o da gruppi (mobbing). A compiere le molestie sessuali possono essere collaboratori e collaboratrici, datori e datrici, partner o clientela.

Esistono diversi tipi di molestia sessuale:

  • commenti sessisti e osservazioni allusive;
  • contatti fisici indesiderati, coazione sessuale o violenza carnale;
  • materiale pornografico nei luoghi di lavoro;
  • abuso di una posizione di potere (ad es. nei confronti di subordinati) per ottenere prestazioni sessuali in cambio di favori o con minacce;
  • persecuzione.

In caso di molestie sessuali, le procedure da seguire sono le stesse che in caso di discriminazioni. Per ulteriori informazioni sull’argomento e sui passi da prendere, si vedano i seguenti siti:

Link utili

In Svizzera ci sono diversi enti o progetti che promuovono la parità nel mondo del lavoro o che sono a disposizione per consulenze o in caso di problemi che possono verificarsi durante la scelta professionale o una volta entrati nel mondo del lavoro (discriminazioni, molestie, ecc.):

Fonte: https://www.orientamento.ch/dyn/show/124596


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Tutti gli esseri umani sono uguali davanti alla legge. E gli altri?

Tutti gli esseri umani sono uguali davanti alla legge. E gli altri?

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Il 2 novembre 2020 la Fondazione ha preso parte alla Conferenza organizzata congiuntamente dalla Piattaforma delle ONG svizzere per i Diritti Umani e dal Centro di Competenza svizzero per i Diritti Umani (CSDH) dal titolo Tutti gli essere umani sono uguali davanti alla legge. E gli altri?

Di seguito una sintesi degli argomenti trattati.

Il titolo della Conferenza afferma qualcosa che è evidentemente sancito sia in ognuna delle convenzioni internazionali sui diritti umani che nelle Costituzioni federali e cantonali. Tuttavia, questo principio di protezione contro la discriminazione è lontano dal riflettere la realtà in Svizzera. Il titolo si conclude quindi con la domanda “E gli altri?”. Nel nostro paese, la discriminazione è davvero la sorte quotidiana di molte persone. Quali sono le questioni più importanti relative alle strutture federali e all’attuale sistema giuridico? Chi sono le prime vittime della discriminazione, specialmente quella multipla? Come possiamo lavorare insieme per dare nuova vita al nostro impegno per rafforzare la protezione contro la discriminazione in Svizzera?

Uno stato di cose deludente: è tempo di adottare una visione intersezionale

Come spiega l’avvocato e responsabile del progetto CSDH Reto Locher nel suo rapporto, praticamente nessun progresso legislativo è stato fatto dal 2015. Al massimo, si possono notare alcuni progressi per quanto riguarda i diritti delle persone LGBTI. In alcuni casi è a livello cantonale che si possono osservare dei miglioramenti. Per esempio il cantone di Basilea Città ha esteso l’ambito di competenza della sua Divisione per l’uguaglianza alle questioni LGBTI. Un incoraggiamento viene dal fatto che la pressione degli attori della società civile sui responsabili politici sta aumentando. Tuttavia, la mancanza di dati sulla discriminazione in Svizzera è un grosso ostacolo.

Nella sua presentazione Serena O. Dankwa, antropologa sociale, ricercatrice di genere e co-direttrice in carica dell’Organizzazione Lesbica Svizzera (LOS), evidenzia i punti di convergenza tra intersezionalità e discriminazione multipla. Definisce l’intersezionalità come uno strumento per analizzare la complessità del mondo, degli esseri umani e delle loro esperienze. In effetti, la disuguaglianza sociale, la condizione umana e l’organizzazione del potere all’interno di una società sono più facili da cogliere quando l’analisi non si limita a un singolo asse di differenza, come la razza (razzismo), il genere, la classe sociale, l’orientamento sessuale, lo status di residenza, l’età o la disabilità. L’intersezionalità sottolinea la simultaneità di diversi assi di differenza sociale, che possono rafforzarsi o attenuarsi a vicenda. Serena Dankwa mostra che questo approccio multidimensionale permette di analizzare il diverso trattamento di individui o gruppi all’interno di una società sotto forma di privilegi o discriminazioni. Rivela gruppi le cui esperienze rimangono invisibili alla società e mette in evidenza come i movimenti e le pratiche politiche contribuiscono a trascurare le relazioni intersezionali di dominazione e oppressione. L’invito è quello di adottare un approccio dal basso verso l’alto per la protezione contro la discriminazione e basare la nostra azione sulle esperienze delle persone che affrontano molteplici barriere e forme di violenza. Per gli individui ai margini della società, è spesso essenziale avere spazi che permettano loro di scoprire le loro molteplici appartenenze, di connettersi e, su questa base, di responsabilizzarsi. I centri di consulenza e le organizzazioni per i diritti umani possono aiutare a creare tali spazi, ma possono anche agire come un freno alla creazione di tali spazi. A questo proposito, è fondamentale non ridurre gli emarginati a una categoria o a uno status di vittima, ma riconoscere che essi hanno anche una certa quantità di conoscenze e prospettive che spesso non sono disponibili per coloro che sono privilegiati.

È tempo di lavorare insieme, anche per un regime generale di protezione contro la discriminazione.

Tarek Naguib, avvocato, è ricercatore e professore di diritto all’Università di Scienze Applicate di Zurigo (ZHAW), specializzato in diritto antidiscriminatorio, afferma che lo status inferiore ancora accordato a certi individui – un’eredità del razzismo – si manifesta anche nella legge sull’immigrazione, che distingue tra cittadini stranieri e nazionali. Tarek Naguib si concentra così sul problema del razzismo istituzionalizzato, una questione che, a suo avviso, è trascurata anche dai ricercatori svizzeri. Secondo il professore, la ratifica della Convenzione delle Nazioni Unite contro il razzismo nel 1994 e ciò che ne è seguito, cioè l’inclusione della norma contro la discriminazione razziale nel codice penale, è il più grande passo avanti finora in questo campo. Tuttavia, questa disposizione ha anche contribuito a limitare il concetto di discriminazione razziale. Tarek Naguib sottolinea che la società civile è responsabile dei grandi successi attuali nella lotta contro la discriminazione. Ora è giunto il momento che diversi movimenti e organizzazioni con diverse missioni lavorino fianco a fianco in un approccio collettivo. Muoversi in questa direzione permetterebbe al movimento per il clima, al movimento femminista e ai movimenti antirazzisti, in particolare quelli guidati dalle giovani generazioni, di ancorare ulteriormente l’intersezionalità nel loro pensiero. Secondo Tarek Naguib, dobbiamo unire le forze se vogliamo contrastare la perdita di visibilità e di importanza dei diritti umani in campo sociale, climatico e delle migrazioni.

Tra l’altro, l’avvocato Claudia Kaufmann, nella sua analisi del federalismo, nota che non è raro che un cantone o una città siano pionieri in un particolare ambito di uguaglianza e antidiscriminazione in Svizzera prima che la Confederazione si occupi della questione.  Secondo Claudia Kaufmann, è importante che il concetto di dignità umana riacquisti un posto centrale nel dibattito pubblico e riceva un’attenzione speciale per il suo ruolo unificante. A questo proposito, è sempre necessario concentrarsi sui diritti umani economici e sociali. Questo obiettivo è attualmente perseguito attraverso la promozione di un’istituzione nazionale per i diritti umani con una solida spina dorsale, un ampio mandato e risorse sufficienti a garantire la continuazione degli sforzi per proteggere dalla discriminazione.

Stephan Bernard, un avvocato e mediatore che si batte per i diritti fondamentali e umani, ci invita, in qualsiasi prospettiva intersezionale, a tenere presente la dimensione economica della discriminazione, che è spesso di primaria importanza nella nostra società dove tutto è soggetto alla logica capitalista. Mentre la legge si sta dimostrando un mezzo efficace per affrontare e combattere la discriminazione, l’approccio legale da solo non è sufficiente: sono necessarie diverse strategie, strategie collettive.

Per concludere, è essenziale che ci atteniamo a un progetto universale comune mentre continuiamo la nostra azione nelle diverse aree tematiche. A questo proposito, ciò include l’adozione di un regime generale di protezione contro la discriminazione a livello federale, ma anche lo sfruttamento del potenziale offerto dalla struttura federalista per presentare e incoraggiare buone pratiche legislative, giurisprudenziali e istituzionali nei cantoni e nei comuni. La cooperazione attraverso le frontiere linguistiche non è ancora sufficientemente consolidata. Chiaramente, è essenziale integrare più sistematicamente i mezzi legali utilizzati, in particolare a livello strategico, le attività di advocacy rivolte alle istituzioni politiche. Nel quadro di un approccio inclusivo e intersezionale, è quindi essenziale mettere costantemente al centro delle riflessioni le persone più deboli e vulnerabili, vittime di discriminazioni multiple. I diritti umani sono universali e indivisibili: nessuno deve essere escluso.

Fonte: https://www.humanrights.ch/fr/plateforme-ong/conferences-anuelles/colloque


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16 giorni di attivismo contro la violenza di genere 25 novembre – 10 dicembre 2020 2

16 giorni di attivismo contro la violenza di genere 25 novembre – 10 dicembre 2020

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Conosciuta come la 16 Days Campaign‘, la campagna 16 giorni di attivismo contro la violenza di genere promossa dalle Nazioni Unite viene sostenuta da cittadini e organizzazioni in tutto il mondo per promuovere la prevenzione e l’eliminazione della violenza contro le donne e le ragazze.

In vista del 25 novembre, Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, DAISI (gruppo Donne Amnesty International della Svizzera Italiana) e la Fondazione Diritti Umani uniscono le proprie forze e aderiscono a questa campagna internazionale per dire NO alla violenza di genere.

Mettete anche voi la faccia per dire “Io dico NO! alla violenza sulle donne“: inviateci i vostri selfie taggando @DonneAmnestySvizzera, cambiate la vostra immagine di profilo Facebook e Twitter, usate l’hashtag #25NoV.

Sarà un’azione incentrata sulla sensibilizzazione e sulla necessità di un impegno per mettere in luce il fenomeno e attuare misure per prevenirlo e contrastarlo.

La campagna 16 giorni di attivismo contro la violenza di genere è un’importante opportunità per evidenziare il problema della violenza di genere, promuovere l’uguaglianza, la non discriminazione e il rispetto dei diritti umani.

Immagine Profilo:

Immagine Cover:

Per informazioni o richieste di interviste:
Gabriela Giuria Tasville, Fondazione Diritti Umani Lugano
079 444 42 81g.giuria@fondazionedirittiumani.ch

https://www.facebook.com/DonneAmnestySvizzera

https://www.fondazionedirittiumani.ch/

Si può anche aderire alla campagna delle Nazioni Unite, condividendo fotografie, video e messaggi su:
facebook.com/SayNO.UNiTE e twitter.com/SayNO_UNiTE e usando gli hashtag #orangetheworld e #16days.


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Hate Speech e COVID-19: la pandemia dell’odio online

Hate Speech e COVID-19: la pandemia dell’odio online

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La pandemia di COVID-19 ha dato vita, fin dal principio, ad una nuova ondata di incitamento all’odio e con esso, di discriminazione. Il discorso d’odio che proviene dal COVID-19 comprende una vasta gamma di espressioni denigratorie antisemite, in particolare contro cinesi e asiatici individuati come colpevoli di quanto sta avvenendo a livello globale. In relazione a questo, Fernand de Varennes, il Relatore Speciale delle Nazioni Unite per le Minoranze, ha affermato, nel cuore dell’emergenza sanitaria, come la pandemia di COVID-19 non sia solo una problematica sanitaria, ma anche un virus che incentiva la xenofobia, l’odio e l’esclusione. Human Rights Watch riprende quanto detto da de Varennes, sostenendo che tale problematica peggiori dal momento che, spesso, gli stessi leader politici incoraggiano, direttamente o indirettamente, l’odio e il razzismo, utilizzando una retorica “anti-Cinese”.

Questa scheda mira ad analizzare e testimoniare questo aumento repentino dei casi di hate speech contro cinesi e asiatici, e come la cosiddetta tossicità dell’ internet stia “contagiando” bambini e adolescenti. Inoltre, verranno ripercorse le raccomandazioni che le Nazioni Unite hanno stilato per garantire che la preoccupazione del diffondersi e dell’uso dell’hate speech venga affrontata in modo efficace, sia a livello nazionale che globale, assicurando una risposta completa alla pandemia di COVID-19.

L1ght, una start-up dell’AI (Start-up nel mercato dell’Intelligenza Artificiale) nata nel 2018 che rileva e filtra i contenuti tossici online per proteggere i bambini, ha registrato un aumento del 900% nel fenomeno dell’hate speech nei confronti dei cinesi, e del 40% nella tossicità online tra adolescenti e bambini. Nello studio intitolato “Rising Levels of Hate Speech & Online Toxicity During This Time of Crisis”, L1ght attribuisce l’aumento dell’incitamento all’odio online al fatto che sempre più persone siano, a causa della pandemia, costrette in casa, avendo quindi più tempo da spendere online. La start-up riporta quindi:

  • Una diffusione di tweets contenenti hate speech, principalmente contro i cinesi e più in generale contro gli asiatici. Chi incita all’odio approfitta dell’incertezza e della crescente tensione che dominano in questo periodo per suscitare comportamenti discriminatori, utilizzando un linguaggio di esplicita accusa contro gli asiatici. Tra gli Hashtags più comuni, L1ght individua #chinaliedpeopledied, #kungflu, #communistvirus, #Whuanvirus, #chinesevirus.

Figura 1. Tweet #ChinaLiedPeopleDied

Figura 2. Tweet #chinaliedpeopledied, #kungflu, #communistvirus, #Whuanvirus, #chinesevirus

  • Una maggiore ricerca di siti che diffondono l’odio in rete. In particolare, L1ght registra un aumento del 200%.
  • Una crescita del 70% dell’hate speech tra gli adolescenti e i bambini.
  • Una crescita della tossicità online fra i “gamers” del 40%.

A maggio 2020, il Segretario Generale delle Nazioni Unite, António Guterres, ha lanciato, infatti, un appello contro l’hate speech, in cui richiede uno sforzo globale a leader politici, istituzioni educative, media e attivisti della società civile, per mettere fine all’incitamento all’odio. In particolare, egli si rivolge ai leader politici chiedendo di mostrare solidarietà nei confronti dei membri della società e di costruire così un clima di coesione sociale. Alle istituzioni educative, invece, chiede di garantire a bambini e ragazzi un’alfabetizzazione digitale. Ai media richiede un maggiore controllo dei contenuti messi in rete, mettendo in pratica un processo di censura di tutti quei contenuti razzisti, misogini e quindi dannosi. Infine, Guterres spinge la società civile a svolgere un lavoro maggiore nel raggiungere le persone più vulnerabili. Con questo obiettivo, le Nazioni Unite hanno quindi redatto un documento intitolato “United Nations Guidance Note on Addressing and Countering COVID-19 related Hate Speech” pubblicato in data 11 Maggio 2020. Questo documento parte proprio dalla premessa che fin dall’inizio della pandemia, individui considerati etnicamente cinesi o asiatici, o coloro che appartengono ad una determinata minoranza religiosa o etnica, migranti e stranieri siano stati accusati e diffamanti per la diffusione del virus.

Fonte: https://unipd-centrodirittiumani.it/it/schede/Hate-Speech-e-COVID-19-la-pandemia-dellodio-online/456


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10.12.2019 -  Informati! Indignati! Agisci! In prima linea per i diritti umani

10.12.2019 – Informati! Indignati! Agisci! In prima linea per i diritti umani

Giornata internazionale dei Diritti Umani dedicata all’importante impegno dei volontari attivi per dare un’accoglienza calorosa e dignitosa alle persone migranti.
Con noi: Giorgia Linardi, portavoce di Sea-Watch in Italia, Lisa Bosia e Daniele Biella.
Proiezione del documentario svizzero Volontaires, di Chloé Seyssel.


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03.10.2019 - presentazione della brochure: I diritti delle persone LGBT* 2

03.10.2019 – presentazione della brochure: I diritti delle persone LGBT*

La versione digitale della brochure è ora disponibile per scaricare qui

programma
18h00Saluti istituzionali
Professoressa Daniela Mondini
Prorettrice per la ricerca nelle scienze umane e per le pari opportunità USI
18h15Introduzione tematica
Avv. Prof. Paolo Bernasconi Dr.h.c.
Fondazione Diritti Umani
18h25Saluti Law Clinic Ginevra
Nesa Zimmermann
Co-responsabile Law Clinic sui diritti delle persone vulnerabili
18h30Intervento in videoconferenza di Lorena Parini
Professoressa associata all’Università di Ginevra e Direttrice dell’Istituto di Studi di Genere
19h00Tavola rotonda con:
Valerie Debernardi

Fondazione Diritti Umani, e alunna della Law Clinic sui diritti delle persone vulnerabili
Imbarco Immediato
Manuele Bertoli

Direttore del Dipartimento dell’educazione, della cultura e dello sport
19h30 – 19h45 Saluti conclusivi
Modera Philip Di Salvo
Giornalista e ricercatore post-doc presso l’Istituto di media e giornalismo dell’Università della Svizzera italiana

Segue rinfresco

Scarica programma come immagine

Scarica programma in formato PDF

Scarica la brochure in formato PDF


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FESTIVAL DIRITTI UMANI A MILANO

Festival Diritti Umani Milano 2019

I Film del Festival 2019

Con i film dell’edizione 2019 ci avvicineremo alle devastanti conseguenze delle guerre e all’oblio ingiustificato verso conflitti in corso ma oscurati. Ogni titolo descrive una preoccupante condizione dell’umanità, che spesso causa fughe disperate, l’abbandono delle proprie radici e, alla lunga, lo smarrimento della propria identità. Il Festival Diritti Umani cresce grazie alla condivisione con altre realtà che operano per la salvaguardia dei diritti umani. Sinergie con altri festival per far circolare opere che raccontano l’orrore per la guerra e la difficile strada per la pace.


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10.12.2018 - Brasile: Diritti Umani a un bivio?

10.12.2018 – Brasile: Diritti Umani a un bivio?

18.30 Hotel Internazionale – Viale Stazione 35,Bellinzona

Brasile – Diritti Umani a un bivio?

Incontro con Paulo Sérgio Pinheiro, già ministro del governo brasiliano per i Diritti Umani. Interviene Paolo Bernasconi, prof.dr.h.c., già Procuratore Pubblico, sul tema democrazie, corruzione, sistema bancario. Modera Anna Bernasconi, giornalista e regista.

(entrata libera – segue rinfresco)


20.30 Cinema Forum – Viale Stazione 39, Bellinzona

Proiezione del documentario
O Processo (Il Processo)

di Maria Ramos (Brasile, Germania, Paesi Bassi, 2018)

O Processo ripercorre il processo di impeachment di Dilma Rousseff (prima Presidente donna del Brasile) concentrandosi sulla sua difesa e la sua lotta per dimostrare la propria innocenza. Una storia di tradimento e corruzione, che presenta la vicenda personale di Rousseff: imprigionata e torturata dall’ex dittatura militare del paese, ora deve affrontare l’impeachment con l’accusa di reati fiscali. La Presidente si dichiara innocente e accusa l’opposizione di destra di perpetrare un colpo di stato. O Processo testimonia come l’impeachment inneschi una profonda crisi politica in Brasile, osservando il collasso delle istituzioni democratiche e gli interessi economici e geopolitici nel cuore della crisi.

v.o. portoghese, sottotitoli italiano
(10.- franchi)


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