Approfondimenti

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"Se ignoriamo i diritti umani per essere competitivi, abbiamo perso ogni dignità"

“Se ignoriamo i diritti umani per essere competitivi, abbiamo perso ogni dignità”

Dick Marty si batte in favore dell’iniziativa per imprese responsabili, sottoposta a votazione federale il prossimo 29 novembre. L’ex procuratore e senatore vuole che le società con sede in Svizzera siano chiamate a rispondere di fronte a un tribunale se con le loro attività all’estero hanno violato i diritti umani o inquinato l’ambiente.

Il 29 novembre il popolo svizzero si esprimerà sull’iniziativa “per imprese responsabili”. Il testo propone di aggiungere un articolo nella Costituzione federale affinché le aziende con sede in Svizzera e le ditte da loro controllate rispettino anche all’estero i diritti umani e gli standard ambientali valevoli a livello internazionale.

Il parlamento ha elaborato un controprogetto indiretto che entra in vigore se l’iniziativa viene bocciata alle urne, a meno di un’opposizione tramite referendum. In futuro, le aziende sarebbero così chiamate a stilare rapporti riguardanti le questioni ambientali, i diritti umani e la corruzione. Inoltre, il controprogetto impone degli obblighi di dovuta diligenza in materia di lavoro minorile e dei minerali estratti in zone in conflitto. Tuttavia, non fissa nuove regole per quanto riguarda la responsabilità delle imprese.

Intervista

swissinfo.ch: Signor Marty, le aziende con sede in Svizzera violano spesso i diritti umani o inquinano l’ambiente con le loro attività all’estero?

Dick Marty: La maggior parte delle imprese svizzere si comporta in maniera corretta. Solo una minima parte non rispetta le regole. Tuttavia, il loro comportamento ha un impatto negativo sulla popolazione e sull’ambiente locale. Inoltre, le loro violazioni in materia di diritti umani e ambiente rovinano la reputazione della Svizzera e della sua economia. Non siamo l’unico Paese confrontato con questo problema. Ci sono cause pendenti in Gran Bretagna, Canada, Paesi Bassi e Francia. La Svizzera è però lo Stato con la più alta concentrazione di sedi di multinazionali.

Con la vostra iniziativa è possibile cambiare questo stato di cose?

Nel corso della mia vita ho avuto la fortuna di visitare vari Paesi. A sconvolgermi è stata la constatazione che negli Stati particolarmente ricchi di risorse minerarie si registra il tasso di povertà e di violenza più elevato al mondo e i cittadini non sono protetti dai loro governi. Questa ricchezza è trasferita in Occidente e la popolazione resta a mani vuote. Soprattutto coloro che subiscono dei danni causati dalle multinazionali straniere non hanno la possibilità di rivolgersi alla giustizia perché nel loro Paese non funziona o è corrotta. Due recenti sentenze della Corte suprema britannica vanno proprio nella direzione auspicata dalla nostra iniziativa. Visto che i cittadini della Zambia non hanno accesso alla giustizia, è giusto che possano chiamare in giudizio per danni la società in Gran Bretagna, dove ha sede la casa madre.

Si tratta di una causa civile che non chiamerebbe in causa la Confederazione. Si tratterebbe di un affare tra un cittadino che ha subito un torto in qualsiasi parte del mondo e l’azienda che ha sede in Svizzera. Le denunce possono riguardare unicamente le violazioni dei diritti umani o degli standard riconosciuti a livello internazionale in materia di protezione dell’ambiente.

Crede che in gioco ci sia anche il buon nome della Svizzera all’estero?

La politica svizzera sembra sia incapace di prevedere i problemi. Ci sono vari esempi: il riciclaggio di denaro sporco, i beni in giacenza, la Swissair, l’UBS e il segreto bancario. Fino alla fine abbiamo sostenuto il regime dell’apartheid in Sud Africa. Eppure c’erano segnali molto chiari dell’imminenza della crisi. Non abbiamo mai reagito in tempo e così l’immagine della Svizzera è stata gravemente compromessa.

È la ragione per cui mi indigno oggi, tenendo anche conto che l’ONU, l’OCSE e il Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa chiedono agli Stati di adottare misure legislative per rendere responsabili le società multinazionali per le loro attività ovunque nel mondo. Per essere sostenibile, un’economia non può perseguire solo il profitto. Martin Luther King ci ha ricordato che “un’ingiustizia commessa in qualsiasi parte del mondo è una minaccia per la giustizia ovunque”.

Fonte: https://www.swissinfo.ch/ita/votations-du-29-novembre—entreprises-responsables_-se-ignoriamo-i-diritti-umani-per-essere-competitivi–abbiamo-perso-ogni-dignità-/46135208


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Hate Speech e COVID-19: la pandemia dell’odio online

Hate Speech e COVID-19: la pandemia dell’odio online

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La pandemia di COVID-19 ha dato vita, fin dal principio, ad una nuova ondata di incitamento all’odio e con esso, di discriminazione. Il discorso d’odio che proviene dal COVID-19 comprende una vasta gamma di espressioni denigratorie antisemite, in particolare contro cinesi e asiatici individuati come colpevoli di quanto sta avvenendo a livello globale. In relazione a questo, Fernand de Varennes, il Relatore Speciale delle Nazioni Unite per le Minoranze, ha affermato, nel cuore dell’emergenza sanitaria, come la pandemia di COVID-19 non sia solo una problematica sanitaria, ma anche un virus che incentiva la xenofobia, l’odio e l’esclusione. Human Rights Watch riprende quanto detto da de Varennes, sostenendo che tale problematica peggiori dal momento che, spesso, gli stessi leader politici incoraggiano, direttamente o indirettamente, l’odio e il razzismo, utilizzando una retorica “anti-Cinese”.

Questa scheda mira ad analizzare e testimoniare questo aumento repentino dei casi di hate speech contro cinesi e asiatici, e come la cosiddetta tossicità dell’ internet stia “contagiando” bambini e adolescenti. Inoltre, verranno ripercorse le raccomandazioni che le Nazioni Unite hanno stilato per garantire che la preoccupazione del diffondersi e dell’uso dell’hate speech venga affrontata in modo efficace, sia a livello nazionale che globale, assicurando una risposta completa alla pandemia di COVID-19.

L1ght, una start-up dell’AI (Start-up nel mercato dell’Intelligenza Artificiale) nata nel 2018 che rileva e filtra i contenuti tossici online per proteggere i bambini, ha registrato un aumento del 900% nel fenomeno dell’hate speech nei confronti dei cinesi, e del 40% nella tossicità online tra adolescenti e bambini. Nello studio intitolato “Rising Levels of Hate Speech & Online Toxicity During This Time of Crisis”, L1ght attribuisce l’aumento dell’incitamento all’odio online al fatto che sempre più persone siano, a causa della pandemia, costrette in casa, avendo quindi più tempo da spendere online. La start-up riporta quindi:

  • Una diffusione di tweets contenenti hate speech, principalmente contro i cinesi e più in generale contro gli asiatici. Chi incita all’odio approfitta dell’incertezza e della crescente tensione che dominano in questo periodo per suscitare comportamenti discriminatori, utilizzando un linguaggio di esplicita accusa contro gli asiatici. Tra gli Hashtags più comuni, L1ght individua #chinaliedpeopledied, #kungflu, #communistvirus, #Whuanvirus, #chinesevirus.

Figura 1. Tweet #ChinaLiedPeopleDied

Figura 2. Tweet #chinaliedpeopledied, #kungflu, #communistvirus, #Whuanvirus, #chinesevirus

  • Una maggiore ricerca di siti che diffondono l’odio in rete. In particolare, L1ght registra un aumento del 200%.
  • Una crescita del 70% dell’hate speech tra gli adolescenti e i bambini.
  • Una crescita della tossicità online fra i “gamers” del 40%.

A maggio 2020, il Segretario Generale delle Nazioni Unite, António Guterres, ha lanciato, infatti, un appello contro l’hate speech, in cui richiede uno sforzo globale a leader politici, istituzioni educative, media e attivisti della società civile, per mettere fine all’incitamento all’odio. In particolare, egli si rivolge ai leader politici chiedendo di mostrare solidarietà nei confronti dei membri della società e di costruire così un clima di coesione sociale. Alle istituzioni educative, invece, chiede di garantire a bambini e ragazzi un’alfabetizzazione digitale. Ai media richiede un maggiore controllo dei contenuti messi in rete, mettendo in pratica un processo di censura di tutti quei contenuti razzisti, misogini e quindi dannosi. Infine, Guterres spinge la società civile a svolgere un lavoro maggiore nel raggiungere le persone più vulnerabili. Con questo obiettivo, le Nazioni Unite hanno quindi redatto un documento intitolato “United Nations Guidance Note on Addressing and Countering COVID-19 related Hate Speech” pubblicato in data 11 Maggio 2020. Questo documento parte proprio dalla premessa che fin dall’inizio della pandemia, individui considerati etnicamente cinesi o asiatici, o coloro che appartengono ad una determinata minoranza religiosa o etnica, migranti e stranieri siano stati accusati e diffamanti per la diffusione del virus.

Fonte: https://unipd-centrodirittiumani.it/it/schede/Hate-Speech-e-COVID-19-la-pandemia-dellodio-online/456


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Il genocidio di un popolo dal nome impronunciabile

Il genocidio di un popolo dal nome impronunciabile

Deportazioni nei campi di concentramento, sterilizzazioni forzate, matrimoni combinati.

Settembre 2019. Un video girato da un drone e postato su YouTube sconvolge l’opinione pubblica internazionale. La registrazione ritrae centinaia di uomini bendati, rasati, fatti inginocchiare in una stazione e costretti da gruppi armati di polizia a salire su dei treni. Le immagini sembrano provenire da un altro mondo o da un’altra epoca, invece sono state girate in Cina, nel ventunesimo secolo. Le persone inginocchiate sono uiguri, un’etnia turcofona di religione musulmana che vive nello Xinjiang, regione situata nell’ex Turkestan orientale, a nord-ovest del Paese. 

Perché quegli uomini sono bendati e rasati? Dove sono diretti i treni su cui vengono obbligati a salire? Quando, durante uno show televisivo della BBC, il conduttore pone queste domande all’ambasciatore cinese nel Regno Unito, Liu Xiaoming, quest’ultimo non risponde. “Non so da dove provenga questo video”, si limita a commentare, laconico. Ma una serie di inchieste, articoli di prestigiose testate e testimonianze dirette rivelano una verità agghiacciante. E’ in atto una persecuzione di massa, in Cina, e le vittime sono milioni di donne, uomini e bambini appartenenti ad un’etnia con un nome difficile da pronunciare (e quindi da ricordare) per chi vive in Europa. Le testimonianze dei sopravvissuti – quelle, però – una volta sentite non si dimenticano facilmente. «Chiunque ascolti un testimone, diventa testimone» ha affermato Kelley Currie, ambasciatrice generale per i diritti delle donne presso le Nazioni Unite durante un panel online organizzato da Campaign For Uyghurs.

Fonte: https://www.tio.ch/dal-mondo/attualita/1463303/campi-xinjiang-cina-cinese-uiguri-zumrat-interno-donne-genocidio-uigura

Per maggiori approfondimenti

Intervista Isa Dolkun
ll FFDUL è onorato di poter dare spazio alla voce e alla testimonianza di ISA DOLKUN, presidente del World Uyghur Congress (organizzazione che denuncia il genocidio in corso nello Xinjiang), presente per un incontro con il pubblico in occasione della proiezione, in prima svizzera, del film WE HAVE BOOTS di Evans Chan, che narra i primi movimenti di protesta ad Hong Kong.


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La presidente della Commissione lancia una sfida all’Europa

La presidente della Commissione lancia una sfida all’Europa

di Pierre Haski

Una delle principali debolezze dell’Europa è la sua incapacità di prendere decisioni rapide e forti sui temi esterni che la riguardano, e di far rispettare i valori che professa.

Il 16 settembre, nel suo primo discorso sullo “stato dell’Unione”, la presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen ha affrontato l’argomento in modo risoluto, con un annuncio e una sfida lanciata agli stati.

L’annuncio risponde a una richiesta avanzata diversi anni fa durante un voto al parlamento europeo: l’adozione di una “legge Magnitskij” europea. Si tratta di una norma statunitense del 2012 che porta il nome di Sergej Magnitskij, un avvocato russo impegnato nella lotta contro la corruzione e morto in un carcere russo nel 2009. La legge ha permesso di sanzionare tutte le persone legate alla morte di Magnitskij e di evitarne l’impunità. Da allora la norma è stata ampliata e usata in diversi contesti, per esempio nei confronti dei funzionari sauditi coinvolti nella morte del giornalista Jamal Khashoggi.

Una svolta evidente
Una legge di questo tipo permetterebbe all’Europa di agire in un caso come quello dell’avvelenamento dell’oppositore russo Aleksej Navalnyj (vittima del Novichok, un prodotto sviluppato dallo stato russo) o di affrontare con decisione la repressione in Bielorussia. La presidente della Commissione ha inoltre fatto riferimento alla situazione di Hong Kong e alla sorte degli uiguri nell’ovest della Cina, lasciando intravedere sanzioni mirate contro il regime cinese.

Si tratta evidentemente di una svolta per l’Unione europea, ormai ridotta al silenzio in materia di difesa dei diritti umani. Ursula Von der Leyen ha deciso di lanciare una sfida ai 27: passare dall’unanimità a una maggioranza qualificata per le decisioni legate ai diritti umani o all’imposizione di sanzioni.

I 27 sono davvero pronti a compiere questo passo? È una domanda ragionevole, perché la principale debolezza dell’Unione è interna. Il 16 settembre Ursula Von der Leyen ha invitato l’Europa a cambiare orientamento quando si tratta del rispetto dei valori. Secondo la presidente l’Unione non può tollerare “zone senza lgbt” come quelle proclamate in alcune località polacche.

Nel contesto delle varie sfide che attendono l’Europa, dalla pandemia con le sue conseguenze economiche alla transizione ecologica e alla sovranità tecnologica, questo soffermarsi sui valori e la difesa dei diritti umani ha un grande significato simbolico. Resta da capire se l’Europa sarà capace di diventare una potenza completa e soprattutto di agire come tale.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Fonte: https://www.internazionale.it/opinione/pierre-haski/2020/09/17/von-der-leyen-diritti-umani


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Garantire i diritti del personale sanitario

Garantire i diritti del personale sanitario

Nel mondo, almeno 3’000 professionisti del settore sanitario hanno pagato con la propria vita gli sforzi per far fronte alla pandemia. Anche in Svizzera il personale sanitario ha lavorato sotto pressione, a volte in condizioni difficili. In una lettera aperta comune – già co-firmata dai sindacati VPOD/SSP e UNIA e dall’associazione professionale ASI – Amnesty chiede al Consiglio federale di ordinare una perizia indipendente della crisi del Coronavirus. Quest’ultima dovrebbe evidenziare le conseguenze della pandemia sul personale sanitario e fare chiarezza sulla gestione della crisi da parte del governo.

Secondo le stime disponibili, oltre 230’000 lavoratori e lavoratrici del settore sanitario sono stati contagiati dal Covid-19 nel mondo fino al mese di luglio 2020. Ricerche svolte da Amnesty rivelano che oltre 3’000 di loro hanno pagato con la propria vita gli sforzi per arginare la pandemia.

“Molti hanno dovuto e devono tuttora lavorare senza materiale di protezione sufficiente e con miseri salari. In diversi paesi, dei professionisti del settore sanitario che hanno criticato la gestione della crisi da parte del governo hanno subito sanzioni, sono stati licenziati o perfino incarcerati,” spiega Pablo Cruchon, coordinatore della campagna per Amnesty International Svizzera.

Anche in Svizzera, i professionisti del settore sanitario sono stati particolarmente esposti al virus e hanno dovuto fare prova di grande impegno e flessibilità in un contesto di crisi e incertezza inedito. Attualmente però non esistono dati affidabili sulle conseguenze della pandemia sul personale sanitario.

“Per definire le misure suscettibili di meglio proteggere il personale sanitario di fronte al virus in futuro, è necessario avere dei dati affidabili. Dobbiamo sapere quante persone impiegate nel settore sanitario hanno contratto il virus al lavoro e se tra queste delle persone sono decedute. Dei dati di questo genere dovrebbero anche stabilire in quale misura il Coronavirus è stato considerato una malattia professionale quando il virus è stato contratto sul luogo di lavoro, e rivelare la natura del sostegno offerto alle persone infettate,” si legge nella lettera.

Per migliorare le misure di protezione dei professionisti del settore sanitario in vista di una possibile nuova ondata nel nostro paese, Amnesty International e le organizzazioni partner chiedono al Consiglio federale di ordinare una perizia indipendente dell’impatto della crisi sul personale sanitario e sulle persone di origine straniera impiegate in queste professioni, che dovrebbe pure integrare una prospettiva di genere e legata all’origine del personale.

Fonte: https://www.amnesty.ch/it/campagne/la-nostra-salute-i-loro-diritti/garantire-i-diritti-del-personale-sanitario

Per maggiori approfondimenti

Il manifesto di Amnesty a sostegno del personale sanitario


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I diritti delle donne in Arabia Saudita: tra riforme ed immobilismo

I diritti delle donne in Arabia Saudita: tra riforme ed immobilismo

di MAZZUCCO LEONARDO JACOPO MARIA

L’ascesa al trono saudita di Salman bin Abdulaziz e la nomina di suo figlio Mohammed bin Salman (MbS) alla carica di principe ereditario, avvenute rispettivamente nel 2015 e nel 2017, hanno segnato l’avvio di una stagione di progressiva liberalizzazione dei diritti delle donne in Arabia Saudita.

Sebbene le riforme introdotte negli ultimi anni abbiano segnato un innegabile miglioramento della condizione dei diritti delle donne, non si può negare che delle forti criticità continuino ad ostacolare un pieno riconoscimento della donna quale cittadino pari ed eguale all’uomo.

In primo luogo, bisogna evidenziare come i decreti, per quanto rappresentino un’iniziativa di rinnovamento, restino il risultato concesso, controllato e circoscritto di una decisione politica assunta ed implementata da parte dell’élite governativa saudita che non coinvolge minimamente i movimenti sociali legati all’attivismo femminista. A conferma di ciò vi è l’esempio delle decine di attiviste legate al “Women to Drive Movement”, come Loujain al-Hathloul, Aisha Al-Mana ed Madeha al-Ajroush, le quali sono state arrestate nel maggio 2018 con l’accusa di “tentare di destabilizzare la monarchia” e che restano tuttora in carcere.

In secondo luogo, per quanto le riforme abbiamo introdotto delle importanti novità nella struttura sociale e civile saudita, queste ultime spesse volte si limitano a rimanere sul piano dei proclami formali e non si traducono in politiche concrete.

Fonte: http://www.mondopoli.it/2020/07/24/i-diritti-delle-donne-in-arabia-saudita-tra-riforme-ed-immobilismo/

PER MAGGIORI APPROFONDIMENTI

“Boxed In: Women and Saudi Arabia’s Male Guardianship System” di Human Rights Watch, 2016.



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La Cina approva la legge sulla sicurezza nazionale. Stretta sulle libertà di Hong Kong

La Cina approva la legge sulla sicurezza nazionale. Stretta sulle libertà di Hong Kong

La norma punisce gli atti di sovversione, secessione, terrorismo e collusione con le forze straniere compiuti nell’ex colonia britannica. L’attivista Joshua Wong lascia la leadership di Demosisto per il timore di essere uno dei “primi bersagli” di Pechino

di FILIPPO SANTELLI

PECHINO – La legge sulla sicurezza nazionale per Hong Kong è stata approvata. Secondo diversi media locali i 162 membri del comitato permanente dell’Assemblea nazionale del popolo di Pechino, versione cinese del parlamento, hanno dato il via libera alla contestata norma questa mattina, all’unanimità. La legge, il cui testo dovrebbe essere reso noto nelle prossime ore, punisce gli atti di sovversione, secessione, terrorismo e collusione con le forze straniere compiuti nell’ex colonia britannica.

Una procedura lampo, a conferma della volontà di Pechino di riaffermare il proprio controllo su Hong Kong. 

Una prima conseguenza è stato l’annuncio, a poche ore dall’approvazione, dell’abbandono di Joshua Wong del suo ruolo di leader del gruppo Demosisto, motivato proprio con il timore di essere uno dei “primi bersagli” della nuova legge. Poi, su Twitter, Wong ha lanciato il suo messaggio: è “la fine della Hong Kong che il mondo conosceva. Con poteri spazzati via e una legge indefinita, la città diventerà uno Stato di polizia segreta”.

Fonte: https://www.repubblica.it/esteri/2020/06/30/news/hong_kong_la_cina_approva_la_legge_sulla_sicurezza_nazionale-260560316/


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Denunciati i giganti della tecnologia per sfruttamento minorile nelle miniere di cobalto in Congo

Denunciati i giganti della tecnologia per sfruttamento minorile nelle miniere di cobalto in Congo

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Apple, Dell, Microsoft e Tesla sono alcune aziende citate in causa per la morte di bambini nelle miniere di cobalto della Repubblica Democratica del Congo.

La ong per i diritti umani International rights advocates rappresenta quattordici famiglie congolesi in una causa storica alla corte distrettuale di Washington, negli Stati Uniti, contro le aziende di tecnologia più importanti del mondo. Le famiglie rappresentate sostengono che i loro bambini siano stati uccisi o menomati mentre lavoravano in miniera per estrarre una sostanza chimica molto costosa chiamata cobalto, utilizzata per alimentare smartphone, computer e batterie di auto elettriche. Sono state chiamate in causa aziende del calibro di Apple, Aphabet (l’azienda madre di Google), Dell, Microsoft e Tesla.

Lavoro minorile e morti di bambini nella causa contro i giganti tech

Nella causa la ong International rights advocates sostiene che “il processo di produzione sia volontariamente nascosto per permettere ai partecipanti di trarre beneficio economico dall’uso di cobalto estratto in condizioni estremamente pericolose da bambini disperati, obbligati a fare lavori molto pericolosi senza attrezzatura di sicurezza di alcun tipo”.

Una querelante (anonima) identificata come Jane Doe 1 afferma di essere la custode legale di suo nipote, James Doe 1, che ha iniziato a lavorare a quindici anni come “mulo umano”, trasportando sulla schiena sacchi da più di trenta chili di roccia contenente cobalto per 70-95 centesimi di dollari al giorno. James Doe 1 è morto mentre stava lavorando nel tunnel di una miniera. Mentre altri bambini avevano iniziato a correre perché spaventati da alcuni soldati che stavano entrando, James Doe 1 aveva iniziato a gattonare per cercare di uscire, ma il tunnel è collassato uccidendolo sul colpo.

Un altro bambino, identificato come John Doe 1, dice di avere iniziato al lavorare in miniera quando aveva nove anni. Nella causa si sostiene che nel 2019 lavorasse come  mulo umano per la Kamoto Copper Company, trasportando sacchi di pietre contenenti cobalto per 75 centesimi al giorno quando è caduto in un tunnel. John Doe 1 sostiene che dopo essere stato trascinato fuori da altri lavoratori, è stato lasciato da solo sul suolo dell’area di estrazione finché i suoi genitori non hanno saputo dell’incidente e sono venuti ad aiutarlo. John Doe 1 ora è paralizzato dal petto in giù e non camminerà mai più. Un altro querelante sostiene di aver lavorato in miniere di proprietà della Zhejiang Huayou Cobalt, una importante impresa cinese, che, sempre secondo il testo della causa, rifornisce AppleDell e Microsoft e altre compagnie menzionate nella causa.

Eliminare il lavoro minorile nelle miniere

Il governo della Rdc afferma di star cercando di fermare la presenza di bambini nelle miniere artigianali di cobalto e si impegna ad eliminare il lavoro minorile nel settore minerario entro il 2025. Questa nuova strategia viene considerata una risposta diretta al rapporto di Amnesty International pubblicato l’anno scorso, nel quale sono state rivelate le violazioni dei diritti umani celate dietro al commercio di cobalto. Senza un controllo appropriato la fame mondiale di tecnologia continuerà ad alimentare la domanda di cobalto e i bambini poveri in Congo continueranno a morire. Questa causa dà voce alle loro sofferenze e getta un barlume di speranza perché sia fatta finalmente giustizia.

Fonte: https://www.lifegate.it/miniere-di-cobalto-congo-causa


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LGBTIQ: le mentalità evolvono faticosamente in Svizzera

LGBTIQ: le mentalità evolvono faticosamente in Svizzera

Pioniera nel riconoscimento delle coppie omosessuali, la Svizzera oggi è in ritardo rispetto ad altri Paesi europei in fatto di diritti delle persone LGBTIQ (lesbiche, gay, bisessuali, transessuali, intersessuali e queer).

di Katy Romy

La più recente piccola vittoria per la comunità LGBTIQ risale al 9 febbraio 2020. Gli svizzeri hanno votato chiaramente a favore del perseguimento penale della discriminazione basata sull’orientamento sessuale, alla stessa stregua del razzismo.

Nonostante i continui progressi nell’accettazione dell’omosessualità nella società, l’omofobia rimane ancora un problema in Svizzera. Persone della comunità LGBTIQ sono tuttora vittime di discriminazioni, attacchi verbali e fisici basati sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere.

“La particolarità dell’omofobia e della transfobia è che il sentimento di rigetto può nascere in seno alla famiglia stessa”, spiega Caroline Dayer, esperta di questioni di genere e di uguaglianza.

Negli ultimi anni sono state avviate azioni per combattere l’omofobia, in particolare nelle scuole. Si tratta spesso di iniziative private basate sul volontariato, come quella dell’associazione bernese ABQ.

La Svizzera un tempo era all’avanguardia in termini di diritti LGBTIQ. Ha depenalizzato l’omosessualità nel 1942, quando la repressione contro gli omosessuali era la normalità negli Stati vicini. Nel 2007, quando ha introdotto l’unione registrata, è diventato il primo Paese al mondo in cui il riconoscimento delle coppie omosessuali è stato concesso direttamente e in modo chiaro (il 58% dei votanti) dal popolo.

Dal gennaio 2018, gli omosessuali hanno il diritto di adottare il figlio del loro partner. Tuttavia, l’unione registrata non pone gli omosessuali e gli eterosessuali su un piano di parità. Questa unione civile non consente alle coppie dello stesso sesso di adottare figli o di ricorrere alla procreazione medicalmente assistita (PMA).

La Svizzera ha compiuto un passo storico in giugno: la Camera del popolo (camera bassa) si è espressa in favore del matrimonio per tutti e dell’accesso alla donazione di sperma per le coppie lesbiche. Ma il cammino è ancora lungo, visto che la Camera dei Cantoni deve ancora pronunciarsi e che un voto popolare non è da escludere. La Svizzera potrebbe tuttavia recuperare il suo ritardo sui suoi vicini europei…

Fonte: https://www.swissinfo.ch/ita/lgbtiq–le-mentalità-evolvono-faticosamente-in-svizzera/45810706


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Diritti umani in Europa: Amnesty International non risparmia la Svizzera

Diritti umani in Europa: Amnesty International non risparmia la Svizzera

Nel Rapporto annuale rende omaggio a chi difende i propri diritti, ma si denunciano abusi e violazioni

di Fabio Caironi

LONDRA/LUGANO – Amnesty International ha pubblicato il proprio Rapporto annuale sui diritti umani in Europa per il 2019.

Da un lato l’organizzazione con sede a Londra rende omaggio alle persone che sono scese in strada per difendere i propri diritti e quelli degli altri. Allo stesso tempo, Amnesty International ha avvertito che le violazioni dei diritti umani continuano a verificarsi in tutta la regione, senza che i governi siano chiamati a risponderne.

Critiche alla Svizzera – Anche la Svizzera non viene risparmiata dalle critiche, in primis per quanto riguarda la nuova procedura di asilo accelerata. «Nessun sistema affidabile è stato messo in funzione per individuare a monte i richiedenti vulnerabili, come pure i loro bisogni in materia di procedura e di alloggio». I richiedenti asilo hanno faticato ad accedere a cure mediche specialistiche, mentre le persone che cercavano di venire loro in aiuto hanno incontrato limitazioni di accesso ai Centri federali. Il Regolamento di Dublino è stato applicato rigidamente dalle autorità elvetiche, prosegue Amnesty International: persone vulnerabili o con parenti residenti in Svizzera sono state regolarmente inviate verso il primo paese di entrata in Europa.

Ma non c’è solo questo. Un’indagine sulla diffusione delle molestie e delle violenze sessuali ha rivelato che il 22% delle donne di età superiore ai 16 anni hanno subito atti sessuali non desiderati nella loro vita. Amnesty International ha chiesto una riforma del diritto penale per fare in modo che lo stupro sia definito sulla base dell’assenza di reciproco consenso, conformemente alle norme internazionali in materia di diritti umani. Attualmente, la definizione dello stupro nella legislazione penale svizzera rimane basata sulla violenza, le minacce di violenza o altri mezzi di coercizione.

Infine, le leggi antiterrorismo che dovrebbero essere adottate nel corso dell’anno. «Permettendo alle autorità di limitare fortemente le libertà individuali sulla base non degli atti di una persona ma di ciò che potrebbe eventualmente commettere in futuro, la legislazione antiterrorismo proposta apre la porta a ogni genere di abusi. Queste misure, di cui alcune potrebbero essere applicate a bambini a partire dai 12 anni, non sono accompagnate da garanzie sufficienti, fatto che potrebbe sfociare in una messa in atto arbitraria e discriminatoria».

Fonte:https://www.tio.ch/svizzera/attualita/1431922/diritti-international-amnesty-svizzera-violazioni-europa


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