Questioni istituzionali

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Polonia, in vigore la legge che vieta l'aborto. Le donne tornano in piazza 1

Polonia, in vigore la legge che vieta l’aborto. Le donne tornano in piazza

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La promulgazione è stata decisa all’improvviso ma il movimento femminile non si arrende: manifestazioni in più di 20 città

Le donne polacche tornano in strada contro la legge che limita il diritto all’aborto. Grandi manifestazioni indette dal movimento Strajk Kobiet, (letteralmente, sciopero delle donne) si sono tenute in almeno venti città dopo che il governo ha annunciato pubblicazione e simultanea entrata in vigore con valore di legge della sentenza della Corte costituzionale che vieta  l´aborto, salvo in caso di incesto, stupro o pericolo per la vita della madre.

L’ondata di protesta è stata lanciata da Strajk Kobiet con appelli su Facebook e sugli altri social media. “Si annuncia una notte difficile”, ha affermato Klementyna Suchanow, una delle due leader del movimento insieme a Marta Lempart.

Il governo, mercoledì pomeriggio, aveva annunciato che la legge sarebbe entrata in vigore in serata praticamente in contemporanea con la sua pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale: una pubblicazione che era stata a lungo rinviata, facendo sperare in un compromesso. Ora si torna al confronto muro contro muro.

La sentenza della Corte suprema risale al 22 ottobre scorso: dichiarava anticostituzionale in quanto non conforme agli articoli della Legge fondamentale sulla protezione della vita del nascituro ogni tipo di aborto, eccetto le interruzioni di gravidanza chieste da donne vittima di incesto o stupro, o nel caso che si profili un pericolo per la vita della madre. Illegale anche l´interruzione di gravidanza nel caso di malformazioni gravi e letali del feto e di problemi sanitari tali da implicare l´inevitabile morte post parto del neonato.

Da allora Strajk Kobiet è nato ed è presto divenuto il più importante movimento di opposizione della società civile. “Se il governo ha scelto l’inferno per le donne, noi cucineremo un inferno per questo governo”, ha detto Suchanow invitando le donne a scendere nuovamente in piazza dopo le proteste di novembre.

In Polonia, prima della svolta decretata dalla Corte suprema, secondo dati ufficiali si sono avuti in media duemila aborti legali ogni anno, comprese quindi interruzioni di gravidanza decise per malformazioni letali del nascituro, ora proibite. Media indipendenti e ong calcolano d´altra parte in oltre 200mila gli aborti effettuati clandestinamente, o effettuando viaggi in uno dei Paesi vicini (Germania, Repubblica Ceca, Nord Europa) dove l’interruzione di gravidanza è permessa. Le restrizioni ai viaggi imposte dalla pandemia rendono tali viaggi difficilissimi o impossibili.

Confermando la linea dura, Jaroslaw Kaczynski, ex premier e leader del partito conservatore Diritto e Giustizia aveva colto pochi giorni fa l’occasione del suo discorso alla messa in memoria della  madre Jadwiga affermando che “la Polonia è sotto attacco del Demonio, oggi col movimento contro il diritto alla vita e gli attivisti Lgbt come nel 1939 con i nazisti e nel dopoguerra col comunismo”.

Fonte: https://www.repubblica.it/esteri/2021/01/27/news/legge_aborto_polonia_manifestazioni-284532662/


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Il messaggio dell'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, Michelle Bachelet, in occasione della Giornata dei Diritti Umani 2020 1

Il messaggio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, Michelle Bachelet, in occasione della Giornata dei Diritti Umani 2020

MICHELLE BACHELET -Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani

GIORNATA MONDIALE DEI DIRITTI UMANI 2020

La Giornata dei diritti umani di quest’anno cade in un momento che non dimenticheremo mai. Il COVID-19 ci ha preso d’assalto e ha scosso il nostro mondo, seguito da una straordinaria opportunità di riprendersi meglio. Questa Giornata dei Diritti Umani è una chiamata all’azione. Un invito a tutti noi a cogliere questa opportunità e a costruire il mondo che vogliamo. Per questo, dobbiamo accettare le lezioni di questa crisi.

La prima: porre fine a qualsiasi tipo di discriminazione. Le condizioni esistenti che rendono gli individui più fragili e le differenze nel rispetto dei diritti umani hanno reso la società più vulnerabile. Se qualcuno è a rischio, tutti sono a rischio. La discriminazione, l’esclusione e le altre violazioni dei diritti umani danneggiano tutti noi.

La seconda: ridurre le disuguaglianze ampiamente diffuse. La protezione sociale universale, la copertura sanitaria universale e altri sistemi per il rispetto dei diritti fondamentali non sono un lusso. Essi sono alla base delle società e possono contribuire ad un futuro più equo.

La terza: incoraggiare la partecipazione, soprattutto dei giovani. Tutte le voci hanno diritto ad essere ascoltate.

La quarta: aumentare ed intensificare la nostra determinazione e i nostri sforzi per raggiungere gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, un’Agenda concreta per i diritti umani universali. Queste non sono solo le cose giuste da fare, sono le cose intelligenti da fare. E c’è solo un modo per farlo: difendere i diritti umani. Perché i diritti umani danno vita a società eque e solide. Sono la risposta a questa crisi umanitaria. Come l’emergenza climatica, il COVID-19 ci ricorda che siamo legati ad un’unica umanità. Dobbiamo agire. Lavorando insieme, possiamo riprenderci meglio. Con una profonda solidarietà possiamo costruire un mondo più resiliente, sostenibile e giusto.

Unitevi a me nel difendere i diritti umani.

Fonte: https://www.standup4humanrights.org/en/index.html


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L'UE adotta un regime di sanzioni individuali in stile "Magnitsky" per gravi violazioni dei diritti umani 1

L’UE adotta un regime di sanzioni individuali in stile “Magnitsky” per gravi violazioni dei diritti umani

Il 7 dicembre 2020, l’UE ha adottato formalmente un regolamento che prevede un nuovo regime di sanzioni individuali in stile “Magnitsky” per gravi violazioni dei diritti umani, solo un paio di giorni prima del 10 dicembre – Giornata delle Nazioni Unite per i diritti umani. Il passo, a 72 anni dall’adozione della Dichiarazione universale dei diritti umani, dovrebbe dare un contributo significativo al progresso generale dei diritti umani, rafforzando la capacità della comunità internazionale di rendere gli individui responsabili di decisioni o azioni che portano a gravi e sistematiche violazioni dei diritti umani.

Il nuovo Eu Global Human Rights Sanctions Regime conferisce all’UE il potere di congelare fondi e risorse economiche e di imporre divieti di circolazione alle persone coinvolte in gravi violazioni dei diritti umani, tra cui genocidio, schiavitù, tortura, esecuzioni extragiudiziali, arresti o detenzioni arbitrari. Anche altre violazioni o altri abusi dei diritti umani possono rientrare nel campo di applicazione del regime sanzionatorio qualora tali violazioni o abusi siano diffusi, sistematici o comunque motivo di seria preoccupazione per quanto concerne gli obiettivi di politica estera e di sicurezza comune stabiliti dal trattato (articolo 21 Tue). Spetterà al Consiglio, su proposta di uno Stato membro o dell’Alto rappresentante dell’UE per gli affari esteri e la politica di sicurezza, stabilire, rivedere e modificare l’elenco delle sanzioni.

Il primo “Global Magnitsky Act” (cosiddetto perché può essere utilizzato per affrontare le violazioni dei diritti umani commesse ovunque) è stato firmato dal presidente degli Stati Uniti Barack Obama nel 2012, ed è stato originariamente utilizzato per colpire i funzionari russi ritenuti responsabili della morte dell’avvocato fiscale russo Sergei Magnitsky. Da allora gli Stati Uniti sono stati raggiunti nell’istituzione di tali regimi di responsabilità dal Canada, dagli Stati Baltici e dal Regno Unito.

Si dice che anche altri paesi, tra cui il Giappone e l’Australia, stiano prendendo in considerazione tali provvedimenti. In particolare, il 6 dicembre 2020, la Commissione parlamentare bi-partisan degli affari esteri dell’Australia ha raccomandato all’unanimità al governo di approvare un Magnitsky Act australiano e ha incluso un progetto di proposta legislativa a sostegno della sua raccomandazione, gettando le basi affinché l’Australia diventi il 35° Paese ad adottare un tale regime di sanzioni per i diritti umani.

Un Magnitsky Act dell’UE (anche se non si chiamerà così perché l’UE non vuole che la Russia sia vista come il solo bersaglio) è particolarmente potente, considerando il peso economico globale del blocco, e poiché molti responsabili di gravi violazioni dei diritti umani (ad esempio politici, ufficiali dell’esercito, capi della polizia, finanzieri, uomini d’affari corrotti) hanno conti bancari e/o seconde case in Europa.

Nel 2018 i Paesi Bassi hanno iniziato a muoversi verso un regime sanzionatorio dell’UE. Parlando con i suoi colleghi europei di allora, il ministro degli Esteri olandese Stef Blok ha osservato che, mentre la comunità internazionale ha fatto enormi progressi nel campo dei diritti umani dall’adozione della Dichiarazione universale, resta il fatto che, dopo sette decenni, i diritti umani siano sotto pressione nella maggior parte del mondo. In gran parte perché, ha sostenuto, coloro che commettono terribili abusi dei diritti umani spesso “la fanno franca”.

“Come ci ha detto Eleanor Roosevelt”, dobbiamo sempre chiederci “come possiamo continuare a rafforzare il sistema dei diritti umani […] Le regole sono regole”, come dice il detto olandese. “Ma solo se infrangere le regole ha delle conseguenze”.

Gli otto membri del Consiglio nordico – Danimarca, Finlandia, Islanda, Svezia, Norvegia, Isole Faroe, Groenlandia e Åland – hanno inoltre indicato che aderiranno al nuovo regime di sanzioni individuali dell’UE.

Fonte: https://www.universal-rights.org/uncategorized/eu-adopts-magnitsky-style-individual-sanctions-regime-for-grave-human-rights-violations/


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Messaggio del Segretario Generale per la Giornata Mondiale dei Diritti Umani 2020

Messaggio del Segretario Generale per la Giornata Mondiale dei Diritti Umani 2020

IL SEGRETARIO GENERALE

GIORNATA MONDIALE DEI DIRITTI UMANI 2020

“SOSTENERE I DIRITTI UMANI PER UNA RIPRESA MIGLIORE”

10 dicembre 2020

La pandemia del COVID-19 ha rafforzato due verità fondamentali sui diritti umani.

Innanzitutto, le violazioni dei diritti umani danneggiano noi tutti.

Il COVID-19 ha avuto un impatto sproporzionato su gruppi vulnerabili quali lavoratori in prima linea, persone con disabilità, anziani, donne e ragazze, minoranze.

Il virus ha accentuato povertà, disuguaglianza, discriminazione; la distruzione del nostro ambiente naturale e le lacune nella tutela dei diritti umani hanno creato fragilità enormi nelle nostre società.

Al tempo stesso, la pandemia minaccia i diritti umani, fornendo il pretesto per sproporzionate risposte di sicurezza e misure repressive che riducono spazio civico e libertà di informazione.

La seconda verità evidenziata dalla pandemia è che i diritti umani sono universali e proteggono tutti noi.

Una risposta effettiva alla pandemia deve fondarsi su solidarietà e cooperazione.

Approcci divisivi, autoritarismo e nazionalismo non hanno alcun senso contro una minaccia globale.

Le persone e i loro diritti devono essere al centro delle risposte e della ripresa. Occorrono quadri di riferimento universali come la copertura sanitaria per tutti per sconfiggere questa pandemia e tutelarci per il futuro.

La mia richiesta di Azione per i diritti umani scandisce il ruolo centrale dei diritti umani nella risposta alle crisi, per l’uguaglianza di genere, la partecipazione pubblica, la giustizia climatica e lo sviluppo sostenibile.

In questa Giornata e ogni giorno, poniamo i diritti umani al centro della nostra azione collettiva per recuperare dalla pandemia del COVID-19 e costruire un futuro migliore per tutti.


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La presidente della Commissione lancia una sfida all’Europa

La presidente della Commissione lancia una sfida all’Europa

di Pierre Haski

Una delle principali debolezze dell’Europa è la sua incapacità di prendere decisioni rapide e forti sui temi esterni che la riguardano, e di far rispettare i valori che professa.

Il 16 settembre, nel suo primo discorso sullo “stato dell’Unione”, la presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen ha affrontato l’argomento in modo risoluto, con un annuncio e una sfida lanciata agli stati.

L’annuncio risponde a una richiesta avanzata diversi anni fa durante un voto al parlamento europeo: l’adozione di una “legge Magnitskij” europea. Si tratta di una norma statunitense del 2012 che porta il nome di Sergej Magnitskij, un avvocato russo impegnato nella lotta contro la corruzione e morto in un carcere russo nel 2009. La legge ha permesso di sanzionare tutte le persone legate alla morte di Magnitskij e di evitarne l’impunità. Da allora la norma è stata ampliata e usata in diversi contesti, per esempio nei confronti dei funzionari sauditi coinvolti nella morte del giornalista Jamal Khashoggi.

Una svolta evidente
Una legge di questo tipo permetterebbe all’Europa di agire in un caso come quello dell’avvelenamento dell’oppositore russo Aleksej Navalnyj (vittima del Novichok, un prodotto sviluppato dallo stato russo) o di affrontare con decisione la repressione in Bielorussia. La presidente della Commissione ha inoltre fatto riferimento alla situazione di Hong Kong e alla sorte degli uiguri nell’ovest della Cina, lasciando intravedere sanzioni mirate contro il regime cinese.

Si tratta evidentemente di una svolta per l’Unione europea, ormai ridotta al silenzio in materia di difesa dei diritti umani. Ursula Von der Leyen ha deciso di lanciare una sfida ai 27: passare dall’unanimità a una maggioranza qualificata per le decisioni legate ai diritti umani o all’imposizione di sanzioni.

I 27 sono davvero pronti a compiere questo passo? È una domanda ragionevole, perché la principale debolezza dell’Unione è interna. Il 16 settembre Ursula Von der Leyen ha invitato l’Europa a cambiare orientamento quando si tratta del rispetto dei valori. Secondo la presidente l’Unione non può tollerare “zone senza lgbt” come quelle proclamate in alcune località polacche.

Nel contesto delle varie sfide che attendono l’Europa, dalla pandemia con le sue conseguenze economiche alla transizione ecologica e alla sovranità tecnologica, questo soffermarsi sui valori e la difesa dei diritti umani ha un grande significato simbolico. Resta da capire se l’Europa sarà capace di diventare una potenza completa e soprattutto di agire come tale.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Fonte: https://www.internazionale.it/opinione/pierre-haski/2020/09/17/von-der-leyen-diritti-umani


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Diritti umani – Confederazione

L’ONU e la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani

L’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) fu fondata nel 1945 subito dopo la fine della seconda guerra mondiale. I diritti e i doveri degli Stati membri sono disciplinati nello Statuto delle Nazioni Unite, l’accordo istitutivo dell’organizzazione.

Sito delle Nazioni Unite (francese e inglese)

Adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948, la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (DUDU) è la base del diritto internazionale in materia di diritti umani. Nel 1966 entrarono in vigore il Patto internazionale relativo ai diritti economici, sociali e culturali (Patto ONU I) e il Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici (Patto ONU II). La DUDU, il Patto ONU I e il Patto ONU II costituiscono la Carta internazionale dei diritti umani.

Dichiarazione Universale dei Diriti Umani (italiano)

Dichiarazione universale dei diritti umani (francese e inglese)

Patto internazionale del 16 dicembre 1966 relativo ai diritti economici, sociali e culturali

Patto internazionale del 16 dicembre 1966 relativo ai diritti civili e politici

Le convenzioni internazionali dell’ONU sui diritti umani, attualmente nove, si ispirano alla DUDU. Tutti gli Stati membri ne hanno ratificata almeno una.

Convenzioni internazionali delle Nazioni Unite relative ai diritti umani (francese e inglese


Il Consiglio d’Europa e la Convenzione europea dei diritti umani

Del Consiglio d’Europa fanno parte 47 Stati, tra cui i 28 membri dell’UE e la Svizzera. Tutti gli Stati membri del Consiglio d’Europa hanno sottoscritto la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU).

L’attuazione della CEDU è controllata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo. Chiunque venga limitato nell’esercizio dei diritti fondamentali protetti dalla CEDU e abbia esaurito le vie legali nazionali può ricorrervi.

Nell’aprile del 2006, il Consiglio d’Europa ha adottato un piano d’azione per le persone con disabilità. Il piano si articola in 15 linee d’azione che toccano diversi temi, come la partecipazione alla vita politica e pubblica, l’istruzione, i trasporti, l’assistenza sanitaria e l’occupazione.

Per dare seguito al Piano d’azione 2006-2015, il Consiglio d’Europa ha adottato la strategia per le persone con disabilità 2017-2023 «Diritti umani: una realtà per tutti». Gli obiettivi sovraordinati sono l’uguaglianza, il rispetto della dignità e le pari opportunità delle persone disabili nella sfera di competenza del Consiglio d’Europa. Cinque le aree tematiche prioritarie: uguaglianza e non discriminazione, sensibilizzazione, accessibilità, uguale riconoscimento di fronte alla legge e protezione dallo sfruttamento, dalla violenza e dagli abusi. Cinque anche i temi trasversali: partecipazione, cooperazione e coordinamento, progettazione universale e accomodamento ragionevole, parità di genere, discriminazione multipla ed educazione e formazione. Per maggiori dettagli consultare il sito:

Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali CEDU

Consiglio d’Europa – persone con disabilità

Raccomandazione Rec(2006)5 del Comitato dei ministri agli Stati membri sul Piano d’azione del Consiglio d’Europa 2006-2015 (tedesco e francese)

Fonte: https://www.edi.admin.ch/edi/it/home/fachstellen/ufpd/diritto/international0/menschenrechte.html


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Démocratie directe et droits humains en Suisse

Cette rubrique présente des articles relatant le débat en Suisse autour des zones conflictuelles entre la démocratie directe et le droit international. Ce sont en particulier certaines initiatives populaires qui se sont heurtées aux engagements du devoir de respect des droits humains pris par la Suisse.


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Uniti dal Diritto, No all’iniziativa per l’autodeterminazione

Uniti dal Diritto, No all’iniziativa per l’autodeterminazione

Associazione apartitica di esperti e personalità del mondo giuridico ticinese uniti a combattere l’iniziativa “giudici stranieri” in votazione federale il 25 novembre 2018. L’associazione coordina la campagna del NO all’iniziativa anti-diritti umani nella Svizzera italiana.

L’iniziativa è un attacco frontale ai diritti individuali degli svizzeri. Siamo convinti che non dobbiamo indebolire la protezione giuridica di cui godiamo per difenderci. Una democrazia sana ha bisogno del rispetto del diritto superiore internazionale e del rispetto della Convenzione Europea dei Diritti Umani. Per questo ci impegniamo, giuristi, avvocati, cittadini e cittadine svizzeri per combattere questa disastrosa iniziativa!


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Commentario giuridico critico del Comitato di Berna sull’iniziativa per l’autodeterminazione [PDF]

L’iniziativa dell’UDC mira a cambiare tre articoli della Costituzione svizzera andando a toccare il delicato equilibrio esistente tra diritto internazionale e leggi nazionali.

Il presente documento contiene un commento all’iniziativa. Inizialmente si trova una spiegazione del sistema attuale e segue poi la spiegazione delle modifiche proposte dall’UDC.


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2018/2019 La situazione dei Diritti Umani in Svizzera: un impegno per i diritti umani e il diritto internazionale

2018/2019 La situazione dei Diritti Umani in Svizzera: un impegno per i diritti umani e il diritto internazionale

Fonte: Amnesty International

Attraverso le urne, i cittadini hanno respinto un attacco frontale alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo in un referendum chiave tenutosi a livello nazionale. Ciononostante gli inte- ressi delle grandi imprese e della politica di sicurezza continuano a dettare le priorità politi- che del paese, e minacciano la protezione internazionale dei diritti umani. Le persone richie- denti asilo al centro di una retorica ostile mentre le nuove legislazioni in materia di sorve- glianza e di lotta al terrorismo mettono in pericolo i diritti fondamentali di tutti i residenti in Svizzera. 

In un referendum tenutosi il 25 novembre 2018, la cittadinanza ha chiaramente respinto – con il 66% di no – una proposta dell’Unione democratica di centro (UDC). La cosiddetta “iniziativa per l’autodeterminazione” mirava a stabilire il primato della Costituzione svizzera sul diritto internazionale e avrebbe potuto portare la Svizzera a denunciare la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU). Settant’anni dopo l’adozione della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, attraverso le urne i cittadini svizzeri hanno inviato un messaggio chiaro e importante in tutta Europa, affermando l’importanza del diritto internazionale. Il popolo svizzero ha quindi preso posizione con forza contro coloro che cercano di erodere il sistema europeo di protezione dei diritti umani. Il risultato inequivocabile del referendum è stato possibile solo grazie al grande impegno di molti attori della società civile e ai sostenitori di Amnesty International. Non solo hanno sostenuto la CEDU e la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, ma sono anche riusciti a convincere la popolazione dell’importanza della tutela dei diritti umani. 

Maggiore coerenza nella politica dei diritti umani 

Affinché la Svizzera – con Ginevra “capitale mondiale dei diritti umani” – possa presentarsi come promotrice e sostenitrice dei diritti umani, è necessario un riorientamento della politica in questa direzione. La priorità generalmente data dal Consiglio federale agli interessi economici o securitari – in particolare per quanto riguarda il controllo delle esportazioni di armi – è in contraddizione con l’immagine di tradizione umanitaria di cui la Svizzera ama abbellirsi. 

Il rifiuto di firmare il Trattato internazionale sulla proibizione delle armi nucleari e il ritardo nella creazione di un’istituzione nazionale per i diritti umani, sono in contraddizione con gli obiettivi di politica estera di promozione della pace e dei diritti umani e con le dichiarazioni della diplomazia svizzera proprio in questi ambiti. La lotta per un mondo senza armi nucleari è stata portata avanti per decenni dal Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE), che ha sostenuto il trattato fin dall’inizio, per poi non firmarlo. Nel mese di marzo si è concluso il terzo Esame periodico universale della Svizzera davanti al Consiglio per i Diritti Umani dell’ONU. La Svizzera ha accettato 160 raccomandazioni sulle 251 formulate: sono state accolte tutte le raccomandazioni per la creazione di un’istituzione nazionale indipendente per i diritti umani secondo i Principi di Parigi, ma invece di attuare rapidamente questi impegni, il Consiglio federale tergiversa su questo progetto da oltre 15 anni. 

Eccessivo rigore con i richiedenti asilo 

Motivo di preoccupazione è anche l’inasprimento delle leggi sull’asilo e sugli stranieri, accompagnato dal trattamento sempre più restrittivo nei confronti di richiedenti asilo e migranti in Svizzera. Si è imposto un discorso politico ostile, in particolare nei confronti dei richiedenti asilo provenienti dall’Eritrea, con tentativi di screditare le persone provenienti dai paesi dell’A- frica orientale come “rifugiati economici”. Questo discorso si riflette anche nelle pratiche più dure delle autorità competenti in materia di asilo. 

In settembre, ad esempio, la Segreteria di Stato della migrazione (SEM) ha deciso di sospendere l’ammissione provvisoria di circa 3’000 eritrei in Svizzera e di esaminare l’ipotesi di un loro rimpatrio. Questo malgrado non vi siano segnali di un miglioramento della situazione dei diritti umani nel Paese. Dal momento che quasi nessuno rientra volontariamente e il rimpatri forzati verso Asmara non sono possibili, un gran numero di eritrei in Svizzera saranno costretti a vivere nella precarietà, con un semplice aiuto d’urgenza, e saranno spinti verso l’illegalità. 

Nelle sue più recenti decisioni riguardo l’Eritrea, il Tribunale amministrativo federale (TAF) aveva riconosciuto le continue violazioni dei diritti umani nel paese e l’impossibilità di esaminare la situazione sul posto. Il Tribunale amministrativo federale ha inoltre qualificato espressamente il “servizio nazionale” esistente in Eritrea come lavori forzati, vietato ai sensi dell’arti- colo 4 della CEDU. Tuttavia, lo stesso tribunale ha emesso sentenze secondo cui i rimpatri sono ammissibili e ragionevoli, anche nei casi in cui le persone potevano aspettarsi di venir arruolate nel “servizio nazionale”. 

Le continue pressioni da parte di diversi partiti e politici per maggior rigore nei confronti dei richiedenti asilo contrastano con la diminuzione del numero di richieste di asilo a seguito della chiusura della rotta balcanica e alle limitazioni alle vie di fuga attraverso il Mediterraneo. 

Invece di mostrare maggiore solidarietà nei confronti di Paesi come l’Italia o la Grecia, che devono trattare la maggior parte delle richieste di asilo in Europa, la Svizzera mantiene un alto tasso di rinvii verso l’Italia, possibili ai sensi del regolamento di Dublino, che determina quale Stato membro dell’UE è competente per l’esame di una domanda d’asilo. Nel novembre 2017 Amnesty International, con 200 organizzazioni e 33’000 persone, ha consegnato al Consiglio federale l’Appello nazionale Dublino, che invita le autorità svizzere competenti in materia d’asilo a ricorrere maggiormente alla clausola discrezionale (articolo 17 del regolamento di Dublino) nel trattare le domande di richiedenti particolarmente vulnerabili. 

Nel settembre 2018, di fronte al rigore delle autorità svizzere, il Comitato delle Nazioni Unite contro la tortura (CAT) ha fissato dei limiti agli allontanamenti di persone particolarmente vulnerabili nell’ambito del sistema di Dublino. Questa importante decisione è stata presa dalla CAT in merito al caso di un cittadino eritreo che era stato imprigionato nel suo paese d’origine per cinque anni per motivi politici ed era stato ripetutamente torturato e maltrattato. Dopo il suo rilascio era stato arruolato con la forza e aveva servito come guardia di frontiera fino a quando è riuscito a fuggire dal paese. Quando ha presentato domanda di asilo in Svizzera nel settembre 2015, era gravemente traumatizzato, necessitava di cure mediche urgenti, e dipendeva dal sostegno di suo fratello, che vive in Svizzera. Nonostante questi elementi le autorità svizzere competenti in materia di asilo hanno ordinato il suo trasferimento in Italia. Secondo la CAT il rinvio avrebbe costituito un trattamento disumano, in violazione della Convenzione ONU contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti (violazione del principio di non-refoulement che vieta il rinvio forzato verso un Paese in cui l’individuo rischierebbe gravi violazioni dei diritti dell’uomo). Il Comitato ha invitato la Svizzera a non espellere il denunciante, e ad entrare in materia in merito alla sua domanda d’asilo. 

In base a questa sentenza, Amnesty International ha chiesto alla SEM di elaborare nuove linee guida per la valutazione dei richiedenti asilo particolarmente vulnerabili e, in attesa della loro pubblicazione, di incaricare i Cantoni di sospendere i loro trasferimenti. 

Violazioni della Convenzione sui diritti del fanciullo 

L’espulsione di una famiglia siriana residente in Ticino verso la Grecia è stata fermata grazie all’intervento di un organismo internazionale. Il Comitato delle Nazioni Unite per i diritti del fanciullo ha chiesto alle autorità svizzere competenti in materia di asilo di sospendere temporaneamente l’allontanamento. Le autorità svizzere non avevano preso in considerazione gli effetti sui minori interessati di una deportazione in Grecia, una possibile violazione dell’articolo 3 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo. La Convenzione, che è vincolante per la Svizzera, esige che nelle decisioni in materia di asilo sia data priorità al benessere dei minori.

Nell’ambito dell’Esame periodico universale gli Stati partecipanti hanno criticato la detenzione amministrativa dei minorenni stranieri in attesa del rinvio. Amnesty International invita la Svizzera a cercare soluzioni alternative e a lavorare per mettere fine alla detenzione di minorenni per motivi legati alla migrazione. 

Solidarietà criminalizzata 

Preoccupa anche la tendenza a criminalizzare le persone che aiutano migranti e rifugiati. In settembre il Tribunale distrettuale di Losanna ha annullato la condanna di una giovane donna che aveva subaffittato una stanza a un richiedente asilo iraniano che, per motivi di salute, non poteva vivere in alloggio comunitario. La donna era stata multata anche se non aveva tratto alcun vantaggio materiale dall’aiuto dato a questa persona e aveva agito per pura compassione. A Neuchâtel un pastore evangelico si è visto comminare una multa per aver temporaneamente ospitato e nutrito – per altruismo – un uomo del Togo che viveva illegalmente in Svizzera. 

Discriminazione / LGBT 

Amnesty International accoglie con favore gli sforzi in corso in Parlamento per criminalizzare la discriminazione basata sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere. Anche le modifiche previste del Codice civile, volte a facilitare il cambiamento di genere nei registri dello stato civile, sono un passo positivo. In futuro dovrebbe essere più facile per le persone tran- sgender e le persone con un’identità di genere non definita cambiare il proprio genere e il proprio nome nel registro. Invece delle attuali procedure legali, in futuro dovrebbe bastare una dichiarazione rilasciata agli ufficiali dello stato civile competenti. Inoltre, Amnesty International chiede anche la possibilità di scegliere un “terzo genere” se una persona non si sente né femmina né maschio. 

Lotta al terrorismo e rischi per i diritti fondamentali 

Nonostante la Svizzera sia stata risparmiata dagli attacchi terroristici, le autorità hanno rapidamente elaborato diversi pacchetti di leggi e di misure che hanno importanti conseguenze sulla privacy e i diritti individuali delle persone sospettate. Due nuove leggi consentono un ampio margine alla sorveglianza in Svizzera: la legge sulle attività informative (LAIn) e la revi- sione della Legge federale sulla sorveglianza della corrispondenza postale e del traffico delle telecomunicazioni (LSCPT). La LAIn, entrata in vigore nel settembre 2017, conferisce molte nuove competenze al Servizio di attività informative. Consente ad esempio di effettuare intercettazioni telefoniche, una forma di sorveglianza di massa indiscriminata. Le disposizioni sulla conservazione dei metadati previste dalla revisione della LSCPT sono problematiche dal punto di vista dei diritti umani. I fornitori di servizi postali, telefonici e Internet sono tenuti a conservare per sei mesi i dati di comunicazione dei loro clienti. Poiché questa misura riguarda tutti, senza eccezioni, costituisce una violazione sproporzionata della sfera privata. Nel settembre 2018 la “Digitale Gesellschaft” ha intentato una causa per conto di varie persone davanti alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) per la violazione di diversi diritti fondamentali causata dalla conservazione dei loro dati. 

Amnesty International critica anche la revisione del Codice penale svizzero, che per la prima volta introduce una definizione di “terrorismo”. Poiché non esiste una definizione di terrorismo riconosciuta a livello internazionale, gli Stati elaborano definizioni proprie, spesso vaghe ed imprecise. Norme antiterrorismo ambigue possono però avere conseguenze pesanti per i sospettati. Nel progetto di legge il divieto delle “organizzazioni terroristiche” e del loro sostegno è stato definito in modo vago. Inoltre la responsabilità di decidere se un’organizzazione è considerata terrorista o meno non sarebbe più di un’autorità politica ma verrebbe attribuita ai sin- goli tribunali. Una disposizione, questa, che viola il principio di legalità, secondo il quale il diritto penale deve essere il più preciso possibile così da garantire che tutti sappiano cosa costituisce un reato e le sue conseguenze. Prendendo di mira i cosiddetti “potenziali aggressori” – persone che non hanno commesso un reato né sono sospettate di pianificarne uno, ma che corrispondono solo a un determinato profilo – la legge sulle misure di polizia contro il terrorismo si spinge troppo in là. 

Sorveglianza degli assicurati 

La revisione della legge federale sulla parte generale del diritto delle assicurazioni sociali (LPGA), accettata in votazione popolare il 25 novembre scorso, potrebbe anche sfociare in violazioni sproporzionate dei diritti fondamentali. Al fine di condannare i sospetti “truffatori sociali”, la legge svizzera prevede ora esplicitamente la sorveglianza dei clienti da parte di investigatori privati impiegati dalle agenzie sociali, come pure l’uso di tecnologie per intercettare conversazioni telefoniche, droni con telecamere e dispositivi di localizzazione GPS. Questo tipo di monitoraggio può interessare chiunque: dai disoccupati alle persone disabili, come pure gli assicurati delle casse malati o dell’assicurazione per infortunio. Amnesty International si è pronunciata contro questa nuova legge poiché ritiene che non garantisca il diritto alla privacy sancito dalla Costituzione federale e dalla CEDU.